Lettera d’amore a chi ha insegnato la felicità a Stefania

Oggi ti scrivo io – di Stefania Bonanni

Mi son svegliata così, piena di te. Con la voglia di fare quello che non ho fatto mai: scriverti una lettera. Forse l’avrei dovuto fare tanti anni fa.

Una lettera sola c’è stata, tra di noi, e l’hai scritta tu. E non l’avrei voluta leggere, e non l’ho mai più letta.

Era una lettera d’amore, di quelle che fanno un male acido e per sempre, che fanno sanguinare anche le ferite antiche, che non si chiuderanno mai.

Oggi ti scrivo io, le mie parole d’amore per te.

Perché ho pensato alla felicità, ed io la conosco, e me l’hai insegnata tu.

Perché la felicità è difficile da spiegare, e si può insegnare, solo se la si e’ provata da bambini, quando il mondo era a portata di mano, e quelle giornate di sole e giochi, di bambini e chiocce, abbracci e pane con la marmellata, erano l’unico futuro conosciuto.

 Sono stata una bambina felice, e quei giorni mi chiamano ancora. Li ripenso e ci casco dentro ogni volta. Sento il caldo, annuso la polvere alzata dalla bicicletta sulle stradine sterrate attraverso campi di grano tagliato, ti ricordo dietro l’altalena, che aspettavi l’onda di ritorno per spingermi ancora avanti, e ancora, e ancora. Eri la certezza del volo che continuava, e le braccia che mi aspettavano. E la catena è lunga, fatta di giornate serene, sorrisi, abbracci. Eri la certezza e la rassicurazione.

Ricordo il tuo grande sorriso, la tua bella bocca aperta sui denti regolari, i tuoi occhi neri e profondi. Ricordo la tua risata. Ricordo come ci sentivamo amate, e capite, e come si giocava in tre, come pensavi si fosse bambine speciali, con quei vestitini che ci ricamavi con grandi papaveri e farfalle. Ricordo come eri bella, e giovane, tenera e semplice. Non c’erano mai quei discorsi sussurrati e misteriosi che i bambini non dovevano capire, non c’era nulla che non si potesse dire. Sembrava facile, crescerti vicino, la tua ombra non faceva scuro, solo fresco, e profumo di fiori. Eri compagnia, sempre. C’eri sempre. Non esistevamo, senza di te. Eri l’orizzonte, l’alba ed il tramonto. Eri l’estate e l’inverno al caldo. Ogni pretesto era una festa, un panino nel prato, un caffellatte per cena, e sembrava Natale anche gennaio. La vera fortuna, la vita con te, i miei trentacinque anni con te.

Dimmi che sei felice, Tina

Dimmi che  sei felice – di Tina Conti

Sono felice quando sento il vento che mi accarezza la faccia 

Sono felice. Quando il mio pensiero è libero  da angoscia

Sono felice  quando riesco a vincere la tristezza e comunico agli altri con il sorriso 

Sono felice se gli altri sono consolati  dal mio sorriso e accoglienza.

Sono felice quando sento i bambini ridere e giocare ,vorrei abbracciarli tutti

Sono felice perché ho una famiglia che mi fa sentire  amata,ho figli e nipoti felici

Sono felice perché mi sento utile e disponibile verso gli altri

Sono felice perché ho  abbastanza salute  che mi permette di muovermi  e prendere decisioni in autonomia

Sono felice quando parlo con le  mie piante 

Sono felice perché ho  un gatto morbido e dispettoso

Dillo che ti manca Patrizia

 Dimmi che ti manco – di Patrizia Fusi

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Solitudine nostalgia di una bambina.

Una grande villa con la facciata ricoperta da una pianta rampicante con dei fiori a imbuto di colore arancione, un viale di ghiaia esteso come la casa che dal cancello d’ingresso portava al garage, dove venivano parcheggiate le macchine, sopra la stanza dei giochi, per il ragazzino di casa.

Al centro un grade plastico con paesaggi, stazioni ferroviarie, doppi binari dove i trenini correvano veloci, tanti altri giochi.

Poteva entrarci ma non toccava niente, sentiva che non erano cose sue, il suo compagno di giochi era un bellissimo cane lupo, si poteva osservare e fantasticare.

 Il giardino anch’esso grande e curato, al centro un pergolato interamente ricoperto di glicine, quando era fiorito era una gioia guardarlo, sotto, tutto intorno ai lati, vasi di bianche camelie profumate, alcuni rami fasciati con il terriccio per fare nuove piante tramite talee

 I candidi fiori bianchi emanavano un intenso profumo, nel centro un tavolo di marmo bianco con attorno sedie di ferro battuto smaltate di bianco.

Il giardino era suddiviso in tre quadrati in uno c’era una bella piscina ma doveva essere rotta perché era sempre vuota, era foderata di piccole mattonelline celesti, negli altri due, piante di dalie a forma di girasole o a buchi di vespa di vari colori, piante di puzzole, vasi di bianche margherite di gerani di vari colori, le siepi di bossolo recintavano i quadrati, le conche di limoni erano posizionate lungo il viale di ghiaia, i frutti brillavano al sole come gioielli dorati, i piccoli fiori erano profumati.

Al termine del giardino per tutto il perimetro c’era una pergola di uva bianca da tavola, quando era matura veniva legato un sacchetto intorno ai grappoli più belli, per proteggerla dalle intemperie e per poterla consumare nelle feste natalizie.

Al lato opposto al garage un cancellino un po’ sgangherato per entrare nell’orto, quello era il giardino della verdura, c’era di tutto, era veramente bravo chi accudiva al giardino e a l’orto.

In certe ceste, il venerdì, veniva raccolta tutta la verdura e la frutta che era pronta, che il proprietario della villa portava alla sua famiglia che passava tutta l’estate nella loro casa di Forte Dei Marmi.

Era un ambiente sereno, ma la bambina si sentiva avvolta da una maglia di malinconia e si chiedeva.

Dimmi che ti manco un po’.

Anche se non è tanto.

Anche se non è vero.

E questo dubbio è quello che sempre è tornato nella vita di lei

Dimmi che sei felice, Cecilia

Sono felice – di Cecilia Trinci

Vorrei dirtelo, certo, ma si ha paura che nel dirlo, mentre pronunci quelle 10 lettere la felicità svanisca, oppure si accorga che ci sei, mentre ti nascondevi dietro le foglie della quotidianità.

Se lo dice un altro, che è felice, ti fa coraggio, ti fa caldo, ti fa pensare che si può, non è un’illusione.

Eppure lo sai che essere felici è come toccare una spazzola a fili di ferro, lo sai che sono attimi pungenti, spesso non collegati fra loro, che sono stelle in una notte d’estate appese sopra di te, visibili e lontanissime.

“E’ una bambina!” – “Ho guidato fino in cima a quella strada orribile e ci sono arrivata!” – “E’ nato! (e per due volte sono maschi) – “Nonna sei bellissima!” – “Torno a casa! vieni a prendermi!” – “Carmela ha trovato la strada del suo racconto!” – “Cecilia resta!” –

Ma nonostante tutto e nonostante sé, essere felici è un modo di pensare.

Sono felice quando le idee diventano cose da maneggiare e guardare. Sono felice la sera, quando mi nascondo nel piumone e sento morbidezza e calore e penso alla giornata, che è andata, conclusa…. e qui ci sono arrivata.

Sono felice quando ascolto parole sane, piene, che mi portano le meningi a funzionare, e sono felice più del cervello che gira perché il cuore è stanco e forse troppo pieno. Il cervello invece me lo trovo pieno di voglia di correre, di attivare sinapsi e collegamenti e le parole hanno questo potere.

Vorrei dirtelo. So che la felicità è un fluido caldo, scorre, si secca, riprende, accelera e rallenta. Ma non dobbiamo essere noi a fermarlo