La favola in Basilica – di Tina Conti

Mi sarebbe piaciuto comprendere quei segni che vedevo in quei nei grandi libri, sotto le immagini, sulle pareti, ma, per me, quella era una lingua sconosciuta. Potevo leggere il luogo, le sensazioni e le figure. Percepivo fascino, vita, storia, volti, il re insanguinato, il santo con gli occhi tristi e preoccupati, l’agnello paffuto girato all’indietro. Che senso di pace, di spiritualità e pacatezza sentivo. Parlavano quelle Mura, mi inondavano profumi e canti lontani. Finché ho raccolto da terra un cartoncino, toni del verde incorniciati di parole in una lingua che conoscevo, era una ricetta e leggendola mi sono messa in tasca il foglietto, con l’idea di trascrivermi quelle parole sul libro di cucina.
Era bello e invitante quel biglietto, bordato di verde tenero, con una cornice leggera a riquadro delle parole, insomma, invitante.
Mentre riflettevo e mi avvicinavo all’uscita, da dietro una colonna, ho visto una luce che guizzava e saltellava.
Un folletto azzurro scorrazzava e sgambettava colpito dalla luce giallognola della finestra a bifora. Ad un tratto, saltò sopra un grande e dorato leggio e cominciò a leggere con una voce stridula e metallica parole lunghe e corte ma a me ostiche. Dal grande libro uscivano bagliori dorati, rossi ,verdi, arancio e tutti i toni del violetto. Le parole e i suoni riempirono la Basilica e cominciarono a danzare fra le colonne, si scontravano, si abbracciavano e si aggrovigliavano, non riuscivo a capacitarmi e neppure a comprendere quelle frasi melodiose. Ad un tratto diventò tutto buio e silenzioso.
Da dietro una piccola porticina, come portato dal vento, un drappo bianco e svolazzante uscì con una scritta… dove potevo leggere ora la parola: FINE
Una piccola, grande, commedia, interprete principale: l’ emozione.
Un mini Oscar anche al ” folletto azzurro” niente male.
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