Carta per copertine dei libri per Carla

Libri adottati – di Carla Faggi

Carta per ricoprire i libri.

Lo facevamo a scuola, l’ho rifatto poi anche in seguito per i libri importanti, quelli che mi hanno accompagnata nell’adolescenza e poi con altri che ho avuto accanto nel mio periodo di donna quasi adulta ma non troppo.

All’interno erano sottolineati, commentati, forse scrivevo più io che l’autore del libro.

Per questo la copertina la proteggevo più possibile anche se mi si sciupava comunque a forza di usarlo anche come diario per riflessioni che mi suggeriva il libro in quel difficile periodo di vita di adolescente e di quasi adulta improntato alla ricerca costante di identità, di certezze, di indirizzi.

Ricordo ancora Giuseppe Berto ne La Cosa Buffa, Il Complesso Di Cenerentola di non ricordo chi.

Il famoso Donne Che Amano Troppo e … poi e poi.

Li ho ancora tutti, con le loro copertine e i loro appunti interni che a rileggerli ora, alcuni fanno sorridere, altri tenerezza, altri rabbia.

Sono stati libri che mi hanno aiutata a conoscere e poi accettare meglio le mie incertezze, perché se qualcuno importante ne ha scritto in un libro il mio problema non è più solo mio ma diventa collettivo e reale e quindi superabile.

Perché da adolescente spesso ti senti unica, diversa, nella superiorità e nella inferiorità del percepirti e non è facile parlare di queste sensazioni a chi potrebbe giudicarti. Almeno per me e all’epoca, tanti e tanti anni fa, la scelta più facile fu confrontarmi con i miei libri amici.

Quando poi sono diventata adulta e oltre ai dubbi e alle incertezze ho trovato anche serenità e chiarezza, non ho avuto più bisogno di scrivere tra le righe di un libro, o almeno non sempre. Anche i libri non sono quasi più i miei libri adottati ma libri che mi incuriosiscono magari suggeriti dalle amiche, come le matite, o trovati in biblioteca, spesso comprati per l’e-book . Per la condivisione ed il confronto dei propri pensieri visto che il giudizio altrui non mi preoccupa ormai più di troppo ci sono spesso le amiche, le matite, Marco, meno silenziosi di un libro ma altrettanto attenti.

Ma i miei libri amici di allora visto che chi adotta un libro lo adotta per sempre (lo dice un mio amico libro scritto da Zafòn) sono ancora qui a raccontarmi di me.

Dietro la carta bianca di Nadia

Biglietto – di Nadia Peruzzi

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E se…
Stava camminando lungo il ruscello, proprio vicino al punto dove si incontra la cascatella ombreggiata dal grande salice.
La colpì il luccicare di qualcosa di bianco che in brevissimo tempo aveva smesso di scivolare sull’acqua ed era finito a testa in giù dentro la cascata. A tratti lo si intravedeva. Rimbalzava, rotolava, vorticava insieme all’acqua , quasi come in un gioco fra i due.
Per qualche minuto andò così poi una spinta, forse un refolo di vento, fece cadere quel qualcosa giù nella grande pozza sotto la cascata.
Era o sembrava un pezzo di carta. Non uno qualsiasi visto che era ben steso e compatto, non sgualcito, né malmesso malgrado lo stare in acqua. Luccicava sotto il gioco dei raggi del sole . Nell’acqua in quel momento si era creato come un intrico di fili dorati , erano quasi un paravento con accenni di arcobaleni e quel biancore risaltava ancora di più .
Quando riuscì a prenderlo vide che era un cartoncino tagliato in modo un pochino approssimativo . Dimensione non più grande di quella di un biglietto d’auguri. Sul retro, non c’era scritto nulla.
Sul davanti, in una calligrafia tonda e sicura , solo un “e se …”.
Il resto, ammesso che ci fosse,  era svanito.
“E se” strano, avrebbero pensato in molti, forse tutti. Lei lo trovava bellissimo, invece. Lasciava spazio alla fantasia, all’immaginazione. Chissà cosa ci stava dietro a quell’”e se”.
Del resto la sua vita era stata un costellazione di “e se” !
Non quegli “e se” che avevano di contropartita nostalgia, rimpianto o dolore. No, forse per influsso di una buona stella, almeno fino a quel momento , i suoi erano stati segnati per lo più da positività.
Pensò al suo ultimo “”e se”. Se provassi a imparare a suonare la chitarra? Piano piano , accordo dopo accordo , ci era riuscita. L’obbiettivo non era Segovia ma un modo per placare sé stessa quando ce n’era bisogno e il senso di sfida, che si accendeva dentro di lei a partire dal suo essere curiosa di tutto.  La voglia di riempire la vita con quello che pensava le facesse del bene e la arricchisse, faceva il resto e dava la spinta finale.
Uno dei sui “e se” migliori si era acceso un pomeriggio d’estate .
Se una volta o l’altra incontrassi quel testone simpatico e carino a cui passavo i compiti di latino e greco al liceo?
Beh, era capitato.  E si era tradotto in qualcosa di bello. Inatteso, visto che non ci pensava più e da un pezzo, e bello.  Ne era nato un amore che ancora non si era perso nella noia e nella routine, era vivo e complice come quando era iniziato.
Chissà se quell’”e se” scritto sul biglietto era invece figlio di un rimpianto o di un pensiero triste, si disse.
I suoi “e se”” li aveva conservati in un cassetto. Li collezionava da sempre ed erano stati un modo per spronarsi , darsi degli obbiettivi. Quando qualcosa non andava proprio come avrebbe voluto bastava che guardasse tutti gli altri, quelli che avevano avuto svolte positive, per rincuorarsi e ritrovare speranza e voglia di andare avanti . La sua filosofia era stata: se una cosa non va bene, non è detto che non vada bene per sempre, e in ogni caso ne andrà bene un’altra!
Quell’ “e se” invece , chissà perché le sembrava dovesse nascondere del mistero. Qualcosa di triste o pesante da sopportare , altrimenti non sarebbe stato gettato in acqua, come quando ci si vuol liberare di qualcosa che fa soffrire .
Insomma lo aveva preso come un bell’”e se le cose fossero andate diversamente. . ?”
Mentre si perdeva in questi pensieri, vide arrivare verso di lei un bambino sui 7 o 8 anni al massimo.
Bel faccino vispo, occhi vivaci e furbi e uno sguardo senza ombre. Sorrideva felice mostrando tutti i dentini che gli erano caduti e non erano ancora ricresciuti del tutto.
Aveva un piccolo zaino e una penna in mano. Guardava fisso il fiume, mentre si avvicinava a lei. Come se stesse cercando qualcosa.
Si salutarono.  Lui posò lo sguardo sul foglietto che lei teneva in mano .
Le disse : “ Per favore puoi ridarmelo? E’mio! Mi è scappato di mano mentre ci stavo scrivendo sopra, poco lontano da qui. ”
Lei glielo restituì ma non resistette dal porgli una domanda.
“Volevi scrivere solo quell’”e se” , oppure c’era dell’altro? Per un bambino della tua età una frase che inizia così non è tanto abituale!”
“Macché ! L’idea era di continuare a scrivere. E’ arrivato un colpo di vento e non ce l’ho fatta a finire la frase”!.
Lei incalzante e curiosa.  “ Scommetto che riguarda qualche bambina di classe tua. Sei così bello , chissà quante fidanzate avrai e il difficile è sceglierne una”!
“ Eccone un’altra che cerca di darmi una fidanzata! Le bambine sono uggiose e non giocano al calcio con me. Fanno sempre comunella fra loro. Vuoi che ti dica cosa volevo scrivere? Ecco qui.  
E se domani non ci fossero le maestre , non dovrei andare a scuola.  Tutto qui. ”
Le fece un accenno di linguaccia , ma con fare simpatico e complice e la lasciò a rimuginare sui suoi “e se” senza dubbio un filo più complicati.
Lo zainetto rosso che aveva sulle spalle continuò a rimanere visibile , fino a che non si perse dietro la curva a gomito della strada, nell’ombra dei pini marittimi .

Carta fotografica vuota per Nadia

Un biglietto vuoto – di Nadia Peruzzi

Ti pensavo come un biglietto e mi servivi vuoto. Da riempire di parole. Solo quelle che ci potessero entrare. Poche in verità.
Vuoto per un inizio. Vuoto per una rigenerazione. Vuoto per una svolta.
Ti ho girato e rigirato per le mani, le parole non uscivano.
Volevo un inizio e invece più che giravo e rigiravo senza che nessuna parola riuscisse a venire a galla, mi son trovata di fronte ad una cosa che ha un solo nome: fine.
Vuoto il foglio, vuota l’anima, nulla la voglia di riempire di frasette fatte che so non avrebbero senso né per me, né per te.
Forse stavo pure per scrivere una banalità del tipo andiamoci a prendere un caffè.  Non ce l’ho fatta. Non avrebbe avuto più nessun senso.
Quel caffè si era già raffreddato da tempo. Non ti penso, né ti sento come ti sentivo allora, vicino e amico.
Sul retro mi sono accorta della carta lucida. Carta da foto. Sei una carta da foto, mi sono detta, non carta semplice da biglietto .
Quante ne stampavamo dopo i pomeriggi passati sul greto del fiume ad inseguire il movimento della cascata o il volo degli uccelli,  nelle loro formazioni a V, nella stagione delle migrazioni. Quanti i volti delle persone che abbiamo incrociato nei nostri viaggi.
Tutto sbiadito, anche nel ricordo. Non i luoghi e i volti degli altri.
È il tuo che non riesco a vedere, malgrado ci provi ogni tanto.
Degli altri ricordo i particolari e le caratteristiche . Quanto le ho amate e quanto le amo ancora quelle foto di genti di paesi lontani che sento quasi come una famiglia.
Di te, che avresti potuto esserlo, non rimane nulla. Che brutta cosa da pensare e da scrivere pure.  Ma ho sofferto così tanto che ho preferito cancellarti anche dai pensieri.  

Un pezzo di carta per Rossella G.

Carta a fette – di Rossella Gallori

Eppure sembrava solo un pezzo di carta da pacchi riciclata stampata….

Donne gentili, paesi lontani, sguardi delicati, piccoli passi, fiori quasi profumati, piccole righe non rughe, nascoste da grossi petali, grassi di colore, ne avverto l’odore, sai di piante che non conosco, di larghe foglie, sai di vita solo tua.

Ti prendo, ti piego, mi resisti, mi fermi, poi ti arrendi ti fai plasmare, un po’ per gioco, un po’ per vanità, per diventare un’altra cosa….ora sei un piccolo paravento liberty; ci appoggio biancheria di seta, che non ho, colori sfacciati si affacciano dietro un sogno di carta…ne esce una me scomposta,  pezzi mal assemblati, sfilacciati… con un cervello che funziona, come un cuore, dai battiti che son cavalcate, dalle pause lente…

Con un cuore a cervello dai pensieri strani, stravolti da palle di cartapesta, che sta su un seno a sinistra, in bilico….

Poi mi sveglio e tutto torna carta, ti stendo, ti appallo, ti brucio con lo sguardo, ti conservo, ti osservo…solo, forse, un pezzo di qualcosa a caso, non un paravento, non un sentimento, un silenzio piegato, plissettato…mai spiegato…