Il sei gennaio

I mangiatori di panini – di Cecilia Trinci

Non si sa come sono arrivati: a piedi, in pullman, in treno, in macchina… su cammelli da presepio….si raggruppano dapprima lentamente, spinti da un’orchestra stonata, da un rombo in sordina che cresce in una cavalcata inesorabile da tromboni lucenti. Ti vengono incontro masse morbide di piumini scuri, prima in file composte, poi in maree sconcertanti, non sai come scansarli, su che lato buttarti; dietro, in sequenza, si sfumano altre orde, per cui se anche scansi la prima andata lo schiaffo della seconda sarà inevitabile, ti prenderai comunque un tonfo di manica in faccia, il ritmo sale, cresce, incombe, non vedi più i volti, solo cappotti, cappucci, gambe spedite, in marcia verso il dovunque….lo sfondo di case e strade si annebbia, solo masse convulse, masse sfocate, affamate in cerca di cibo o di occasioni folli da acquistare per primi. A volte, spaventata dal ritmo frenetico, abbassi gli occhi sui passi, sugli stivaletti, le scarpe da ginnastica, i passi si accavallano e non distingui più la destra dalla sinistra e capita di incrociate due occhi in un passeggino soffocato, due occhi come i tuoi sconcertati, troppo spaventati per piangere, annichiliti, si potrebbe dire basiti. Bambini infagottati, con bocche piene di ciucci o di creme spiaccicate o caramelle decorate ti guardano come per dire “salvami”…ma già la folla ti ha spostato, perdi bambini e maniche, passeggini e monopattini mentre arriva la carrozza col cocchiere che da sotto il suo cilindro sul capo illustra: questa è piazza della Repubblica, il centro della città, i cavalli strascicano i passi grassi e grossi, le cacche si nascondono in sacconi misteriosi sotto le code, mentre procedono lenti come trattori viventi. Alzi gli occhi, c’è ancora il cielo celestino, con un solicchio stanco, respiri, sospiri. In terra, sugli scalini dei marciapiedi, i Mangiatori di panini addentano strati scricchiolanti di paniccia informe, sembrano fette di salame che si attorcigliano su se stesse sotto i denti, potrebbero essere fette di prosciutto vestite di formaggio, mentre sale a tratti, qua e là, un odore di quasitartufo, ma tutto si accende di morsi, bocche aperte, fauci affamate su quei panini asfittici e sodi, mòzzi che la saliva intacca a malapena, altri sono ordinatamente in file lunghissime e serpentine che si fanno strada tra la folla, cerchi il capo, molto avanti e vedi un minuscolo baracchino monotavolo che distribuisce cibo, schiacciata a pioggia, mortadella, cremine orfane di nome, intascando da ore senza tregua forconate di euro. Non mancano i livelli superiori di Mangiatori, quelli che osservano sdegnosi dai tavolini, mangiando patatine fritte mosce, ma seduti, a margine dell’onda di marea appiedata, tra il grasso Duomo che incombe, coperto di smartphone in diecimila mani, di facce da selfie, di braccia allungate in su, per catturare lo sfondo migliore. Senti a un tratto, nella folla, un grido di verità inattesa, “Non ne posso più di questa schiacciata!” ma la folla trascina via lo sconsiderato e tutti giurano di non averlo neppure sentito.