Lenzuolo – di Patrizia Fusi

Sono ancora un bel lenzuolo bianco, di un cotone ottimo, robusto e solido, mi sento ancora bene, ho visto cambiare le persone che mi hanno posseduto, attualmente sono in una casa di una signora anziana, lei appezza la qualità del tessuto di cui sono fatto, le piace la sfilatura di cui sono adornato e il gigliuccio tutto ripieno per rendere più forte la sfilatura adatta a questo tipo di cotone.
Da quando da una pezza di cotone diventai un lenzuolo da corredo, intorno a me sono cambiate tante situazioni una fra tante e il modo di lavarmi, ora mi inseriscono in un cilindro forato, mi fanno girare velocemente con acqua calda e detersivo quando mi tirano fuori mi sento tutto arruffato, molto diverso da quando mi mettevano in ammollo in un grande contenitore, venivo stropicciato da mani sapienti su una superfice di legno, mi sentivo sfregare da setole che mi procuravano il solletico. Nell’essere steso ad asciugare non è cambiato niente, il sole mi riscalda, il vento mi strapazza e tutti e due mi asciugano.
L’anziana signora trova gradevole dormire avvolta da me.
Ricordo da dove provengo, ero sistemato in un morbido drappeggio in una vetrina di tessuti per biancheria da casa a Sant’Elpidio, era il mille novecento venti.
Mi sentivo osservato con interesse da signore e giovane ragazze in cerca di buoni tessuti per i loro corredi. Dove le ragazze potevano mostrare le proprie capacità nel ricamo e nelle sfilature per confezionare la biancheria per la dote.
Ricordo il giorno in cui due figure femminili entrarono. Indicarono alla commessa la pezza di cotone in mostra nella vetrina, la mamma era più bassa della figlia aveva i capelli raccolti in una crocchia, il vestito era con la manica lunga, l’unica civetteria l’aveva al collo: un filo lungo di corallino, annodato a metà. L’espressione del viso era severo ma sereno, gli occhi piccoli, brillanti come il quarzo nero.
La figlia una bella ragazza alta nel viso un’espressione dolce, gli occhi piccoli e scuri come quelli della madre, indossa un vestito grigio con le maniche lunghe e applicazioni di velluto nero, la pelle delle due donne aveva un colore ambrato.
Comprarono il metraggio per fare un paio di lenzuola da letto matrimoniale, dai loro discorsi capisco che è per il corredo della bella signorina.
Vengo messo in una grande busta con altre stoffe e fili da ricamo per fare il corredo.
Quando mi tolsero dalla busta mi disposero sul tavolo insieme ai fili e a gli altri tessuti, mi sentii toccare da altre mani, erano le sorelle di Ornella, controllavano l’acquisto fatto e lo apprezzarono.
Ora tocca a Ornella preparare il corredo e la quinta delle sette sorelle si deve preparare il corredo per un futuro matrimonio.
Vengo messo in un armadio, il profumo di lavanda mi invade tutto, mi rilasso e mi riposo. La mattina del giorno dopo, vengo ritirato fuori, mi trovo fra tante voci di ragazze, mani esperte, misurano, tagliano, ecco sono diventato due lenzuola e quattro federe ora devo esser cucito. Delicate mani iniziano a tirare i fili per prepararmi per la sfilatura, questo mi produce dei brividi, dopo due ore che si affannano toccandomi mi rimettono nell’armadio, sento le sorelle che decidono di ritrovarsi il giorno dopo il pomeriggio per continuare il lavoro.
La mattina ognuna di loro aveva un compito, chi aiutava la mamma nelle faccende domestiche, chi coltivava l’orto con il papà quando è libero dell’impegno del casellante, chi aveva il compito di accudire gli animali da cortile.
I pomeriggi delle donne di casa veniva dedicato ai lavori di cucito, dagli abiti alla biancheria, preparavano e cucivano i loro corredi.
Beatrice inizia a cucirmi: ha le mani delicate è piacevole farmi toccare da lei.
Nel periodo freddo rimaniamo nella grande cucina con il camminetto acceso, i treni che passavano segnavano le ore, il loro sferragliare faceva vibrare i vetri.
Nella bella stagione andavano a cucire sotto il grande fico posizionato dietro la casa cantoniera, che con le sue larghe foglie insieme ad altri alberi facevano una bella ombra, erano pomeriggi sereni trascorsi fra chiacchiere, racconti, risate, confidenze amorose, desideri.
Quando la sfilatura fu finita da Beatrice mamma Erminia mi cucì e fui pronto, il sopra il sotto e quattro federe, fui lavato stirato e messo con cura dentro la cassa panca profumata dai sacchettini di fiori di lavanda, fra l’altro corredo già pronto. Rimasi per un tempo infinito lì dentro ogni tanto si aggiungeva altra biancheria per la casa e la persona, fra noi ci si raccontavamo cosa eravamo e a cosa servivamo, il rumore del treno a ore precise si faceva sentire ci faceva compagnia come i rumori di casa.
Era una famiglia vivace piena di voci femminili più o meno dolci, la voce del papà era forte e quando faceva delle richieste veniva obbedito.
Il tempo trascorreva lento e sereno a seconda delle stagioni le ragazze andavano per la campagna a raccogliere le erbe di campo che servivano per cucinare dei piatti semplici ma gustosi.
Quando i contadini avevano già raccolto l’uva, i frutti e tagliato il grano, le ragazze avevano il permesso di andare a spigolare, per questo quelle belle ragazze avevano quel bel colore ambrato sulla pelle.
Erano ragazze allegre, quando c’erano le feste al paese andavano volentieri a ballare, anche se il papà era molto rigido nel concedere il permesso.
Il papà fini il lavoro di casellante, lasciarono la casa rossa, fui messo dentro un grande scatolone feci un lungo viaggio mi ritrovai in una nuova casa, non sentivo i rumori della campagna e i loro odori, l’odore pungente del cortile dove le galline e gli altri animali starnazzavano, il profumo del fico non lo sentivo più il rumore del treno era sparito, ora sentivo un fruscio più o meno intenso con dei rumori acuti, chissà che animale li faceva?
Le voci parlano non hanno più l’accento che io conoscevo, hanno un modo di parlare strano, il papà viene chiamano babbo.
Nel trambusto vengo messo in un armadio che sa di legno e non di lavanda.
Sono in attesa che anche io abbia la mia destinazione aspetto per diverso tempo, fino a che un giorno vengo tirato fuori, messo in un bel lettone mi sento felice, aspetto la sera con ansia, quando è l’ora di coricarsi mi rendo conto che c’è solo Beatrice da sola, lei è serena la notte gode del piacere di avere a disposizione tutto il letto per sé. Beatrice è una bella donna ma non ha trovato l’amore se n’è fatta una ragione e cerca di goder quello che ha, sorelle, generi, nipoti, mamma, amici.
Quando Beatrice ci lascia, dopo il dolore della perdita, i nipoti si dividono gli oggetti. Io sono finito in casa di questa nipote.
Ora anche Paola è anziana, lei mi ha tratta con cura, chi finirà per primo io o lei?
Dove finirò?
In un sacchetto per stracci?
O come è successo con Paola che mi ha apprezzato, potrò passare ad un’altra persona che mi apprezzerà ancora?
Noi oggetti alcune volte abbiamo più tempo di vita degli esseri umani.