Mani – di Nadia Peruzzi
foto di Lucia Bettoni

Mani, mani, mani.
Mani, mani, mani. Dal vetro del negozio appannato per il freddo le osservava quasi rapita. Slanciate e con smalti fluorescenti, tozze e brutte, giovani, vecchie, poche, molto poche segnate dalla fatica.
Tutte o quasi tutte curate, fin troppo.
Toccavano di tutto. Erano quasi mosse di un balletto. Era attratta dal loro movimento incessante.
Attorno ai foulards e alle pashmine, c’era un vera e propria sarabanda. Cera chi saggiava la stoffa per poi posarla subito, per l’eccesso di sintetico. Chi invece se la portava al collo per la morbidezza inaspettata, ma erano poche che lo facevano.
Non c’erano più le belle cose di un tempo, lo sapeva anche lei che pure ormai era costretta a guardare i gesti degli altri da fuori.
Stoffe morbide, lane vere e non mischiate con troppo di tutto, tessuti avvolgenti che indosso, anche se comprati nel nogozzietto sotto casa , una volta confezionati in abiti o gonne, ti facevano sentire una vera signora.
Così come stava messa adesso in un negozio del genere non l’avrebbero mai fatta entrare.
Le mani che seguiva con più attenzione erano quelle affaccendate attorno ai cappelli.
La biondina stava benissimo con quel basco rosso sulle 23, ma la grassona con quello a cloche sembrava una campana con la sua faccia come battaglio.
Era sicura che le sarebbe stato meglio un cappello a tesa larga o con una visiera molto lunga così da coprirla il più possibile.
Era brutta come il peccato e tutto sommato il cappello non era in grado di migliorare la situazione. Provava ad usarlo come paravento o maschera, ma era evidente che lo faceva proprio per nascondersi e l’effetto era pessimo.
Perbacco, la bruttezza, si anche la bruttezza andava indossata con stile. A viso e capo scoperto.
Sbattuta in faccia agli altri con l’orgoglio dell’io sono io , prendetemi come sono, si sarebbe senz’altro notata di meno. Dagli occhi si sarebbe almeno visto trasparire le qualità dell’anima, quelle che avrebbero fatto passare in secondo piano quella bruttezza. L’aveva osservata bene. Vedeva in lei il suo riflesso per come era diventata oggi. I casi della vita, la morte di suo marito, la perdita del lavoro, lo sfratto l’avevano cambiata , dentro e fuori.
Lei si sentiva brutta, si vedeva brutta e cercava per questo di non riflettersi in nulla che le rimandasse la sua immagine attuale. Non l’avrebbe sopportato. Non avrebbe retto il confronto con ciò che era stata e la barbona che era diventata oggi.
Tutta la sua vita dentro una vecchia borsa per la spesa con le ruote, per alleviare la fatica, e via di strada in strada , di panchina in panchina , di angolo in angolo.
Lo sguardo tornò a posarsi sui cappelli. Come era bello il colbacco che si stava provando la signora alta con le dita piene di anelli. Faceva un freddo tale che bramava di poter sentire su di sé la morbidezza e il calore di quel cappello. Il colore non le piaceva per nulla. Ma chi se ne frega del colore quando fuori inizia a nevicare e il freddo paralizza.
Era stufa di guardare cappelli che tanto non avrebbe indossato, figurarsi se qualcuno si sarebbe scomodato a comprarne uno anche a poco prezzo per una come lei. Era invisibile per chi era dentro il negozio. Con tutta quella mercanzia esposta , chi poteva vedere quel volto che scrutava dall’esterno. Tanto più che il suo respiro appannava il vetro così tanto da non far vedere che fuori stava iniziando a nevicare.
Lo sguardò si spostò sulle mani che stavano facendo una battaglia per accaparrarsi il paio migliore e più elegante del reparto guanti.
I classici di pelle erano quelli che andavano per la maggiore. Dato il freddo molte mani si infilavano direttamente in quelli che avevano l’interno foderato di pelliccia e andavano direttamente alla cassa con quelli indosso.
La signora col colbacco e i tanti anelli si fiondò su un paio di guanti di pizzo nero. Chissà per quale festa si stava preparando. O erano in previsione di un incontro galante?Non l’avrebbe saputo mai, ma le piaceva lo stesso sognare sulle vite degli altri visto che i sogni sulla propria aveva smesso di farli da un bel po’ di tempo.
I più trascurati erano i mezzi guanti. Se ne stavano appesi a testa in giù in perfetta solitudine. Attorno nessuna ressa , nessun intreccio di mani per prendersi quelli dai colori più sgargianti e adatti al clima delle festività. Anche loro sembravano invisibili, messi da parte, ai margini.
Una ragazza dai capelli fiammeggianti evitò tutte le resse e si rivolse decisa proprio a quel reparto. Al collo una macchina fotografica, che forse era la ragione della ricerca.
Le sue mani scattanti sembravano dire:” provatevi a fare le foto con i guanti interi e capirete il perché di una scelta che voi non considerate per nulla”.
Ne scelse un paio neri. Quelli che piacevano anche a lei. Avevano un accenno di piccolo ricamo rosso fra il pollice e l’indice che li rendeva particolarmente carini.
Cosa avrebbe dato con quel freddo per poterseli permettere. Si sarebbe sentita bella con quei guanti.
Cacciò a forza il ricordo che stava affiorando. Una lei giovane che se li stava infilando a testa bassa e che andò a sbattere contro un armadio d’uomo che poi era diventato suo marito.
No , non doveva piangere. Le lacrime erano finite da tempo. Nemmeno quelle si poteva permettere. Erano del tutto inutili.
Ma i lucciconi vennero fuori lo stesso.
La ragazza dai capelli di fuoco alzò lo sguardo proprio in quel momento e incrociò i suoi occhi.
Se la ritrovò accanto poco dopo. Indossava i mezzi guanti neri, e ne aveva in mano un altro paio. Per lei!
Li indossò. Si sentì una regina.
Intrecciò le sue mani inguantate con quelle della ragazza.
Ne venne fuori una forma a ventaglio da cui le arrivò un calore che la ravvivò tutta. La ringraziò con gli occhi per quel gesto gentile e generoso. Non le era facile trovare le parole giuste in quelle situazioni e lei d’altra parte di parole ne diceva sempre meno visto che difficilmente trovava chi volesse parlare con lei. La ragazza rispose con uno sguardo dolce e complice insieme. Le soffiò un piccolo bacio e se ne andò di corsa.
Ne aveva viste di mani in movimento quel pomeriggio. Solo quelle della ragazza dai capelli rossi portò con sé mentre riprendeva la sua strada, trascinando i piedi e il borsone con le sue poche cose dentro.
Per un attimo e per qualcuno non era stata invisibile.
Questo pensiero le dette forza.
Sentì affiorare una voglia di combattere che col tempo era svanita.
Aveva perso già tutto, peggio di così non avrebbe potuto andare.
Era il caso di provare a tornare a combattere, a non accettare
ciò che il destino aveva apparecchiato per lei. Le forme e i modi li
avrebbe cercati e forse trovati lungo la strada. Chissà!