Sulla scia di Guccini i dubbi di Gabriella

Il ciliegio era morto – di Gabriella Crisafulli

… ma l’età all’improvviso disperde quel che credevo e non sono mai stato … (Guccini)

Il ciliegio era morto.

Della neve di petali che ogni anno stendeva ai suoi pedi, era rimasto solo un tronco.

Sembrava un Cristo in croce.

Lei aveva perso la sua incrollabile speranza.

Il glicine che aveva piantato a fianco perché lo abbracciasse e ricoprisse la sua cruda nudità, stentava ad attecchire.

Sperava che gli avrebbe dato nuova vita.

Si era comportata come una fata turchina, con lui così come con tutti gli altri.

Ma quella fantasia si era frantumata e davanti le appariva, impietoso, il pagliaccio dalle mille sembianze che era stata, a sua insaputa.

Nel formicaio di cose andate che le turbinavano nella mente, pungeva il rovaio di continui dubbi mentre la scuoteva il libeccio di una serie di domande.

Si era spenta la boria del “tutto va bene” davanti alla scoperta che tutti stavano male.

Aveva attraversato a fatica lo specchio e guardava la realtà.

Si era trovata a gestire cose mai scelte.

Aveva cercato di compensare questo con un’inutile sarabanda tra rincorse verso ideali astratti, sogni ambigui, fantasie illusorie, nella speranza di appagare un’insaziabile sete di giustizia.

Non aveva realizzato quello in cui credeva e sperava.

Era stata ambigua con sé stessa e con gli altri.

Avrebbe voluto salvare capra e cavoli: adesso erano cavoli davvero.

Si ritrovava così a dipanare una matassa di affetti complessa e multiforme.

Per smarrirsi era bastato un attimo, per ripartire l’aspettava un percorso in salita.

Sapeva solo che c’era un compito che l’attendeva.

La forza le veniva dalla sua stessa vita, finché ci sarebbe stata.

La vita che ancora le rimaneva, fatta dal quotidiano acciottolio dei piatti e dai panni stesi al vento.

Pezzo a pezzo metteva un mattone dopo l’altro, per tentativi ed errori successivi, con la consapevolezza che l’inferno è lastricato di buone intenzioni.

Lasciava in eredità la sua tenacia nel ricominciare sempre da capo.

Un testamento che invece di fine poteva sapere di un nuovo inizio.

Ma rimaneva pure in eredità il suo essere così, improbabile anche ai suoi stessi occhi.

Portava in sé la sofferta umanità di una madre che ha sacrificato i figli sull’altare degli ideali, quelli in cui credeva e non ha realizzato.

Quelli che avrebbero dovuto costruire un sentiero luminoso e invece sono miseramente crollati.

Si era così ritrovata nel mondo di sotto a esplorare oscurità e contrasti in mezzo ad ombre pesanti.

Stava riemergendo ma pativa le conseguenze che aveva generato.

E aspettava, aspettava, aspettava, grata a sé stessa dell’oggi, il suo giorno preferito.