Il Nord, che torna e che va – di Nadia Peruzzi




foto di Nadia Peruzzi (e una di Lucia Bettoni)
Sono da Grande Nord ed è per questo che dopo 12 anni e alle soglie dei 70 sono di nuovo qui, fra questi panorami, a girare attorno a quelle casette di legno di tutti i colori pastello che si possano immaginare, a quei verdi di alberi e di arbusti che andrebbero conosciuti per nome uno ad uno.
E che dire dei palazzi doppi di Alesund?
Sembrano avere due vite, una sopra e una sotto e dentro l’acqua. La luce li riflette e moltiplica finestre, tende, terrazzi in un gioco incredibile di rimbalzi. Doppi i palazzi, quasi a segnare lo scarto fra il prima e l’oggi e le due me che hanno avuto la fortuna di vederli in tempi diversi.
La prima fu una corsa notturna, fra uno sbarco e un reimbarco .Era mezzanotte quando arrivammo e un quarto alle una quando la dovemmo salutare nella luce di una notte che non aveva nessuna voglia di finire.
La seconda volta, adesso, in una esplosione di luce notturna e diurna quasi invadente, sicuramente destabilizzante per chi come noi è abituato a ricaricarsi col buio.
Poi ci sono loro . Le magiche, le mitiche. La meta vera di tutto questo viaggio 12 anni dopo.
Queste imponenti isole montagne o montagne isole o in qualunque modo le si voglia definire.
Appena cominciano ad apparire brumose e in lontananza la mente corre dissociata. Da una parte la più razionale e probabile “deriva dei continenti” che le ha abbandonate lì perché il loro viaggio lì doveva fermarsi.
Dall’altra però non può mancare il pensiero verso l’irrazionale e birichina divinità che in un giorno lontanissimo si è presa la briga e per puro divertimento di dar loro una forma, quella forma, decidendo che il loro posto doveva essere lì in quel mare. Dovevano rincorrersi per chilometri, intersecarsi in incastri improbabili a volte, darsi la mano come ballerine di fila o soldati schierati, ma da esercito pacifico e a guardia delle coste non troppo distanti. Non certo messe lì per offendere nessuno.
La natura è la sovrana. Noi ospiti che dobbiamo cercare il più possibile di non essere invadenti.
Ci sono silenzi che è un delitto violare, scenari che pretendono il rispetto dovuto anche quando vorresti scattare a raffica foto su foto.
Sei tu, senza filtri a dover guardare direttamente, in un gioco di rimandi fra te e l’infinito.
In qualche caso è un vortice di sentimenti che si accendono, in altri una frase o un titolo di un libro o una canzone a tornare alla mente e nel cuore anche solo per placare o curare emozioni così forti da far paura . Con l’infinito che si fa concreta visione, la nostra finitezza come esseri umani è la mano nodosa della strega di Biancaneve che ti ghermisce il cuore e fa saltare ogni equilibrio e ogni razionalità.
A Kabelvag, ultimo paesino visitato, di fronte ad un mare placido punteggiato di rocce e orlato in lontananza da blocchi di montagne e una linea dell’orizzonte in cui mare e cielo sono tutt’uno, a farmi compagnia c’erano i Pink Floyd con la loro “Shine on you crazy diamond”. Non solo per la canzone in sé ma per la foto che ho in mente da più di 40 anni ormai e si trova nel retro del contenitore del disco in vinile che ho da una mezza vita.
Foto strana .Tanta acqua, tante rocce, acqua e cielo che si confondono. Un uomo è capovolto . Perpendicolare, spunta dall’acqua solo dal costume in su. Il suo doppio è riflesso in uno scenario di primordi. L’alba di una civiltà ancora più suggestiva del bestione che colpisce e fa alzare in aria quel frammento di osso in 2001 Odissea nello spazio.
Io non ero capovolta. Non ero neppure nell’acqua. Davanti a quel che stavo vedendo ero una me privata di gran parte di me. Spogliata di tutto, di una storia personale e collettiva, di tutti i miei anni. Senza fiato, riportata all’essenza, trascinata dentro gli albori di una civiltà e di un mondo. Io come in un ventre molle, materno placido come non mai, solo acqua attorno, sopra e dentro di me.
Primordi, regno di luce, del rosa dei tramonti che durano fino all’alba in un moto del sole che non tramonta mai .L’adrenalina fa il suo, fa fare anche cose un po’ pazze visto che il sonno se arriva se ne va anche presto e a mezzanotte o all’una e mezzo, in pigiama ti trovi a prendere la macchina fotografica per provare a catturare quei rosa sulle montagne su cui il sole riflette ancora la sua forza .
Si sua maestà il sole . Che qui non è un sole normale. Ma Sole di Mezzanotte è da scrivere in maiuscolo. Lo devi andare a cercare nelle spiagge che guardano verso il mare aperto, verso nord. Quando si ha la fortuna di una notte senza nuvole, lo spettacolo è superbo.
Resta appeso al cielo senza alcuna voglia di scendere sotto la linea dell’orizzonte e,ci sto pensando adesso, forse perché da quelle parti la voglia di farsi compagnia con la luna prende anche a lui. Insieme non li abbiamo visti in verità, non è detto che in qualche punto che non sappiamo e fuori portata non trovino il verso di stringersi la mano.
Il sole è invadente anche a tarda notte. Ma è una invadenza rassicurante e benevola. Lo si capisce quando tutto si fa grigio e senza vita in una eclisse totale quanto sia benefico per alimentare il ciclo della vita in ogni parte del globo.
In questo tutto ci sono io che ho sognato di fare questo viaggio e proprio come son riuscita a farlo. Invecchiata nel frattempo, ma pronta a riaccendermi e a non sentire stanchezza quando un orizzonte si riapre.
Altrimenti che cavolo di Sagittario sarei!
Ci sono io che nelle foto vengo uno schifo, non rido mai e faccio le facce. Io che non sono fotogenica da mai e se mi metto in posa è pure peggio. Mancano gli altri occhi quelli che sapevano guardare attraverso la macchina fotografica e le sue inquadrature fin dentro la mia anima. Mi inquadravano senza che me ne accorgessi spesso e volentieri, e trovavano il punto e l’angolazione per farmi pure un po’ bella. A volte mi sento persa a osservare in solitudine tanto splendore, senza poter condivider anche solo con un cenno e uno sguardo l’emozione che ti sopraffà fino a destabilizzarti.
Gli amici o le amiche in questi momenti perdono la loro forza di supporto e conforto. Gli occasionali compagni di viaggio si riducono a comparse.
Il senso di vuoto da fastidioso rischia di diventare incombente. Non mi basta il mio occhio. Mi mancano tremendamente gli altri .Quelli che mi hanno guardato con amore . Gli occhi del cuore che decidono l’inquadratura di te nel panorama e la foto che ne viene fuori. Occhi che anche nei silenzi riescono a parlare di interi mondi rendendo vive emozioni che tu hai aggrovigliate in un viluppo dentro di te e fatichi a far emergere.
Come si fa a imparare a lasciare andare i morti? Si può? E’ giusto?Non lo so e so che non lo imparerò, né lo voglio imparare.
Per questo tornano con prepotenza e scavano fossati di fragilità e insicurezze.
Le foto che ho fatto parlano un linguaggio gioioso di colori e luce. Eppure…
Sarà il covid certificato al ritorno, sarà la carica adrenalinica che ha fatto flop dopo giorni anche stancanti, sarà che a fatica riesco a spingere tristezza e ricordi brutti nei cassetti di fondo dove fanno meno male, sarà che ieri sarebbe stato il tuo 69esimo compleanno e questo viaggio lo avremmo fatto sicuramente insieme, sarà un po’ tutto questo a farmi sentire irrimediabilmente una barca con le vele un po’ afflosciate che attende un nuovo colpo di vento per riprendere il largo, dietro al sogno di un nuovo orizzonte.
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