Gabriella si è innamorata di una storia

2  –  Il vagone della vedova Begbick – di Gabriella Crisafulli

Le parole piovono pesanti.

Formano una cappa.

Chi ascolta fugge: mettono paura.

Riavvolgo il filo.

Dove, come, quando si è persa Zazà?

Chiudo gli occhi.

Tiro a caso.

La stanza è illuminata dal sole che tramonta dietro il Baradello.

Come ogni sera i quattro sono inginocchiati a recitare il rosario.

In italiano.

Ma la pratica devota in onore della Madonna è un po’ lunga. Cento Ave Maria divise in dieci decine intercalate dalla recita del Padre Nostro e del Gloria. A ogni decina il commento degli avvenimenti gaudiosi, dolorosi e gloriosi della vita di Cristo e di Maria.

Riflettendoci dopo più di mezzo secolo viene da pensare che per una bambina di cinque anni molto vivace, come viene raccontato in famiglia, quel tempo noioso che si prolungava nella correttezza del contegno dovuto, non era un comportamento naturale.

È successo lì che i binari si sono separati?

È stato lì che una verga di ferro ha continuato a crescere lungo il binario di una ortodossia convinta mentre l’altra rimaneva congelata?

È stato lì che la fedeltà e l’osservanza erano rientrate d’ufficio nella cornice di un grande amore filiale?

Era innamorata, sì era innamorata di quel latte continuo di parole dolenti riversate su di lei: lo sentiva come un privilegio.

Era lei la figlia a cui si dicevano certe cose, non l’altra.

Era lei l’amica.

È cresciuta così sul binario di un viaggio a scartamento ridotto che l’aveva esclusa dal traffico della realtà.

L’altro binario non era stato proprio preso in considerazione e se ne era andato a far danni sotto copertura.

Aveva recitato la parte che era stata scritta e di cui era complice senza rendersi conto che, nell’andare del tempo, nello spazio vuoto prodotto dalle rotaie zoppe, si era creato uno scompenso.

Era per questo che la chiamavano Pappagallo?

Era un esecutore quasi perfetto di una strada già segnata?

Quando rivedeva il film alla rovescia, se non fosse stato per la perdita, c’era da sbellicarsi dalle risate.

Eppure c’erano dei segnali che avrebbero dovuto allarmare ma intorno a lei erano tutti molto impegnati.

Invisibilità dell’evidente.

Per il giorno di San Gennaro e tant’altre festività

Sempre appresso con canti e suoni

Bancarelle e processione

Anno dopo anno

C’era la claque di Pignataro che suonava trionfale

Col maestro sul piedistallo

Che ti stava a inebriare

Chi se ne può dimenticare?

Pur essendo tutto sotto i suoi occhi, non si era accorta di niente, non aveva capito, non aveva preso in considerazione quelle dissonanze che, in mezzo a tanta allegria, la rendevano triste.

Provava a risalire a dove la mente si era ingarbugliata, dove aveva confuso ragione e sentimento, dove erano confluite le acque di amore e odio mescolandosi.

Così aveva setacciato sia nodi personali sia quelli ereditati.

Si era soffermata sugli intrecci perversi di un una ragnatela fragile e pericolosa, popolata di aracnidi in agguato.

Era andata a zonzo nella sua Halloween privata alla conquista della felicità perduta.

Aveva vagato a zig zag nel vuoto generatore di malinconia.

Si era messa alla ricerca di una strada per il viaggio di ritorno.

Così era salita sulla Carrozza 10 – Il Vagone della vedova Begbick.

Nella sala delle sbornie, in quel vagone damigiana, era in buona compagnia. Poteva concedersi ubriacature di parole che le davano tutto quello di cui aveva bisogno, come se bevesse il buon latte della mamma.

Qualcuno c’era, qualcuno non si vedeva, due gatti si erano persi in tangenziale.

Qualcuno era su nel cielo o giù all’inferno tenendosi il cappello ma sempre presente.

Rossella colorava, pennellata dopo pennellata, la tela con una città che sapeva di pane e sirene. Non era una città per tutti, era per quelli che sanno vedere e annusare fra rotoli di papiro che si aprono e fanno vedere meraviglie come le cosce polverose del cavallo della statua di San Giorgio in via Guasti numero 10.

Stefania raccoglieva pazientemente i pezzi di vetro perché Gabriella non si facesse male.

Patrizia, accorata, rispecchiava: Specchio, specchio delle mie brame chi è la più triste del reame?

È lei, Patrizia, che spinge a ripartire: adesso basta.

Aveva dormito abbastanza.

Non è più il tempo della soda e del whisky che scivolavano a go go, non è più il tempo del bere spensierato mentre nuvole di fumo si inanellano sulla testa, non è più il tempo di quelle ciucche che aprivano scenari esplosivi.

È l’ora dei viaggi che spalancano sipari inaspettati: si colpisce la palla con la stecca e sul tappeto verde è tutto un rotolare e scontrarsi di bocce che schioccano le loro idee prima di fiondarsi nella buca.

Lei non si chiudeva più in un autismo autolesionista perché c’era chi raccoglieva la palla e la rilanciava.

Così si era avventurata nella città nascosta, quella che era stata il nucleo della sua felicità.

Doveva solo riportarla alla luce per farla crescere e trasportare nelle città visibili.

Doveva cercare il nocciolo, tirarlo fuori, averne cura, farlo lievitare.

Ma questa era un’altra puntata.

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

3 pensieri riguardo “Gabriella si è innamorata di una storia”

  1. Quanto mi piaci Gabriella quando cerchi il bandolo o esamini un presente con la cura fredda e concentrata di un chirurgo di chiara fama!!!! Parole come interi mondi! Devi “cercare il nocciolo, averne cura e farlo lievitare”….

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  2. Uno scintillio di immagini e un ricamo di parole.Brava Gabriella.Suggestiva l’immagine del binario a scartamento ridotto che teneva lontano dal traffico della realtà…una forma di protezione che era vissuta come costrizione e non accettata .Il resto è ancora più spumeggiante.

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