A passi lenti 1 e 2 – di Carmela De Pilla

Il tramonto estivo era il momento più bello della giornata per Franca, le piaceva incamminarsi in quella stradina un po’ sconnessa dal tempo per raggiungere il poggio della collina di S.Giuseppe.
Quante volte i suoi scarponi l’avevano accompagnata fin lassù, un tempo a passi svelti poi sempre più incerti, ma lei continuava ad andarci per assaporare in questo camminare lento il profumo del lentisco o del mirto e confondersi tra mille pensieri che danzavano con ritmo cadenzato come quello dei suoi passi, un po’sbiaditi e confusi.
Arrivata finalmente alla chiesetta con un sospiro più profondo si appoggiava alla parete quasi a sorreggerla o a essere sorretta e come fosse la prima volta si tuffava con tutti i sensi in quel paesaggio selvaggio, anarchico, senza alcun controllo, da troppo tempo libero di lasciarsi andare dove il vento e la pioggia decidevano di portarlo.
Quella terrazza orlata da grandi massi calcarei rossi per la terra che una volta li aveva rivestiti assumevano immagini di volti o corpi aggrovigliati e tutte le volte ne scopriva di nuovi, i secolari lecci con la grande chioma la proteggevano e i frutti allegri del corbezzolo la mettevano di buon umore, fatti alcuni passi oltre lo spiazzo, laggiù in fondo il cielo si confondeva con il mare e tra i due scintille di colori si rincorrevano, si eccitavano fino a dare vita a lingue di fuoco che l’avvolgevano.
Poi lo sguardo si perdeva più in basso dove c’era il paese, il suo paese amato e odiato, lì aveva conosciuto l’inferno e raramente anche il paradiso.
Da lassù riusciva a intravedere la sua casa che aveva perso l’antica eleganza, un po’ più in là c’era quella di Antonio che da giovane l’aveva corteggiata e poi aveva sposato Elisa perché molto più bella e più ricca, intravedeva la vecchia fontana che, non più utilizzata aveva perso la sua identità e la casa dei suoi genitori rimasta lì da sola perché tutti ne cercano una confortevole e moderna.
In ogni cosa rivedeva i suoi affetti, i suoi tormenti e le sue gioie, poi ubriaca s’incamminava per la stradina, sola, con i suoi pensieri che danzavano con ritmo cadenzato come quello dei suoi passi, un po’ sbiaditi e confusi.
II
Poi quel chiodo s’impossessò dell’anima e apparvero i suoi angeli.
“Il dolore non ti fa morire, si diceva, ti schiaccia, ti lacera, ti manda nell’inferno, ma non ti porta alla morte”
Più volte era stata minacciata e soffocata da un destino crudele, aveva sempre cercato un po’ di tranquillità nelle piccole cose, ma non aveva tregua, questa volta lo stesso destino non aveva avuto nessuna pietà, ricordava ancora quando, appena bambina le morì la madre.
Era bella Franca, la sua pelle olivastra metteva in risalto i lineamenti delicati e una nuvola di ricci neri le incorniciava il volto illuminato da due fari screziati di verde e blu mare, quell’aria un po’ melanconica e imbronciata era ravvivata da un bel sorriso che faceva intravedere una certa fragilità.
Da quel giorno una rabbia furiosa s’impossessò di lei fino a farla diventare scontrosa e maleducata poi la pietà e l’amore di una sorella della madre, la salvò dall’orfanotrofio e così mentre il tempo alleggeriva il suo peso incominciò a fare pace con se stessa e con Dio.
Mentre attraversava la strada il silenzio degli alberi che ascoltavano il suo grido d’aiuto sentiva la stessa rabbia, poi una voce la chiamò“ Frà, aspetta!”
Si affiancò Marietta, una donnina minuta in un fisico esile e ricurvo tanto che sembrava si spezzasse e quasi a non voler scomporre il suo dolore le chiese timidamente:- Hai saputo niente? è fuori pericolo?
La prese sotto braccio e attese.
–Ci vorrebbe un miracolo e io non credo ai miracoli !
-Ma dimmi, cosa è successo veramente? In paese chiacchierano tanto e non si sa mai la verità, ……ma racconta solo se ti fa bene.
-Sento ancora lo schianto Marietta, lo scoppio mi graffia il cuore, la notte non dormo e mi rotolo fra le lenzuola alla ricerca di un perchè…io sono riuscita a scappare perché dormivo su una brandina vicino alla porta, appena fuori ho visto la casa accartocciarsi, accovacciarsi sotto i miei piedi, pochi attimi e la mia vita sgretolata, poi i gemiti dei bambini, le loro deboli voci che chiamavano la mamma, l’urlo stanziante di Annina che ripeteva il nome dei suoi figli con una voce che si allontanava sempre di più … tante macerie e un silenzio straziante mi tenevano prigioniera in una disperazione che pian piano lasciava il mio corpo e penetrava con forza nell’anima..Il destino mi ha rubato la vita quel giorno.
Mi sono tuffata tra quei massi come un cane arrabbiato scavando con le mani nude, seguivo quei lamenti, urlavo e scavavo, scavavo e urlavo, sentivo i loro volti ma non li potevo toccare, le macerie stavano preparando la loro tomba.
Il sangue macchiava quelle maledette pietre e affamata di speranza scavavo poi due mani possenti mi hanno bloccata, due braccia forti mi hanno abbracciata e ho pianto.
Era il cuore che parlava, un cuore che era lì, lì per spezzarsi del tutto, ogni tanto si fermavano e si guardavano negli occhi inumiditi da tanto strazio, Marietta si sentiva in colpa, avrebbe voluto rubarle un po’ del suo dolore poi la tirò a sé e le donò il suo affetto.
Carmela ha tante storie, è lei stessa tante storie: come da un baule cadono a volte pezzi di tulle, perline colorate, caffettiere, personaggi vivi che ci parlano e ci intrigano…….e noi aspettiamo sempre il resto…..
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Grazie Cecilia, i tuoi commenti si calano sempre nel vero come se tu mi conoscesso da tanto tempo…sei speciale…
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Bello Una bella immagine quella dei pensieri che danzano cadenzati con i passi sbiaditi e confusi.Si scorge un dolore in tutto questo..Nei panorami che descrivi c’è il nostro Meridione terra bellissima di contrasti forti .Monti e pendici talora aspri e scorci di infinito.Brava
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