Specialità personali: la lettura in terrazza di Stefania

Nel fiume è tornata l’acqua – di Stefania Bonanni

Dalla fine dell’inverno e per tutta la primavera, nello spicchio in angolo della mia terrazza, c’è il sole la mattina. Mi piace uscire nell’aria fresca ancora in camicia da notte. Calda di letto, assonnata, dolcemente mi sveglio, nel fresco e nella luce, e mi riscuoto dai pensieri e dai sogni, che quando restano tra le ciglia sono brutti sogni.

Mi piace quando un po’ di vento trema tra le frasche del cipresso che tocca la mia terrazza. Profuma, scuotendosi. E ascolto. Tortore, merli, piccioni, mi chioccolano intorno. In questo periodo di tarda primavera sono molto indaffarati. Volano con bastoncini nel becco, e li guardo affascinata mentre li intrecciano nel folto del cipresso qui sotto. L’altro giorno, con grande emozione, ho visto due tortore innamorate. Camminavano zampettando sul filo della luce, uno in una direzione, uno nell’altra. Ad un certo punto uno ha invertito il senso di marcia, e quando sono stati l’uno di fronte all’altro, hanno preso a baciarsi col becco. Mi sembrava un po’ di essere un guardone inopportuno, ma con la consapevolezza di assistere ad uno spettacolo emozionante. Tenerissimo amore con le ali. Gli uomini mi sono sembrati sciocchi e presuntuosi a dare tanta importanza alle situazioni, ai discorsi. Poi però la fine, naturale e che certo si poteva immaginare, non me l’aspettavo. Come succede tante volte anche tra gli uomini, lui, evidentemente lui, le è salito sulla coda, ha vibrato un secondo, e se ne è andato.

Ed io ho ricominciato a leggere. Perché in terrazza vado a leggere, in pace. E questa settimana ho ripreso il ritmo antico. E mi sono letta tre libri, come un tempo. Il fiume era in secca, per fare tornare l’acqua. Chissà colombi, merli, tortore, cosa pensano di me che consumo le mie ore immobile al sole, e faccio un piccolo movimento per girare le pagine, ed un altro per tirare su gli occhiali che scivolano sul naso. Devo sembrare una specie di statua, di certo di una noia mortale e nessun interesse.

Specialità personali: le parole di Silvana

Il piacere delle parole – di Silvana Castaldi

Foto di 2211438 da Pixabay

Mi piace attaccare discorso e scherzare con persone sconosciute, per tante e tante ragioni che ci vorrebbe un romanzo (o uno psicanalista … o meglio ancora il romanzo di uno psichiatra sul tipo di Le emozioni ferite di Eugenio Borgna, Feltrinelli 2009, che sto leggiucchiando prima di dormire) …

Forse la ragione principale è che ancora non siamo tutti chiusi, vinti dal reciproco cupo SOSPETTO. Mi ha molto impressionato, in questi continui resoconti delle schifezze della guerra in corso, sentire parlare da radio e TV di ‘guerra di SPIE’ … Ogni passante può essere Alleato del Nemico per stanare le nostre difese… Va fatto parlare con qualsiasi tortura, niente di nostro deve essere rivelato … E nelle città questa guerra di spie potrebbe durare anni e anni anche parecchi anni dopo un raggiunto compromesso…

Un’altra ragione felice è che il mio è un quartiere vivibile (BellAriva), in una città (la nostra Firenze) ancora percorribile con profitto e diletto e non solo per i celebratissimi Monumenti (che comunque erano e restano BELLI).

Oppure mi GRATIFICA credere di rendermi simpatica, raccattare un complimento o una confidenza. E anche mi AFFASCINA che ogni incontro casuale riveli più o meno nascosta una STORIA.

Lo racconto sempre a tutti, amici parenti e conoscenti (anche casuali) e le INTERPRETAZIONI che raccolgo (e porto a casa !!!) sono le più varie. Mi piace analizzare queste interpretazioni e vedere che, proprio perché sullo stesso fatto sono le più DISPARATE (alcune affatto benevole), rispecchiano i problemi dell’Altro e delle nostre dinamiche.

A proposito: mi interessa anche l’Etimologia o meglio (conosco poco il latino e per niente il greco) le ASSONANZE delle parole (ad esempio sto leggiucchiando anche Etimologiario di Maria Sebregondi, Quodlibet Compagnia Extra 2015). E così ‘disparate’ richiama ‘disperate’ o anche ‘si spera di dire ancora’…

Insomma, avrete già capito che mi piace parlare, mi piace ascoltare ed essere ascoltata. Mi piace conoscere gli ALTRI quanto farmi conoscere IO. Sui ‘social’ mi piacerebbe che nessuno avesse segreti… Ricordo con nostalgia (fra le tante frasi gentili della Mamma) : “Silvana, sei un libro aperto!” …

In una parola sola? Mi piace COMUNICARE !!!! Forse, ancora meglio, proprio mi piacerebbe … SCRIVERE !!! E scrivere BENE sarebbe più meglio ancora (anche se ‘più meglio’ non si deve né scrivere né dire)!!!!

Però scrivere non è soltanto capacità di aprirsi e cercare di capire cosa stiamo dicendo di noi e capiamo dell’Altro spontaneamente… è anche un LAVORO che richiede tempo, applicAzione, Silenzio, apProfondimento e forse (anche se lo accetto meno volentieri) studio di tecniche e molta lettura dei cosiddetti Maestri …

Allora non so (classe 1943) se ancora mi resta il tempo per arrivare a scriVere qualcosa di BUONO che lasci ai ‘Miei’ una Testimonianza utile della mia esperienza, così da dare un SENSO alla VITA. Nel senso di cercare di non essere SOLI e darsi anche solo la possibilità di confronto e conforto, perché nulla può spiegare le cose se non l’averle vissute … Perché “Tutto è già stato scritto”, e “la Vita continua”, sempre Nuova e Particolare per Tutti …

Alla vigilia degli ottant’anni… ho tanti anni e mi sto convincendo che non devo temere le parole troppo semplici e abusate, né avere paura della retorica e del RISAPUTO. Mi divertono sempre di più i proverbi. Tutto il Mondo è Paese. Si citava che Tutto è già stato scritto, ma anche tutto ci è nuovo davanti.

Ora, in questo cerchio di persone (tutte desiderose di esprimersi ed è per questo che sono qui accanto a un vagone così evocativo) quanto posso imparare! E come mi piace leggere a Voi ad alta voce gli appunti che ho scritto di getto (magari per rifletterci-scriverci poi) …

Sono riflessioni al volo perché ‘sento’ che con il tipo di persone che formano questo cerchio ho da condividere anche più di quanto potranno permettere nella realtà i 2 soli INCONTRI ULTERIORI che restano…

Noterò poi che più d’una delle persone invitate a scrivere “ciò che piace loro fare” hanno invece parlato di “cosa riesce loro fare” … Chi sente profumi, chi sferruzza, chi fotografa, chi si trucca, chi taglia e cuce, chi cucina, chi parla alle piante… Anche ad alcune attività tradizionali della donna viene data una singolare autonomia di svolgimento…

Forse piace fare quello che dà sicurezza, Autostima, RealizzAzione… Sono queste le nostre Ritualità ? Questi i nostri BISOGNI (i nostri Doppi Sogni ??? e anche questa è una citAzione…), da svolgere con un preciso Nostro Cerimoniale, intimo quanto interiore. Ognuna delle cose che saranno lette è una storia particolare magari per me impensabile o insensata ma ognuna con qualcosa che si riallaccia a qualche sensazione mia, dandomi la sensazione finale di uscire da questo incontro A L L A R G A T A ….

Qualcuna di Voi ha parlato di parole che possono “riempire il fiume che si seccava” …  PAROLE BENE DETTE !!!! Grazie a tutte, a tutti

Specialità personali: l’acqua calda di Gabriella

Hammam – di Gabriella Crisafulli

Foto di PublicDomainPictures da Pixabay

L’acqua scorre e riempie la vasca.

Le nuvole di vapore saturano l’aria di un caldo avvolgente nel quale mi muovo ripetendo gesti che fanno stare bene. Le dita ricolme di crema seguono con movimenti lenti la muscolatura del viso mentre la pelle si scalda sotto i polpastrelli e diffonde un profumo penetrante. La mano si ferma sui punti dolenti che massaggia più a lungo e sui quali fa pressione per attivare la circolazione. Così a poco a poco si sciolgono nodi e tensioni, dapprima sul volto e poi in tutte le parti del corpo.

A questo punto mi immergo in quel tepore che sa di liquido amniotico e rimango a lungo in un calore che ferma il tempo e attutisce i dolori. Intorno a me i personaggi disegnati dalle venature degli infissi della finestra: sono lì da anni ormai e li ritrovo ogni volta con stupore, quasi come se li vedessi per la prima volta.

Quando avevo nove anni, a Varese, il locale dedicato ai servizi igienici era enorme: diviso in più settori, aveva un unico soffitto.

Lo spazio riservato al bagno aveva una vasca di grandi dimensioni e, meraviglia delle meraviglie, un cilindro di rame che luccicava nello scuro di quell’ambiente senza finestre: lo scalda acqua.

Il giorno dedicato alla pulizia di tutta la famiglia era la domenica.

Ci voleva parecchio tempo e molta legna per riscaldare l’ambiente e per produrre acqua calda a sufficienza per noi quattro, ma quel marchingegno infuocato con mille serpentine al suo interno, era uno spettacolo. Fiammeggiava rispecchiandosi nel rosso del metallo e sputava acqua bollente destando tutta la mia meraviglia.

Il primo a lavarsi era mio padre.

Per chi veniva dopo rimaneva nella vasca l’acqua che lui aveva utilizzato.

Io ero la seconda.

Forse quella schiumiccia che galleggiava dove venivo immersa mi faceva un po’ ribrezzo ma poi, dopo essere stata insaponata e sciacquata con acqua pulita dalla mamma, venivo avvolta in teli di spugna caldi dal mio papà e portata via in braccio lungo un corridoio che non finiva mai, in cucina, vicino alla stufa di terracotta ad asciugarmi.