Storie a ritroso – Cartolina da Perugia: Laura

Cartolina da Perugia – di Laura Galgani

“Com’è strana la vita, che quando decide ti prende e ti fa roteare, ti avvolge su te stesso per farti imboccare strade che non immaginavi.”

Questo pensava Stefano mentre l’Intercity Roma – Perugia rallentava la sua corsa stridendo sui binari in prossimità della stazione. I finestrini erano bagnati da gocce di pioggia pesanti che scivolavano giù quasi a voler scavare dei solchi sui vetri appannati. Al di là, la città di Perugia era avvolta dagli ultimi bagliori rossastri del tramonto, che tingevano i tetti e le mura già rosse dei mattoni di gran parte degli edifici.

Una gioia mista ad ansia affiorò sulla pelle di Stefano, traducendosi in un lieve tremito sottolineato da brividi intermittenti mentre tirava giù il pesante bagaglio e si preparava a scendere.

Mentre aspettava, in fila dietro ad alcune ragazze americane coi capelli lunghi, rossi o biondi, con le lentiggini e grandi zaini sulle spalle, gli sembrò di avere fra le braccia Marzia, e di assorbire dalla pelle il calore di quell’unico abbraccio che avevano appena fatto in tempo ad assaporare pochi giorni prima della sua partenza per Perugia. E pensare che proprio lì, a Perugia, avevano trascorso gli anni più spensierati della loro vita, quando frequentavano il liceo classico e la sera si ritrovavano – dapprima per caso, poi, senza dirselo, volutamente – ai piedi di quella fontana medievale circolare, ornata da colonnine finemente lavorate, bassorilievi e piccole figure femminili di marmo, una diversa dall’altra. Dalla parte centrale, con tre ninfe in bronzo, zampillava abbondante l’acqua fresca, rumorosa.

Non erano soli, in quei pomeriggi di primavera o inizio estate: era facile per i giovani incontrarsi lì, c’era sempre qualcuno con cui scambiare due chiacchiere, fumare una sigaretta o sentire un po’ di musica.

Loro però, Marzia e Stefano, si erano sempre guardati con occhi speciali, e andando dritti all’essenza l’uno dell’altra avevano intrecciato in silenzio le loro anime. Senza mai diventarne consapevoli però. Nemmeno quella volta che avevano visitato insieme la Galleria Nazionale dell’Umbria, e Marzia era rimasta a bocca aperta ad ammirare tutti quei quadri fondo oro, le pale d’altare dei pittori medievali che brillavano di una luce soprannaturale nelle sale pietrose, fresche e buie del museo. Stefano aveva letto nel suo volto lo stupore candido e ingenuo di una ragazzina alla sua prima gita scolastica. Marzia era così, capace di stupirsi di fronte alla bellezza con sentimenti autentici e puri, e non ne faceva segreto.

Dopo il liceo però si erano persi di vista. Lei aveva scelto di studiare storia dell’arte a Roma, lui medicina a Milano.

Si erano incontrati di nuovo solo qualche giorno prima, del tutto casualmente, in Val Gardena, in cima ad una pista da sci sopra Santa Cristina, quando lui era rovinosamente caduto scendendo da una seggiovia e lei, arrivata subito dietro di lui, l’aveva aiutato a rialzarsi. Dopo essersi ripresi dal groviglio di sci e racchette si erano guardati in viso: “Tu? Che ci fai qui?” avevano esclamato insieme. E dopo essersi abbracciati, nonostante le ingombranti tute colorate, si erano subito scambiati i numeri di telefono con la promessa di non perdersi mai più di vista. I rispettivi amici, sconosciuti gli uni agli altri, li aspettavano a metà pista, e facevano ampi cenni con le braccia per invitarli a scendere velocemente e raggiungerli in fretta.

“Ma tu dove abiti, che fai?” era riuscita a dire Marzia, mentre impugnava le racchette.

“Ho appena vinto un concorso come cardiologo, pensa, proprio a Perugia!”

“Davvero? Mi manca così tanto! Io vivo ancora a Roma, lavoro al Ministero dei beni culturali. Non ci sono quasi mai tornata, a Perugia, ho così tanta nostalgia …”

Ecco, Stefano era ancora lì, in cima a quella pista da sci, con quell’abbraccio che gli riempiva l’aria davanti a sé mentre attraversava la piazza con la fontana e pensava che sì, la sua vita aveva davvero preso una svolta.

Glielo doveva dire, a Marzia, quanto era bella la loro fontana. E quanto le mancava. Magari le avrebbe scritto una cartolina … che diceva così:

“Ciao Marzia! Questa città è bellissima! Ieri sera uscendo dalla stazione ho rivisto la nostra fontana … ti ricordi? Ora l’hanno restaurata ed è ancora più magica, specialmente di notte, con le luci dal basso. Te la mando con un abbraccio per te. Avrò molto da lavorare ma cercherò di tornare al Museo che ti piaceva tanto … quel giorno che sembravi una bambina in gita! Mi manchi e spero di rivederti. Stefano”

Incontro del 16 febbraio 2022

con Cecilia Trinci

La cartolina illustrata

ricostruire la storia tra due persone (Marzia e S.) che si conclude, un giorno, con queste parole di una cartolina:

Ciao Marzia!!

Questa città è bellissima! Ieri sera uscendo dalla stazione ho rivisto la nostra fontana…ti ricordi? Ora l’hanno restaurata e è ancora più magica, specialmente di notte con le luci dal basso. Te la mando con un abbraccio per te. Avrò molto da lavorare ma cercherò di tornare al Museo che ti piaceva tanto…. quel giorno che sembravi una bambina in gita! Mi manchi e spero di rivederti

S.

Scodella per gli dei: Nadia

Scodella per l’Olimpo – di Nadia Peruzzi

Chiare, dolci, fresche acque.

Che bello perdersi in questo gioco a pelo d’acqua. Il fresco dal palmo si diffonde e ti senti trasportare fin dentro quel liquido che si fa accogliente.

La scodella è piccola e quindi immagini di diventare un lillipuziano per poterti stendere dentro, come si fa su un letto confortevole, ma trasparente e liquido.

Questo pensiero induce una sensazione di vago torpore. Vorrei dormire, abbandonarmi. Tanto già sono ad occhi chiusi e Morfeo è pronto ad accogliermi. Poi l’immaginazione è li pronta a fare il resto.

Al risveglio però il quadro cambia.

Vedo i colori, la forma, il sapiente decoro del piatto che racconta una storia che si tramanda di generazione in generazione, forse viene dalla notte dei tempi. L’Umbria ,dove l’ho acquistato durante un viaggio, sfuma mentre sento con forza il mistero aleggiare attorno a me.

Viaggio a ritroso nel tempo. Sono nel Mito. Sono nella Grecia degli Dei dai difetti umani che osservano dall’alto il brulichio degli esseri viventi e lo scorrere delle loro vite.

Ho davanti a me il Monte Olimpo. Sono sul Monte Olimpo. Vedo Giove con i suoi fulmini, Eolo con i suoi venti, Era con le sue gelosie. E io con questa scodella davanti divento di colpo Ebe coppiera. Nel piatto non c’è più acqua ma un liquido ambrato con un profumo che inebria. Tutti si avvicinano per berlo. Cercano l’estasi.

La scodella di Marcello: Laura

Acqua versus fuoco – di Laura Galgani

Scodella scodella… per quanto tu sia bella per me equivali a “matrimonio “! Vi racconto perché : un collega di mio padre, che si chiamava Marcello Metti ed era un toscanaccio doc, dagli occhi azzurri e la voce roca, che quando raccontava le sue famose barzellette lo sapeva fare anche in falsetto per catturare meglio l’attenzione dei golosi ascoltatori, mi regalò per il matrimonio un servito completo da 12 della Richard Ginori, indistruttibile.

Lo uso ancora tutti i giorni, privilegiando la praticità sull’emotività, e di conseguenza rappresenta 30 anni di vita, dal 1992 al 2022, anche se il matrimonio non c’è più mentre i piatti sì, quasi tutti.

In quella scodella mi è stato chiesto di mettere una mano nell’acqua… ho provato subito una sensazione sgradevole, di freddo, quasi di dolore.

Ho pensato che avrei tanto voluto l’acqua fosse calda. Ho provato un forte desiderio di sensazioni opposte, di immergermi tutta, completamente, in una piscina termale calda calda.

Il contatto della mano bagnata con l’altra l’ho trovato ancora più sgradevole: la destra, almeno, era rimasta calduccina… poi invece anche quella si è fatta umidiccia e inutile, e allora per disperazione ho cercato di immaginare la sensazione gradevole che le mie mani mi avrebbero dato se l’acqua fosse stata calduccia…

Insomma, stasera fra la scodella retaggio di nozze ormai svanite e l’esperienza dell’acqua fredda ad occhi chiusi è quasi una tortura…

Scodella della comunione: Lucia

La scodella della prima comunione – di Lucia Bettoni

La scodella della mia prima comunione
L’ho comprata insieme a mio padre, io e lui, quasi sessanta anni fa
Accarezzo con i polpastrelli l’acqua fresca, acqua da respirare, acqua gentile, acqua rigeneratrice
Ho voglia di entrarci dentro, fluida come se fossi un pesciolino
Immergo la mia mano: è bellissimo, è ancora più fresco, e il desiderio di scivolare più giù è forte
Penso alla bellezza dell’acqua, l’acqua con la quale ho giocato tanto da bambina
L’acqua del mio lago, l’acqua del fosso che attraversava i campi
Con l’acqua e la terra modellavo forme che diventavano cubi o parallelepipedi: vendevo terra in panetti!
Poi una mano calda si è unita alla mia
Non ero più sola a giocare, c’era anche una mano forte, tenera, accogliente che si è unita a me in un incontro pieno di tutto, di tutto ciò di cui avevo bisogno: una mano amica
Ma quanto è grande la mia scodella!
Non avrei mai immaginato di poterci entrare in due
Adesso siamo entrambe dentro, io e l’amica mia
Stiamo bene, non siamo neppure sovrapposte, possiamo stare l’una accanto all’altra: io sempre un po’ più fresca, lei sempre un po’ più calda
Una bella unione la nostra
Una vera comunione

La scodella di zio Alberto: Rossella

La scodella e lo zio – di Rossella Gallori

I piatti me li hai regalati tu zio, lo zio che ha cercato di salvare il mio nonno dalla fine che ha fatto.

Hai sentito il freddo di Fossoli, come sento io stasera in questo piatto fondo pieno di liquido ostile, i passi della Risiera di San Saba,  il tuo cercare, il tuo non raggiungerlo mai, con i soldi nascosti nelle parti più tue.

 Qualcuno da corrompere…spesso si trovava.

Acqua, lo dicevi anche tu, più gelo che acqua, scarpe poco adatte, in un febbraio freddo del 44….e quei camion che andavano, per chissà dove….

Ti ho rivisto nella scodella, che ho scoperto avere un numero…chissà che numero aveva tuo cognato, zio,…se han fatto in tempo a “timbrarlo”

Ho visto quel R.G. che è solo una marca famosa, non come me che ho le stesse iniziali…

…e con un’acqua fredda, che non si scalda mai, ho visto una leggera ragnatela, quella malattia della porcellana che ti ha colpita, scodella 174, quarantotto  anni che stiamo insieme.

Me lo portasti tu, zio, te lo ricordi? Dicesti: te l’ho preso moderno, moderno come te…anche troppo e mi baciasti la mano, come si fa con una signora, io che signora non mi son sentita mai.

E ritorno con le mani nell’ acqua, ho freddo, mi sembra di esser quasi nuda in mezzo alla nebbia,  vorrei gridare e non ci  riesco, mi son sentita bagnata dalla testa ai piedi….mani le mie, freddissime, che hanno avuto stasera il brivido dei ricordi….quasi dimentico i Natali belli in cui ti uso, scodella con il bordo turchese e bleu, ho pensato a te Berto, a quel lungo viaggio, alla tua delusione di pietra, al tuo non avercela fatta.

Scodella, scodella bella, la scodella della Rossella….

Ora, l’ acqua sembra essersi scaldata, le mie mani no, sono un unico pezzo, unite in segno di preghiera, di dolore calmo, ho ancora molto freddo….

Tu avevi freddo zio??…..

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autoritratto di zio Alberto – foto di Rossella Gallori

Brevi cenni sullo zio Alberto: nasce alla fine dell’ ottocento, abbandonato agli Innocenti, viene dopo da più grande trasferito alla Madonnina del Grappa, dove studia e diventa ragioniere, brillante e ironico somigliantissimo ad un certo Alberto Rabagliati dell’epoca, per fisico e sorriso, diventa abile cartellonista pubblicitario …pittore a tempo perso….incontra mio nonno sposo giovane, con 2 cognate in casa,  una fa per Alberto….insieme fonderanno un famoso negozio di tessuti….il suo nome è nel libro dei “giusti nel mondo”.

Per me resta lo zio che ha rischiato…sempre e comunque…..con il nonno non ce l’ ha fatta, con la zia si…..grazie zio….per tutto…grazie acqua fredda di un pomeriggio di  mercoledì….

Scodella sulla neve: Tina

La scodella  – di Tina Conti

Non è una scodella, ma un piccolo posacenere. Di vetro. Ho cercato fuori della mia camera  di albergo un piatto appeso  mi sembrava di averne visti in uno  scaffale di  legno, ma forse si trovano al piano  di sotto e non mi e’ facile  prenderlo  in prestito, devo accontentarmi  del posacenere che c’è in stanza.

 Avrei  usato, a casa, una bella scodella del servito buono dei mie suoceri che abbiamo ereditato, fa parte di un assortimento  per  12 persone ricevuto in dono per  le loro nozze, ha un profilo in oro ,e una decorazione sul bordo con piccoli fiori celesti, sul tavolo appare raffinato ed elegante.

Ricordo di tanti momenti e pranzi  in famiglia, viene usato con molta attenzione e solo in occasioni importanti perché è per noi prezioso e non va in lavastoviglie,  complicando le abitudini sbrigative dei nostri giorni.

Manca solo un pezzo dei dodici e sulla tavola ci riempie di gioia e ricordi.

Invece oggi le mie mani hanno toccato un oggetto rotondo, con quattro scanalature sul bordo, per poggiare le sigarette, pesante, con delle calcomanie su tre lati.

 E’ piacevole al tatto ma freddo  e piccolo se deve servire  per le due mani.

La mano sinistra ha avuto un brivido durante il primo contatto con l’acqua, poi si è rinfrescata e bagnata, la destra ha trovato un po’ di umidità e basta, si è accontentata, ho sentito che il calore della pelle asciugava presto  le mani, e ho pensato alla bellezza di questo gesto e al contatto con  questo elemento.

Amo molto l’acqua e le sensazione che dà sul corpo, come sulle mani, ho  pensato quanto e’ preziosa e indispensabile per la vita e per il mondo.

Io mi bagno spesso anche in acque poco calde, qui, all’aperto fra la neve esco quasi ogni giorno  per un  bagno in una fumante vasca da idromassaggio.

Dopo le giornate al freddo e al sole della montagna non uscirei mai da questo tepore che accarezza e avvolge, la corsa a indossare l’accappatoio risveglia subito i sensi e predispone al rilassamento nella stanza   dove posso leggere  e ascoltare musiche, sollecitata da profumi e  immagini che dalle grandi vetrate mostrano un paesaggio magico che si oscura pian piano illuminato dai bagliori delle luci che riflettono il banco della neve.

Scodella per mani sorelle: Sandra

Sorelle nell’acqua – di Sandra Conticini

Sono affezionata a queste scodelle che uso tutti i giorni ormai da anni. Ne avevo diverse, ed erano state prese con i punti e, anche se ne ho rotte poche,  ora la riserva è quasi finita. Potrebbero raccontare tutte le mie ricette buone e meno buone, il mio modo di sbattere le uova e montare chiare ed anche quanto hanno sofferto quando mia figlia ha iniziato a mangiare i primi passati di verdura. Ne ho scelta una non troppo nuova né troppo vecchia, ma comunque con dei  graffietti grigiastri sul fondo. Ormai è questo il tipo di scodella che uso da diverso tempo, è molto semplice, bianca, lineare con un fiocchetto da una parte sempre bianco. Anche se ho altri tipi di scodelle in casa a queste sono molto affezionata e non riesco a cambiarle, perchè le stoviglie bianche mi piacciono, le metto in lavastoviglie senza pericolo che cambino colore o che si scoloriscano.

Chiudendo gli occhi e passandoci la mano dentro e fuori ho sentito che il bordo era in certi punti più largo e in altri più stretto, cosa che non avevo mai notato, ho riconosciuto il fiocchetto che ha su un lato ed anche una piccola sbeccatura nella parte esterna del bordo. Poi ho messo la mano sinistra nell’acqua, mi sono emozionata, avevo paura? Non lo so, ma ero molto titubante, e quando le prime dita hanno toccato l’acqua ho sentito una specie di brivido correre lungo la schiena, forse avevo paura che  mettendola tutta nell’acqua debordasse. La mano ha sentito un fresco piacevole e allora si è rotolata in quest’acqua pulita, ma si sentiva sola e non si divertiva ma, quando ha sentito arrivare la sorella che l’ha accarezzata, hanno congiunto le dita, grogiolate in quell’acqua fresca si sono sentite contente  stando bene tutte e due.

La scodella e la magia: Anna

LA SCODELLA – di Anna Meli

            Accarezzo lentamente con due dita una vecchia scodella ricca di storie e di ricordi. Fa parte di un servito di porcellana Richard Ginori che mia madre acquistò appositamente per la  prima Comunione nel lontano 1956 e che servì successivamente per le varie ricorrenze importanti.

            E’ molto bello, fine, elegante con i suoi bordi smerlati e dorati che si rincorrono armoniosamente. Nelle fasce laterali sono raffigurati con tenui colori, tre ramages con uccelli del paradiso che sembrano bere l’acqua contenuta nella scodella.

            Con la mano sinistra sfioro l’acqua in modo leggero: sento un brivido. Le dita tremano come percorse da una corrente. Per un momento mi ricordano il vibrare del ramoscello del rabdomante e ciò mi turba piacevolmente.

            Spingo più a fondo la mano che incontra il fondo della scodella più freddo e consistente dell’acqua che nel frattempo si è leggermente intiepidita: acqua e mano, una sola cosa.

            Sovrappongo la mano destra all’altra bagnandola leggermente, ma non sul dorso; poi le unisco come in preghiera, le sfrego per asciugarle e sento l’acqua che viene assorbita dalla pelle, ammorbidendola.

            Come un lampo un ricordo si fa largo nella mia mente: il nonno che versa gocce di olio nell’acqua della scodella e una bimba che chiede “ Perchè – Quando sei stanca o hai mal di testa fai come me e guarda senza pensare a niente le gocce di olio che si allargano senza mischiarsi all’acqua e, mentre loro si allargano, i tuoi malesseri passano e ti sentirai bene , più calma e serena. Capito nonno, ciao!”

            Ora ripongo la scodella al sicuro per non combinar guai e ritorno insieme alle mie care “matite”.

Mi presento: Datantotempo (nome) Scodella (cognome) – Carla

Datantotempo Scodella – di Carla Faggi

Sei Da-Tanto-Tempo Scodella, qualche graffietto, meno candida al centro; ti racconti con le tue rughe e le tue borse sotto gli occhi, con il tuo colorito invecchiato. Però più di tante altre scodelle, quelle moderne, di design contemporaneo, sei capace di contenere acqua e in quest’acqua accogliere i miei polpastrelli, sorreggerli come piccoli gommoni in mezzo al mare, fai sentire la mia mano leggera, cara Da-Tanto-Tempo Scodella, la fai sentire così leggera che sogno la spiaggia, il mare, i bagni distesa sul filo dell’acqua che mi trasporta.

Poi mi immergo e tu cara Da-Tanto-Tempo Scodella mi fai sentire benissimo, mi ci fai entrare tutta contenendomi però benissimo, mi fai sentire protetta, proprio come per chi inizia a nuotare allungare un braccio e trovare il gommoncino che lo salva.

Con l’altra mano ci si sta stretti, ma va bene così, sciaguattiamo un po’ e poi usciamo.

Proprio ora diventi magica, una ampolla di Acqua Santa, la Chiesa. Il Sacerdote, la Santa Messa, il Battesimo, le mie mani che benedicono il mondo.

È incredibile questa sensazione per una come me, che con la Chiesa Cattolica non ha mai avuto un buon feeling, ma il battesimo, la purificazione, l’inizio di un nuovo percorso stanno esercitando su di me un fascino incredibile.

Grazie per questa emozione, cara Da-Tanto-Tempo Scodella.

La scodella senza ricordi: Mimma

Il mare nella scodella – di Mimma Caravaggi

E’ principalmente azzurra con fiorellini blu e una farfallina sul fondo. E liscia al tatto, non ha grumi ed è piacevole sentirla sotto le dita che la esplorano. E’ stata appena comprata, non ha ricordi. Se metto la mano nell’acqua metà resta fuori poiché la scodella è piccola ma il suo contatto sulle mie dita è gradevole, gentile, fresco e leggero come se mi si fosse posata sopra una delicata farfalla che mi fa un po’ di solletico. Sensazione tutt’altro che brutta anzi deliziosa. Congiungo le mani e la freschezza dell’acqua raggiunge l’altra, ancora calda che si raffredda, pian piano ma piacevolmente e un ricordo riaffiora nella mente: vedo il mare immenso, azzurro calmo, liscio come l’olio dove giornalmente mi tuffo felice come un piccolo pesce rincorso da altri che non danno tregua. La sensazione con l’acqua è di felicità, di gioco, di libertà. Ormai sono tanti anni che non percepisco più queste sensazioni.

Acqua nella scodella: Stefania

Esperienza acquosa – di Stefania Bonanni

Un materiale liscio, scivoloso e colorato: fa pensare a un utilizzo per materiali morbidi, da non tagliare, che non si producano strisce o graffi, non  è piatto da strappi, ma da soffi e da lingua, non da denti. Quando si riempie d’acqua si riempie di un liquido rosa, come se il colore del piatto fosse ceduto al liquido, come se tutte e due avessero cambiato stato:  la ceramica diventa molle e l’acqua diventa ceramica. Acqua che accarezza, che sostiene, culla e disseta, anche se non se ne inghiotte arriva la soluzione alla sete dal tatto, dalla pelle che si ammorbidisce e si rinfresca dalle dita, che si allungano e si distendono. Ad occhi chiusi si beve dai mignoli che quando si compattano destro contro sinistro diventano una zattera in un mare fresco, pulito e casalingo e bevono le radici aeree della nostra pianta, bevono per calmare i sensi e per far fiorire le gemme perché il ramo non era secco e l’acqua fa miracoli. Acqua benedetta, potrebbe essere tutta benedetta l’acqua della nostra vita, acquasanta  che ci si accorge dei miracoli che fa solo quando manca.

Riflessione successiva

Mani sorelle nella scodella – di Stefania Bonanni

Mani sorelle, e davanti scodelle.

 Scodelle di casa, ripiene di vuoto.

Gli occhi son chiusi, il vuoto è riempito di materia divina, che piove dal cielo, sfama la terra.

Mani costrette toccano timide il margine dove l’acqua diventa aria, e spaccano il velo che distacca e separa.

La carne si bagna, il brivido scuote, gli occhi vedono fiumi, mari, laghi, di cielo e di stelle specchiate, di lune e tramonti riflessi, di giochi, di schizzi e di giorni leggeri, nell’acqua, con  l’acqua.

Acqua magica, che accoglie le mani e fa volare lo spirito. Acqua che benedice la vita, che è linfa e fa crescere, fiorire, sbocciare, profumare. Acque che si rompono, e sbarcano alla vita uomini e donne nuove. Acqua che porta via lo sporco, fa risplendere e lucida. Acqua che si mescola e diventa pane, sfama.

Acqua dentro di noi, che scorre con il sangue nelle vie tortuose delle strade sconosciute che ci abitano.

Acqua come uomini, perché non sempre è buona. Non fa crescere tutti nello stesso modo, ed anche il pane non c’è per tutti. Neanche l’acqua c’è per tutti, e chi deve solo girare una maniglia per farne uscire un fiotto, spesso non la riconosce, e la sciupa. E quella di troppi mari si è portata via, giù nel profondo, umanità disperatamente alla ricerca di un posto nel mondo dove vivere.

La scodella abbandonata: Patrizia

Scodelle – di Patrizia Fusi

La scodella azzurra è un abbandono, rimasta dopo una festa fra ragazzi a casa mia. Quando ho cercato di restituirla non era di nessuno, così è rimasta abbandonata e io l’ho accolta.

La bianca è un desiderio: quando mi sono sposata usava avere il servito buono per le feste o per quando c’erano ospiti.

 Avevo dei piatti che non mi piacevano, desideravo il modello della Antica Doccia Ginori per la sua classicità e per il motivo che, se ne rompeva uno, si poteva ricomprare.

Così comprai un servito di piatti bianchi di porcellana: 18, scodelle, 18 piatti piani, 18 piattini e tre zuppiere, marchio coop.

Quando ci ritrovavamo tutti inseme con la famiglia, o con gli amici, arrivavamo con facilità anche a quindici persone, fra grandi e piccini, così avevo il piacere di apparecchiare con il servito buono, che è stato di una qualità eccellente e ancora tuttora in vita. Mi è sempre piaciuto stare insieme, anche se l’età mi ha ridimensionata.

Quando a occhi chiusi ho accarezzato le due scodelle ho avuto sensazioni diverse, l’azzurra è di una forma lineare, sotto il bordo ho sentito una piccola scheggiatura, mi piace il contatto con la superfice liscia e fresca.

La bianca ha il bordo con delle scanalature in rilievo, la superfice piacevole al tatto.

Quando ho messo l’acqua ho scelto quella bianca, ad occhi chiusi con la mano sinistra ho sfiorato l’acqua, l’ho sentita impalpabile sotto i polpastrelli.

Ho immerso tutta la mano sinistra nella scodella, l’acqua mi accarezza come quando sono in piscina, mi abbraccia e mi fa sentire leggera, e il pensiero scorre agile come le bracciate.

La mano sinistra esce dall’acqua e si congiunge con il palmo della destra, sensazione di fresco, il dorso è caldo.

 Le due mani si immergono insieme nella scodella, si muovono, si accarezzano, lo spazio è poco e si accucciano vicine a pugni chiusi, piacevole l’acqua fra le dita.

Incontro del 9 febbraio 2022: Il gioco delle scodelle

con Cecilia Trinci

Il gioco delle scodelle ci ha consentito di sentirci unite, utilizzando un’esperienza sensoriale legata all’osservazione di una scodella, scelta da ognuno di noi tra le proprie, riempita successivamente di acqua, con cui le mani hanno giocato, prima la sinistra e poi la destra a seguire.

Splendida la discussione e la condivisione degli scritti

Festival delle storie: Vanna

In questo Festival leggeremo storie parallele. Tutte partono dallo stesso spunto e da alcuni obblighi: Il luogo (lago), le parole: sospiro, zuppa di porri e suora

LA FORMA DELLA SOLITUDINE – di Vanna Bigazzi

Neanche il lontano effluvio di quel cibo profumato lo distolse,

la nebbia, sul lago, offuscava i suoi pensieri.

La solitudine, dalle oscure forme,

solo ombre poteva incontrare.

Lo sguardo non si apriva all’infinito…

Nella sua mente stanca,

gli alberi, agli argini dell’acqua,

disegnavan canoe senza destino.

Sospiro`, in quello stato immobile.

Attendeva una voce, lo sguardo di qualcuno,

poteva solo parlare a se stesso.

L’alba era verde e fredda,

in quel luogo di ombre care.

Come in sogno gli apparve il volto amato,

fuggito per sempre, senza lasciare indizio.

“Potesse qui mostrarsi per magia…

Manifestarsi, nel suo dolce splendore!”

Dalla nebbia, in lontananza,

una figura bruna,

confusa fra le nuvole lacustri

e mano a mano, piu` limpida appariva,

gli sorrideva armoniosa e felice.

I suoi lineamenti ravviso`,

prodigio, meraviglia quel che vide,

insperata grazia gli pervase il cuore.

Come Madonna di bianco vestita,

suora gli apparve, generosa e santa,

intuiva il suo tormento e la mano gli tese,

non fu un saluto, solo accoglienza divina

Festival delle storie: Patrizia

In questo Festival leggeremo storie parallele. Tutte partono dallo stesso spunto e da alcuni obblighi: Il luogo (lago), le parole: sospiro, zuppa di porri e suora

Sul lago dorato- di Patrizia Fusi

Ho ricevuto uno strano messaggio che mi invitava a un incontro, nel mio paese d’origine Castiglion del Lago, presso l’albergo Florida per sabato venticinque Settembre, questo mi ha incuriosito, ho deciso di cogliere l’occasione e di prendermi una settimana di vacanza.

E’ stato piacevole ritornare al paese, ho trascorso una settimana intensa, ho ripercorso tutto il paese, ci sono stati tanti cambiamenti nei trent’anni che sono mancata, in piazza Mazzini è ancora aperto il bar dove ci trovavamo noi ragazzi, causa la pandemia ora hanno posizionato dei tavolini all’esterno del bar; arrivano quasi alla fontana.

Sono entrata ho provato piacere e nostalgia, non ci sono più i vecchi proprietari ma una coppia di giovani, l’interno del bar è stato rinnovato, anche il consumare è cambiato ora vanno di moda gli apericena.

Nel centro alcuni negozi storici sono rimasti, tanti altri cambiati, sopraggiunti quelli di elettronica e telefonia.

La macelleria di Roberto è rimasta, ora è gestita dal figlio, hanno specialità di insaccati umbri, accanto  c’è ancora l’ortolano con in bella mostra le primizie e i prodotti tipici del luogo olio e vino compreso, manca il vecchio proprietario il mitico Maurizio e il suo rosso gattone Tigro che era fisso in una comoda cesta posizionata all’esterno sotto il banco delle primizie, era come controllasse l’entrata, Maurizio era personaggio sempre pronto alla battuta con i suoi clienti e anche con noi ragazzi, ironico e pungente ma mai cattivo.

Il negozio d’abbigliamento Marisa ha ancora in esposizione capi di fattura elegante, noi giovani allora li vedevamo come vestiti per vecchi, ora sono di mio gusto.

Ho passato delle belle giornate sulla spiaggia, facendo il bagno anche se l’acqua era un po’ freddina e a crogiolarmi al sole come una lucertola.

In qualche momento mi sono sentita sola, non ho legato con nessuno nell’albergo anche perché è mezzo vuoto.

Ho pensato molto all’appuntamento di sabato mi sono venute alla mente molte possibilità sulla persona che mi ha invitato, forse una l’ho azzeccata.

E’ arrivato sabato mattina: dopo la giornata calda di ieri il lago e il paese sono avvolti in una fitta nebbia, si intravede con difficoltà la forma delle cose che ci circondano, i raggi del sole filtrano appena attraverso quella coltre umida e grigia.

L’appuntamento è per le nove e trenta, per tempo mi sono seduta infondo alla sala su una morbida poltrona rossa, controllo l’entrata, l’inquietudine mi prede lo stomaco, un profondo sospiro mi esce dal fondo del cuore, mi sento sola.

Ci sono altre due persone: una suora è vicina alla grande finestra che affaccia sul lago, mi volta le spalle, sta leggendo un libro, ogni tanto alza gli occhi e scruta fuori come stesse aspettando qualcuno.

Nella terrazza coperta adiacente alla sala ci sono delle poltrone di vimini con dei cuscini con grandi fiori rossi, della stessa tonalità della mia poltrona, il tutto è un po’ retrò, su una di esse un uomo di mezza età fuma nervosamente, nel guardare il suo profilo mi sembra una persona conosciuta.

Nell’attesa continuo a scrutare quello che mi circonda per staccarmi dalla malinconia che sento dentro di me, la sala viene invasa da un forte odore dalla cucina, sembra zuppa di porri che è una specialità dell’albergo, ma a questa ora del mattino questo odore mi dà fastidio.

Vedo arrivare un bel signore, lo riconosco se pur cambiato…. ma e Paolo!!!!! Va diretto nella terrazza e si avvicina a testa bassa con decisione, i due si guardano con intensità si stringono la mano con vigore, li vedo emozionati ma felici di vedersi.

Paolo si guarda intorno: vede la suora, la riconosce, la chiama: Elisabetta!!!!

Carla si è già alzata e va incontro ai suoi amici emozionata.

Da quando Paolo scappò via dal paese rendendosi conto di essersi innamorato di Marco, il rifiuto di lui, per codardia e il poco coraggio di affrontare le proprie diversità, il giudizio delle persone, tutto da allora era stato doloroso.

Da allora si erano allontanate le vite, ognuno con i propri segreti.

Era venuto il momento dei chiarimenti, della comprensione e del perdono.

Chi era stato a richiamare tutti lì, quel giorno, in quella stanza, su quel lago dorato nessuno lo seppe mai.

Vi ricordate questa lettura?

Febbraio 2019

Ti sento Giuditta di Piero Chiara

Più di una volta, da ragazzo,  gironzolando sul porto avevo notato che uno dei più seri frequentatori del caffè Clerici, Amedeo Brovelli, ex commerciante ritirato dagli affari con poca rendita, nelle giornate di tramontana stava fermo per ore intere sul molo coi capelli grigi arruffati dal vento che lo prende va di spalle. Non pescava e neppure abbassava gli occhi sullo specchio d’acqua del porto ma teneva lo sguardo rivolto verso il paese senza espressione come se guardasse nel vuoto.

Incuriosito gli passavo davanti e lo osservavo senza che se ne accorgesse, tanto era rapito Alcune volte aveva addirittura gli occhi chiusi e un sorriso sulle labbra.

 Fui il solo ad accorgermi di quella sua abitudine e a notare che le sue estasi coincidevano con i giorni di vento. Negli altri giorni pescava con grande attenzione attendeva la sua barca i suoi attrezzi oppure leggeva il giornale al caffè.   Finì col prendere in simpatia e col fidarsi di me come rematore quando pescava alla tirlindana lo spostavo verso le rive dove erano posate sul fondo le fascine predisposte per la nidificazione dei pesci e docile sui segni e restavo la barca che diavolo lentamente stavo con i rem in aria quando capivo che il pesce stava abboccando e non bisognava fare rumore nell’acqua.

Un giorno di vento che gli giravo intorno sul molo mi chiamò a sé:

Mettiti come me, disse, con le spalle al vento.

Obbedii subito e steti per un po’ nelle raffiche

“Alza un po’ di più la testa, respira lungo, adagio, mi diceva, senti niente?

 Niente

 Lui invece sentiva perché socchiudeva gli occhi estasiati e mormorava le vacche! i boasc i boasc! Riapriva gli occhi e dopo un po’: il pane il pane a Cannobio il pane fresco non lo senti?

Cannobio era sull’altra sponda del lago a 8 km. Capii di colpo che il Brovelli sentiva l’odore del pane nel vento, del pane che usciva in quel momento da un forno a Cannobio e subito mi parve di sentire anch’io  quell’odore.

 Lo sento dissi lo sento. Micchette, micchette di semola

 Bravo! gridò il Brovelli, proprio micchette e  tralasciando un momento di sentire mi spiegò che il vento fa come l’acqua della Tresa intorno ai piloni del ponte di Germignaga:  si divide contro il barbacane poi si riunisce subito dopo.  Mettendosi con le spalle al vento l’aria si divide dietro la nuca e si riunisce sotto il naso.  Sapendola aspirare delicatamente si possono sentire gli odori che porta con sé da lontano.

 Il lago mi spiegava non ha odore sotto il vento e non turba quelli che gli passano sopra. Stando sul molo dove arrivano le raffiche si possono distinguere tutti i sentori che il vento scendendo dalla Svizzera raccoglie lungo le valli dell’altra sponda.

 Ecco diceva lo senti ora l’odore delle vacche? Aveva ragione si sentiva benissimo l’aroma delle stalle!

Ormai avevo imparato e quel giorno come lui sosteneva era una giornata buona perché passò ancora un paio di volte l’odore del pane fresco e anche con sua grande gioia l’odore delle capre.

 Le capre le capre  sussurrava toccandomi ed era vero si sentiva leggero ma inconfondibile l’odore dei becchi e delle capre che stavano sotto le rocce e sui greppi delle vallate di confine. D’ un tratto e non poteva venire che da Brissago sulla sponda Svizzera sentimmo insieme l’odore del tabacco che usciva dalla fabbrica dei sigari.

Gridai  per primo: I toscani! I toscani di Brissago! fu una prova che prima non avevo ammesso di sentire il pane e le capre solo per compiacerlo.

 Il tabacco disse si sente raramente ma oggi arriva con piacere: Toscanelli toscanelli di Brissago!

 Era davvero una gran giornata per gli odori forse una mattina di fine Marzo o dei primi di Aprile quando gli odori sono ancora pochi e si possono distinguere nettamente. Sentimmo le vacche, le capre, il pane, tabacco perfino la polenta! Poi ci arrivò un nuovo messaggio ci guardammo ognuno in attesa che l’altro parlasse per primo non osavo arrischiare il nuovo odore e lasciai che lo annunciasse lui ma era chiaro che si trattava di caffè tostato

Questo viene da Locarno disse, 20 km! qui vicino alla torretta siamo nell’angolo giusto per sentire Locarno….. che caffè! (…)

Anni più tardi, quando il Brovelli era morto, passai mattine intere sul molo per risentire gli odori, ma avessi dimenticato la posizione esatta o l’angolo giusto, non mi riuscì di sentire altro che l’odore d’acqua e quasi di luce che ha sempre il vento al mio paese.

Festival delle Storie: Luca

In questo Festival leggeremo storie parallele. Tutte partono dallo stesso spunto e da alcuni obblighi: Il luogo (lago), le parole: sospiro, zuppa di porri e suora

Storia di una suora e di un pianeta – di Luca Di Volo

Finalmente si avvertì il sordo rimbombo della nave che toccava il suolo… l’ultima parte dei viaggi era sempre così noiosa, snervante addirittura, a quelle velocità da lumaca, dopo la fantastica cavalcata a inconcepibili velocità attraverso le stelle…Il solito pensiero, che si ripeteva ininterrotto ad ogni arrivo su un suolo sconosciuto…

Con un sospiro rassegnato il comandate Andrei Toshimura fece spengere i motori . E anche quello era un istante magico… silenzio, finalmente il silenzio… l’attimo indefinibile tra l’immobilità e l’azione… Gli faceva ritornare sempre in mente l’Auriga di Delfi…sospeso tra l’essere e il non essere… come tutti loro, fermi, finalmente fermi ma pronti a muoversi per incontrare… cosa… ? ! Nessuno lo sapeva con sicurezza… e gli oblò lasciavano passare solo una pallida luce rosata… Secondo i calcoli doveva essere un’alba… Ma forse anche no… l’universo era tanto strano…

Però, almeno,  l’aria era respirabile, e avevano visto che erano atterrati sulle sponde di un magnifico lago verdazzurro… che, secondo ogni logica, doveva essere composto di acqua…. la buona vecchia H2O… che sembrava occupare tutte le nicchie possibili … ma non si poteva mai dire…

La snella figura di Suor Virginia stava già scalpitando impaziente davanti alla cabina d’uscita…Suor Virginia… ? ! Macchè… si sbagliava sempre… quella  era la dottoressa Virginia Adani, una delle esobiologhe più note della Terra…ma anche una Suora … dell’ordine delle Carmelitane, per l’esattezza… Eppure la tuta che indossava non assomigliava neanche lontanamente all’abito monacale… su questo la Marina Spaziale era stata fermissima… e anche il  Papa, Alessandro XII… aveva dovuto cedere … andassero pure le suore scienziate a zonzo per l’universo, ma con le uniformi prescritte… L’unica differenza era una piccola croce sulla spalla e un nastro bianco tra i capelli fulvi, tagliati cortissimi, pallida immagine dell’antico velo monacale… Per il resto era un membro dell’equipe scientifica… niente di più… e niente di meno…

E infatti, appena aperto il portellone d’uscita, lei e i membri della sua squadra sciamarono fuori come uno sciame d’api curiose… Lui no… non poteva, ancora… era il Comandante e doveva controllare un milione di cose…

Emise un altro sospiro, più forte, questa volta, dicendo al suo secondo che gli sedeva accanto…”Ma lo sai che qualche volta invidio gli scienziati… io per loro sono solo l’autista che li porta dove vogliono andare… A volte vorrei far domanda di cambiare mestiere… e ora perche’ ridi Alexiei? ! … ”

“Rido perché ho capito cosa ti fa tanto desiderare di fare lo scienziato… ”… Alexiei Kerenski, il secondo, a volte non rispettava per nulla la gerarchia… ma in certe cose, come diceva sempre, avere antenati Russi era un vantaggio…si vantava di quello che chiamava “sciamanesimo slavo”…una specie di telepatia di bassa lega… però era un simpaticone . ”Attentare alla virtù di una suora è sacrilegio… lo sai? ! ”

“Maledetta lingua lunga… smetti di dire stupidaggini e vai a controllare i motori…e ringrazia il tuo Dio che oggi si festeggia l’atterraggio e sono benevolo…”

Però quel maledetto sciamano non si era inventato proprio tutto…Altro sospiro… e il comandante Toshimura si immerse nei suoi doveri…

Intanto la squadra di scienziati era già partita per esplorare il pianeta…coi mezzi veloci e gli strumenti moderni non gli ci sarebbe voluta più di una settimana (tempo della Terra) per fare un quadro generale…

Ma il tempo passava veloce e alla fine anche il nostro comandante potè  varcare la soglia di quel mondo sconosciuto… e uscire all’aperto.

Lo accolse uno spazio immenso… si era quasi dimenticato quanto realmente fosse grande un pianeta… e quanto angusta fosse stata fino ad allora la sua dimensione abituale… anche se la nave al suo comando era oggettivamente gigantesca… ma in confronto ad un pianeta …

Passato quell’attimo di agorafobia, ebbe più agio di concentrarsi sul panorama. Estraneo…alieno… la prima definizione a venirgli in mente fu questa…  ma si rispose da solo “ E cosa credevi di trovare? ! ”. Sorrise a sé stesso… ormai avrebbe dovuto abituarcisi… ne aveva visti tanti… ma niente, la stretta al cuore era sempre la stessa…Il fanciullino che era in lui, come tutti gli umani, cercava la casa e la mamma… la protezione di qualcuno.

Guardò il lago. Avevano sbagliato a giudicarlo azzurro…visto da vicino invece era di un bel verde profondo… lo specchio di un cielo dello stesso colore, più sfumato, magari… Colpa della stella intorno a cui orbitava… meno gialla del suo Sole… appena appena più calda… un po’ più azzurra, appena appena… ma bastava per cambiare tutto.

Il resto del paesaggio era senza storia… secco, morto, piccoli avvallamenti… niente montagne… niente nuvole… Una specie di spazzatura dello spazio… solo strane luci che sembravano oscillare su quel lago… forse erano effetti ottici… barbaglii luccicanti, chissà.

Si distrasse da tutto questo:la spedizione stava ritornando… e suor Virginia insieme ai suoi assistenti  stava incamminandosi verso la nave…

Quando passò davanti a lui alzò lo sguardo, e l’espressione che vi lesse gli dette una stretta al cuore… povera Virginia… un’altra delusione.

Lui lo sapeva bene perché la dottoressa Virginia Adani, alias Suor Virginia, passava la vita a zonzo per l’universo… nonostante la sua granitica riservatezza non era un segreto per nessuno. Cercava quello che tutti cercavano… l’umanità intera, senza luogo e senza tempo, dalla comparsa dell’autocoscienza…la domanda eterna:”C’è qualcun altro. , siamo soli? ! ”

Ma in lei c’era qualcosa in più… una fede, fieramente sostenuta dalla scienza…a volte addirittura un po’ fanatica. Una miscela esplosiva che si traduceva in una determinazione quasi mistica.

Eppure non era priva di sentimenti. I suoi lati umani erano ugualmente pieni e totalizzanti, i due lati in lei si pareggiavano… Dava l’idea di poter essere scienziata, suora devota e… perchè no… allo stesso tempo splendida amante appassionata. In lei non c’era contraddizione alcuna.

Calava la sera su quel mondo straniero, quando Virginia (la chiamerò così, senza tanti titoli) si fece ricevere dal Comandante, e senza tanti preamboli gli chiese dipoter passare la notte FUORI della nave, a poche decine di metri, ma FUORI.

Al povero Andrei gli diventò bianco un ciuffo di capelli… la prima risposta sarebbe stata un secco e ghignante no, reciso… ma non si poteva… Quella che aveva davanti non era una persona qualunque… e forse aveva le sue ragioni, che lui non comprendeva.

Quindi… bisognava trattare, sforzarsi di raggiungere un compromesso, che  salvasse almeno le apparenze.

Perciò l’autorizzò a rimanere fuori della nave durante la notte, ma sorvegliata a vista da tre robusti marines armati di tutto punto… e non si sentiva tranquillo neppure così…Comunque… incrociò le dita…

E all’alba di quella notte insonne si sentì ancor meno tranquillo quando, passando per le camerate, vide i tre eroici marines, incaricati di sorvegliare Virginia, che stavano beatamente dormendo nelle loro brande.

L’urlo del comandante svegliò tutti, compresi i tre malcapitati che, nudi com’erano si alzarono in piedi facendo il saluto militare…ma Andrei non era in vena di comicità. A voce pericolosamente bassa disse:” E come mai non siete fuori con suor Virginia(ora gli piaceva chiamarla così)? ! ”

I tre cominciarono a mugolare… ”Comandante … non è colpa nostra…”uno parlava e gli altri scuotevano la testa… poi parlava un altro e scuotevano la testa gli altri due… ”Ce lo ha detto lei…voglio star sola… ”… ”Noi non volevamo… abbiamo tenuto duro… ma poi lei ha fatto valere il grado…e allora bisognava obbedire… ”

“E l’avete lasciata SOLA? ! ! ”. IL ruggito fece tremare le paratie del locale…. ”Maledetti imbecilli, deficienti… (e qui mi fermo, dato che la Marina Spaziale a volte usa vocaboli che potrebbero offendere l’orecchio dei lettori)…ma ne riparleremo alla base… ”Alexiei… ! ! ”Altro urlo… ”Metti ai ferri questi disgraziati… e nella cella più oscura nella nave…poi preparami un rapporto per la corte marziale… ”

 I tre malcapitati uscirono, prendendosi mentalmente a calci per essersi arruolati …però una come suor Virginia … chi la poteva prevedere? !

Ma lasciamo i tre poveracci alla loro sorte…

Per fortuna era quasi l’alba, e anche dagli oblò si poteva scorgere la figura indistinta della suora, sulla riva del lago.

In un attimo Andrei e la scorta furono fuori e raggiunsero Virginia in un batter d’occhio.

Ma arrivatile vicino si fermarono di botto, sgomenti.

La dottoressa Adani era immobile, inginocchiata… gli occhi verdi brillavano per l’estasi…

Che gioielli…mi dispiace dirlo ma questo commento fuori luogo fu proprio il comandante a farlo… completamente a sproposito… già perché tutto l’atteggiamento di suor Virginia era tale da incutere rispetto e… quasi timore…

Passò un po’ di tempo… che sembrava essersi fermato per tutti, quando finalmente lei percepì la loro presenza. Ma non cambiò umore, anzi, apparve felicissima di vederli…Lo smagliante sorriso lo confermò subito.

Intanto Andrei ragionava furiosamente…si girò intorno:nulla, la solita desolazione…si fissò sul lago… se poi “era” un lago… e su quelle luci … quelle luci… Ora parevano vive… sentì di odiarle istintivamente, afferrò un sasso e con una cavernicola reazione, fece per tirarlo dentro al lago…Con uno scatto felino Virginia gli afferrò il braccio… era sconvolta.  “Fermo, fermo, Andrei(era la prima volta che lo chiamava cos’), fermo, per l’amor di Dio…sono questi i nostri… i nostri fratelli…li abbiamo trovati…”E i suoi occhi parevano amplificarne lo splendore… ”Io devo restare qui… devo imparare tante cose… tante cose…, tornerete … oh sì che tornerete… e allora potrò dirvi tutto… e festeggeremo…Andrei, la mia è una promessa… sarò ancora umana, non preoccuparti, ma ora devo restare… ”

E fu necessario ancora un compromesso…Sarebbe restata in quel desero, sì, ma con adeguata scorta di uomini armati, viveri… e tutto il resto… Un bel rischio ma se lei avesse avuto ragione anche in minima parte… si doveva rischiare…

E così lei rimase… aveva davvero trovato il suo Dio? ! Nessuno poteva dirlo… ma neanche negarlo…

Ma ormai il tempo era scaduto… bisognava partire. I motori della nave già stavano rombando.

Andrei, solo nella sua cabina, era lì col corpo ma la sua anima era altrove… accanto all’adorata Virginia… sulle rive di quel lago ultraterreno…e se si fosse sbagliato… la Chiesa avrebbe chiesto e ottenuto la sua testa… e la Marina gliel’avrebbe data volentieri…

E proprio in quel momento gli giunse un penetrante odore familiare… chissà perché, forse per festeggiare la partenza, il cuoco aveva deciso di cucinare la zuppa di porri… quella della sua infanzia…  

Suo malgrado gli occhi gli si riempirono di lacrime… non sentì neppure la tremenda pressione  dell’accelerazione che spingeva la nave lontano da quel mondo… nell’universo senza fine… e senza tempo.

Aria di febbraio: alberi e uccelli

una foto di Cecilia:

foto di Cecilia Trinci

Disegno di Lucia Bettoni e pensiero di Rossella Gallori

disegno di Lucia Bettoni

Pensiero – di Rossella Gallori


fiori all’improvviso
lo vidi sorridere nel giardino difronte al mio.
ammiccava alla mia erba che in un giorno di sole mostrava un vestitino color prato..
vidi mille pettirossi fare il girotondo.
vidi i tuoi occhi guardare i miei tra le foglie
fu quasi estate …un giorno….un anno

Altri uccelli in una foto di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Incontro del 2 febbraio 2022: le storie

con Cecilia Trinci

La Candelora. Il cielo è sereno, il sole deciso, almeno nel primo pomeriggio. Ci incontriamo quando la luce comincia a calare, ma l’aria di febbraio contiene già una promessa di primavera e trasmette speranza di uscire presto dal tunnel del Covid. Così mi azzardo a prevedere, verso maggio che arriverà, una “festa finale” in presenza, con tanto di abbracci a lungo repressi, chiacchiere dal vivo e buon cibo da assaggiare.

Vorrei portare, quel giorno, la lettura “a più voci” del frutto saporito del nostro Festival di storie, che mi piace commentare oggi, sottolineando i diversi “incipit” che subito ci fanno catapultare dentro le belle storie, ognuna diversa dalle altre, i diversi ambienti e registri comunicativi.

Riassumiamo insieme le storie fin qui pubblicate, che seguono il carattere di ogni autore, con adeguato stile perfettamente riconoscibile, in cui ognuno di noi sa esprimersi al meglio: una carrellata di parole suggestive, che suggeriscono senza appesantire, emozionanti senza retorica, colorate senza zavorre.