Storie a ritroso – Cartolina da Roma: Nadia

Fontana di Trevi – di Nadia Peruzzi

Era una figurina minuta. Indossava un vestitino di cotone bianco con dei fiori rossi che la faceva sembrare poco più di una bambina.
Se l’era ritrovata dentro l’obbiettivo mentre stava cercando l’inquadratura perfetta per la foto che doveva fare.
Attorno alla Fontana di Trevi c’era la solita calca, il solito brusio in cui si sovrapponevano lingue e dialetti di ogni parte del mondo. Un gran bazar di suoni, voci, risate, sudori,  odori più o meno gradevoli in quello scampolo di estate romana accarezzato dal ponentino.
Lei sembrava uscita da un fotogramma di Vacanze romane. Guardava rapita verso la fontana che,  ad ogni folata di vento,  la imprigionava in una ragnatela di goccioline impertinenti .
In un secondo giro di obbiettivo era riuscito a coglierla proprio nel momento in cui, col braccio alzato sopra la testa stava gettando nell’acqua la sua monetina. Un raggio di sole evidenziava le sfumature ramate dei suoi capelli. Aveva occhi tagliati all’orientale, una frangetta sbarazzina che la faceva sembrare una liceale in gita scolastica, un nasino all’insù così perfetto da essere unico e inimitabile.
Ci aveva fatto caso perché per lavoro si era ritrovato a fotografare visi resi, ad ogni trattamento, sempre più finti, inespressivi, comuni e anonimi in quel regno di silicone e botulino così alla moda fra le attricette e le modelle che frequentava.
La svedese di un metro e 70 che aveva di fronte quel giorno era un prodotto di quel mondo li. Labbra a canotto, gran voglia di emergere e con ogni mezzo,  anche a costo di risultare un incrocio fra attrici diverse , dopo l’ennesimo intervento di chirurgia estetica. Di suo non era rimasto più nulla. Si stava esponendo ai suoi scatti per cercare di raccontare una lei che non esisteva più da tempo. Era una imitazione e nemmeno di gran livello.
Scattava di malavoglia, per mestiere. Ogni tanto aveva cercato la ragazza col vestito a fiori rossi. Per fortuna era sempre ferma al solito posto e per fortuna quel punto era, adesso, in favore di luce. Gli ultimi scatti alla biondona aveva deciso di farli proprio li.
Si era avvicinato ma lei si era girata a mala pena verso di lui.
Aveva scattato le ultime foto, poi un saluto veloce con un cenno e un arrivederci e la stangona si era persa in mezzo alla folla.
Si era ritrovato imbambolato a guardare verso quella ragazza così particolare, in mezzo alla moltitudine vociante e chiassosa. Non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, ma non sapeva come rivolgerle la parola. Lo aiutò , senza volere, un tedescone di due metri che nella calca, sfiorandola, aveva sciolto il foulard rosso che lei portava al polso a mo’ di bracciale.
Lo aveva raccolto in fretta prima che qualcuno potesse calpestarlo. L’aveva toccata sul braccio per attirare la sua attenzione.  Ci era voluto un po’ prima che lei si girasse. Come se si fosse dovuta liberare da un sogno che stava facendo.  Il primo sguardo che gli aveva concesso era venato di fastidio, poi alla vista del foulard rosso l’espressione da severa e accigliata che era, si era fatta dolce e per nulla scostante. Il suo grazie era stato accompagnato da un sorriso che le aveva illuminato il volto e fatto brillare quel suo sguardo vivace, da monella.
Sergio si era perso subito dentro quegli occhi venati di pagliuzze dorate sotto i raggi del sole del tardo pomeriggio. In un attimo aveva avuto la sensazione che in quella piazza , nonostante le spinte che ricevevano da ogni parte, fossero rimasti solo loro due.
Si erano ritrovati a parlare come se si conoscessero da tempo. Lui le aveva raccontato del suo lavoro in mezzo alle star della tv, lei dei suoi studi di storia dell’arte e delle emozioni di quella sua prima volta a Roma. Anzi , meglio,  della sua prima volta al di sotto della linea della pianura padana. Non le era mai capitato prima di scendere verso sud, in “Terronia” aveva aggiunto con una risata cristallina che lo aveva infastidito non poco. Lui uomo del sud, trapiantato a Roma e partito appena due anni prima da Santa Maria di Leuca.
Per fortuna avevano stemperato il passo falso con un gelato comprato in quel piccolo bar d’angolo affacciato sulla piazza. Era dolce e fresco come l’aria di quella serata romana dalle ombre sempre più lunghe.
Avevano vagato senza meta per ore. Un po’ sul lungotevere, poi il Pantheon e Piazza Navona, il Ghetto e il Teatro Marcello. Erano scesi di corsa dalla Scalinata del Campidoglio tenendosi per mano.
Il sonno se n’era andato . Anzi, per meglio dire, non aveva fatto nemmeno a tempo ad arrivare.
Ed erano ritornati li dove si erano incontrati. La piazza vuota era impressionante. L’acqua dominava la scena a quell’ora della notte. Le luci della fontana, dopo il restauro, spandevano su tutto una patina azzurrina. I palazzi sui tre lati della piazza erano avvolti d’oscurità e persi nel sonno dei loro occupanti. Solo la fontana era viva ed era li solo per loro. Ogni zampillo, ogni gloglottio sembrava chiamarli. Erano accaldati, malgrado il ponentino. Il cemento e i sanpietrini avevano iniziato a rilasciare tutto il calore accumulato durante la giornata. In un attimo si erano trovati nell’acqua a ridere come scemi e a schizzarsi come fanno i bambini al primo giorno di mare. Nessuno dei due aveva l’età per ricordarsi il bagno che aveva fatto epoca. Per loro era stato un semplice cogliere l’attimo. Si erano spogliati di ogni remora e avevano trovato il coraggio di osare l’impossibile e il vietato. Coraggiosi solo perché erano insieme.
La consapevolezza delle poche ore che avevano davanti prima del rientro a casa di lei aveva reso tutto più magico ed eccitante.
L’adrenalina era salita a mille quando avevano visto il lampeggiante di una macchina della polizia che faceva la ronda nel quartiere.
Si erano dati alla fuga appena prima che riuscissero a vederli. Avevano corso, inciampando sui sassi sporgenti del selciato sconnesso e non si erano fermati che a Piazza di Spagna.
Seduti sulla scalinata avevano passato il resto della notte ridendo e scherzando . Il primo bacio era arrivato con le luci dell’alba , che salutava il nuovo giorno.

Davanti al caffé Greco , in fila per una colazione da favola, c’erano arrivati mano nella mano, persi uno dentro gli occhi dell’altra.
Avevano un po’ di tempo prima di andare alla Galleria Borghese. L’ingresso sui biglietti era fissato per le 9, 30. Marzia ne aveva due visto che l’amica che doveva essere con lei all’ultimo le aveva detto che non poteva assolutamente lasciare il lavoro.
Si erano tolti dagli occhi gli ultimi rimasugli della notte insonne, sotto il getto di acqua fredda alla toilette del caffé Greco. Si erano rinfrescati alla bell’e meglio e poi via di nuovo .
Ritrovarono il Bernini nelle sculture custodite a Villa Borghese. Marzia aveva il cuore che le batteva a mille. Il Ratto di Proserpina lo aveva studiato e visto solo sui libri e trovarselo di fronte tradotto in realtà le aveva prodotto un’emozione fortissima.
Di quei momenti,  lui aveva conservato le foto che aveva fatto allora.
Lei che guardava da sotto in su quella statua enorme , lei che gli sorrideva sbarazzina mentre indicava le mani affondate nelle carni di Proserpina, lei che guardava i soffitti con i loro affreschi ricolmi di fiori e frutti, lei statuaria e quasi irreale a fianco di Giuseppina Bonaparte del Canova e agli occhi di lui non meno bella.
Uscirono dal museo che era già caldo. Avevano attraversato il grande parco alberato e dal Pincio erano scesi a Piazza del Popolo, per finire in una di quelle trattorie romane con le tovaglie a quadri rossi e bianchi che sembravano arrivare diritte dagli anni 60.
Li aveva serviti una sosia della Sora Lella , che loro conoscevano più per i libri di ricette delle loro madri,  che per il fatto di essere stata attrice e sorella di uno dei grandi attori di una stagione pazzesca ed irripetibile del cinema italiano.
Si erano alzati un po’ brilli. Al solito l’Est Est Est aveva fatto il birbone. Scendeva come acqua, ma poi te lo ritrovavi nelle gambe e nella testa dopo non molto.
Stavano bene anche perché si erano scoperti ebbri più di felicità che di vino.
Avevano sentito ancora una volta il richiamo della Fontana di Trevi e ci si erano ritrovati quasi senza rendersene conto.
Uno sguardo a 360 gradi, una foto ancora a lei e a quel suo vestitino bianco a fiori rossi che risaltava come non mai con alle spalle l’acqua cristallina e le grandi statue bianche sullo sfondo, poi il negozietto dove avevano deciso di regalarsi a vicenda una guida di Roma e una cartolina della Piazza di Trevi con la grande fontana in primo piano.
Il treno era li li per partire quando erano arrivati di corsa alla stazione. C’ era  stato  solo il tempo di un abbraccio fugace e di un bacio sulla fronte, poi il vestitino con i fiori rossi era sparito nello scompartimento.
Sergio non era riuscito a vedere Marzia che lo salutava da dietro il finestrino. Un raggio di sole cattivo e tagliente glielo aveva impedito.
Non si erano mai più visti. Di lei, e per puro caso,  lui aveva fissato in un ultimo scatto il cognome e l’indirizzo della sua casa a Bergamo. Lo aveva scritto sulla guida una volta che lui gliel’aveva data in Piazza dei Trevi.  Se n’era accorto solo quando aveva stampato quelle foto.
A quel punto era già lontano. Fuori dall’Italia.  Un lavoro capitato per merito di un amico che aveva pensato a lui e che lo aveva tenuto negli Stati Uniti per tre anni.
Quei due giorni erano stati presto dimenticati e le foto erano sparite sotto la mole delle tante che aveva dovuto scattare negli anni americani.
Stava finendo di mettere a posto la libreria. Gli mancava l’ultima scatola di un trasloco che gli era sembrato più faticoso di sempre.
“Sto cominciando ad invecchiare”, si ritrovò a pensare Sergio.
Era appena rientrato a Roma e stava riordinando il vecchio appartamento fra sbuffi di polvere e pavimenti da lavare.
Sotto due romanzi di giallisti svedesi vide comparire quella piccola guida di Roma a cui non aveva fatto caso da tempo. La sfogliò e una cartolina cadde terra. Ebbe un tuffo al cuore. La riconobbe e gli tornò in mente tutto. La Fontana di Trevi in quella calda giornata di fine estate, la ragazza nel vestito bianco con i fiori rossi, la felicità e la spensieratezza che gli aveva donato in quelle 48 ore vissute con una intensità mai sperimentata dopo in nessun luogo e con altre.
Andò al computer per cercare la foto con l’indirizzo e non fu lavoro facile, viste le migliaia stivate durante quegli anni.
Si emozionò alla vista di quella calligrafia netta e rotonda.
Fu il cuore a guidare la sua mano mentre iniziava a scrivere sulla cartolina.

Ciao Marzia!!

Questa città è bellissima! Ieri sera uscendo dalla stazione ho rivisto la nostra fontana…ti ricordi? Ora l’hanno restaurata e è ancora più magica, specialmente di notte con le luci dal basso. Te la mando con un abbraccio per te. Avrò molto da lavorare ma cercherò di tornare al Museo che ti piaceva tanto…. quel giorno che sembravi una bambina in gita! Mi manchi e spero di rivederti

S.

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

7 pensieri riguardo “Storie a ritroso – Cartolina da Roma: Nadia”

  1. Adoro le storie d’amore e la tua è bellissima
    Un’intensa storia d’amore , non banale, fresca e coinvolgente che fa della sua brevità un punto di forza…e come se non bastasse trovo che il museo di Villa Borghese sia straordinario!
    Bravissima Nadia!

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  2. Una storia coinvolgente che ti prende per mano fino alla fine, mi sembra di conoscerli quei due, amanti pe 48 ore…bella storia…

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  3. Che galoppata per Roma a destra e a sinistra! Belli e freschi questi due giovani e la loro storia. Mi sono divertita e appassionata alla narrazione. Grazie Nadia

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  4. Lei che guardava di sotto in su, lei che gli sorrideva sbarazzina, lei che guardava i soffitti, lei statuaria…agli occhi di lui non meno bella.
    Attraverso gli sguardi di lei lo sguardo innamorato di lui, un gioco molto interessante!

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