La Barcaccia – di Cecilia Trinci

Ormai faceva così tutte le volte che andava a Roma: scendeva a Termini, saltava la coda dei taxi e prendeva subito a destra, a piedi verso Trinità dei Monti. Non era così lontano e camminare sotto quel cielo, sempre allegro di storni, lo faceva sentire in vacanza. Adorava viaggiare per lavoro. Si mescolava agli orari, ai passi frettolosi, alle battute locali e si sentiva in una bolla di libertà. Un paese si conosce lavorandoci, lo aveva sempre pensato. Passava davanti alla pasticceria siciliana zeppa di caffè, ricotta e pistacchio, rinunciando alle tentazioni, prendeva di buon passo la salita centrale, guardando le vetrine diverse da quelle solite. Furgoncini frettolosi, valigette come le sue, qualche mamma in ritardo. Se la prendeva comoda, Roma non era Milano, la lezione non cominciava prima delle 9,30 e i corsisti traccheggiavano fumando davanti all’ingresso fino all’ultimo momento. Arrivò alla balaustra di Trinità dei Monti e si fermò a guardare Roma, come sempre. Cupole sotto il sole sbucavano qua e là, il ponentino aveva preso a zufolare tra i tetti rossi. Giù, in basso la Fontana, la splendida Barcaccia adorata, per lui la più bella di tutte, una vera “barchetta” agile in mezzo a un mare chiaro in città, diversa e snella contro il barocco romano….E fiori. I fiori di Piazza di Spagna, e colori, e gente. Una Roma da cartolina che si stava svegliando…..attraversò la piazza e mise, come sempre, le mani dentro l’acqua. Quel colore impossibile lo faceva sognare, tra l’acquamarina e il turchese. Via Condotti si svegliava e si affrettò: era un lavoro bellissimo il suo, ogni volta lo assaporava come un regalo. Ripassò per un attimo la scaletta del giorno e con la solita sicurezza entrò. Le grandi scale, il pomposo ascensore, il cigolare delle corde attraverso i cancelli di fero battuto, la salita lenta quasi maestosa….era proprio a Roma, casomai lo avesse scordato. Il portoncino interno era aperto, una ragazza era seduta alla reception. Non era Adriana, quel giorno, quella signora di età indistinta, materna e rassicurante che da anni lo accoglieva con quel suo: Buongiorno professore, viaggiato bene? Gradisce un caffè?
L’Unione Italiana Ciechi era quasi una famiglia, ormai.
Buongiorno, disse appena quella ragazzina, la signora Adriana non c’è, è malata. Disse con naturalezza: una causa ovvia per i più, ma non per Adriana che da quasi vent’anni non era mai mancata davanti a quella porta, con il suo sorriso soave e la premura di madre.
La meraviglia di lui non passò inosservata perché la ragazzina aggiunse: niente di grave, deve operarsi a una vena. Ci sono io, comunque, sono Marzia, se vuole può chiedermi di tutto, me lo ha detto Adriana, che poi è mia zia.
Piacere, rispose lui un po’ imbarazzato da tutte quelle informazioni ricevute in un solo minuto. Grazie, e si trattenne un attimo nei grandi occhi celesti di lei, che lo guardavano sospesa e un po’ in attesa di un eventuale comando.
Ma lui non disse altro ed entrò in sala riunioni.
La lezione passò. Liscia come l’olio, liscia come sempre: metodi di traduzione braille per vedenti che vogliono imparare il braille e scrivere per i ciechi. La pausa pranzo era alle 12,30 e lui uscì, verso la Barcaccia, che voleva rivedere con calma, bagnandosi di nuovo le mani.
La vide già lì, seduta in un angolo di marmo, che mangiava un piccolo panino al formaggio di capra. Buongiorno le disse questa volta meno incerto e lei rispose Salve, alzando il visino in alto. Un sorriso immenso la illuminò tutta, sotto il cappello rosso di lana a sacchetto che le avvolgeva tutta la massa di capelli lunghi e neri.
Pranzo veloce?
Sì. Mi piace troppo il sole, non sono abituata alle stanze chiuse. E lei?
Io adoro questa fontana, mi sfama.
Bellissima sì….ma sfamare….forse è troppo. E gli porse un piccolo panino al prosciutto, quasi uguale al suo.
Sbriciolarono piccoli panini per un po’, assaporandoli uno dopo l’altro, in mezzo ai passerotti di Piazza di Spagna.
Le parole furono leggere, frettolose e fresche come l‘acqua della Barcaccia. Lei era lì per pochi giorni, poi sarebbe tornata al Museo del Cinema, dove la zia le aveva trovato un lavoro a tempo determinato. Gli parlò all’infinito di quelle pellicole custodite, dei vecchi film che rivedeva di nascosto, dei sistemi di proiezione, di Tornatore che aveva conosciuto di persona quando era venuto alla UIC per un progetto di museo tattile per ciechi.
Una persona così…..così…..incredibile, disse lei con gli occhi più azzurri dell’azzurro.
Tornarono al lavoro insieme e la giornata volse piano piano alla fine. All’uscita Marzia era ancora lì, già sulla porta, con il suo cappello rosso e gli disse piano, da farsi appena sentire: Ma come fanno i ciechi a gustarsi un film? Me lo spiega lei? e poi ancora più piano: Vuole venire al Museo? Glielo voglio far vedere di notte, quando non c’è nessuno. Ho le chiavi.
Sandro pensò che avrebbe perso il treno… ma fu solo un attimo e partirono subito.
A qualcuno parve che si tenessero per mano.
Il mese dopo, Sandro tornò a Roma per gli esami. Doveva rimanere un po’ di giorni tanto che era partito la sera prima per trovare un buon albergo. La mattina, alle 9,30 la signora Adriana lo aspettava alla reception col caffè già pronto.
Buongiorno, professore, fatto buon viaggio? Vuole un caffè?
Grazie, oggi no, rispose e tornò indietro di corsa, come preso da un demone, a cercare una cartolina. La scrisse prima di rientrare, sul marmo della Barcaccia.
Ciao Marzia!!
Questa città è bellissima! Ieri sera uscendo dalla stazione ho rivisto la nostra fontana…ti ricordi? Ora l’hanno restaurata e è ancora più magica, specialmente di notte con le luci dal basso. Te la mando con un abbraccio per te. Avrò molto da lavorare ma cercherò di tornare al Museo che ti piaceva tanto…. quel giorno che sembravi una bambina in gita! Mi manchi e spero di rivederti
S.
Bello.Fluidissimo e la mia Roma uno splendore nella tua descrizione.
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La potenza letteraria fa sì che il lettore si identifichi nell’ambiente descritto e ne rimanga coinvolto. Questo è avvenuto leggendo Roma con i tuoi occhi. Inoltre il contenuto della cartolina rivela la storia ancora non descritta, è lo svelamento della sola intuizione del lettore.
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Si cammina per Roma con te, proprio come se la città fosse esattamente una parte di te
Città e personaggi sono così chiari che li puoi vedere e toccare
Le chiavi di un museo per una visita notturna in solitudine è semplicemente un passaggio fantastico!
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Ogni piccola frase ti trascina dentro la storia e dentro la città, tante piccole verità mi hanno resa protagonista, è questa la magia di una bella scrittura…
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Grazie Matite care! un abbraccio
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Un incontro protetto dalla magia del sogno, due cuori puri che intrecciano pensieri come briciole da rimettere insieme per gustare un sapore nuovo, un mondo trasparente come l’acqua di quella fontana… E una città vissuta attraverso uno sguardo nuovo, delicato e attento. Grazie!
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Bello,grazie
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