Storie a ritroso – Cartolina da Polignano a Mare: Carmela

Innamorarsi a Polignano a mare – di Carmela De Pilla

Non aveva capito proprio niente! A lui interessava solo la musica, nel suo tempo libero si rintanava nella cantina di Giorgio a suonare la batteria con i ragazzi del suo gruppo e tutto il resto non contava, non si era accorto nemmeno che le ragazze della sua classe e non solo, lo guardavano con occhi languidi e trasognati desiderose di scambiare solo qualche parola giusto il tempo per lanciare un messaggio che lui nemmeno notava.

Era facile innamorarsi di Stefano, con i suoi capelli corvini e riccioluti, volutamente scompigliati e un po’ lunghi, a volte legati in una coda scomposta con i riccioli che saltellavano in qua e in là, gli occhi neri e birichini ridevano ancor prima della bocca eppure quello destro se ne andava un po’ per conto suo, ma nessuno si era mai accorto del suo leggero strabismo, erano attratti da altro, dal suo modo di camminare per esempio, con quel passo ondeggiante sembrava che ballasse al ritmo di chissà quale musica immaginaria e poi quel modo di vestirsi, sempre uguale eppure sempre originale…soliti jens e camicia, ma una diversa dall’altra, persino d’inverno andava in giro solo con la camicia magari più pesante, ma rigorosamente camicia, insomma Stefano non poteva essere altro che  un artista.

 Aveva fatto il liceo  con discreti risultati, i professori dicevano di lui “ È intelligente, ma ha sempre la testa fra le nuvole, dovrebbe applicarsi di più” ma Stefano suonava anche quando veniva interrogato.

 L’esame di maturità era alle porte, ma nessuno pensava a studiare, in quella settimana non si parlava altro che della gita a Polignano a mare, c’era un’atmosfera elettrizzante, da una parte gli ultimi impulsi giovanili e dall’altra tanta voglia di diventare adulti, quella sarebbe stata forse l’ultima possibilità di sentirsi ancora incoscienti.

Finalmente il giorno tanto atteso, quelle due ore sul pullman furono le più divertenti, Stefano, seduto in fondo per farsi vedere da tutti batteva sulle ginocchia un ritmo incalzante e tutti cantavano “…voglio una vita spericolata…” anche Marzia si era lasciata trascinare in quel vortice di allegria e quasi per caso, ma il caso non c’entrava proprio niente, si ritrovò seduta accanto a lui con moderata sobrietà che tradiva il vero sentimento che provava.

Era bellissima Marzia con i suoi lunghi capelli rossi e quella carnagione quasi perlacea che lasciava intravedere le lentiggini sparse sul volto cinquecentesco, i suoi vestiti scelti con gusto comprati sul banco dell’usato o al mercato rivestivano un corpo esile e longilineo, tutti si erano accorti del suo amore sottaciuto verso Stefano meno che lui e naturalmente tutti avrebbero voluto essere al suo posto.

Tanta euforia e spensieratezza si spandevano tra le stradine di Polignano, le risate di quei ragazzi mettevano allegria anche ai passanti che li guardavano con una certa nostalgia, poi tra una battuta e l’altra, senza nemmeno accorgersene Stefano e Marzia si ritrovarono soli, lontani dal gruppo camminando silenziosi l’uno accanto all’altra. All’improvviso ecco il mare.

Una terrazza si affacciava prepotentemente su quell’azzurro intenso e tutt’intorno  spiccava il bianco accecante delle case con le piccole scale su cui fuggivano parole d’amore.

In un angolo una fontana con un delfino dalla cui bocca sorridente usciva un sottile zampillo li osservava, si presero per mano e si sedettero sul bordo accarezzando  l’acqua nel tentativo di sfiorarsi, il suo canticchiare quasi pettegolo accompagnava i loro intensi sguardi e curiosa di scoprire come sarebbe andata a finire continuava a sussurrare una dolce nenia.

Sarà stato questo silenzio custodito da tanta bellezza che spinse Marzia ad avvicinarsi alle sue labbra con timida trepidazione e Stefano inebetito e travolto da mille emozioni inaspettate la strinse con vigore tra le sue braccia.

I loro corpi vibranti si intrecciavano con passione, non una parola tra loro, ma una profonda intesa che li trasportò al di là del mare.

Raggiunsero gli altri frastornati dalle tante emozioni fino ad allora sconosciute, mancavano solo loro per entrare al museo nautico, raggiunsero il portone un po’ impacciati seguiti dagli occhi interrogativi dei compagni, tutto aveva un significato insolito ora e la vide davanti al grande timone con occhi diversi, sembrava una ragazzina e la sua voglia di amore la rendeva ancora più bella.

Fu un amore giovanile quello, intenso e sincero, poi le loro strade si persero e non si incontrarono più, dopo qualche anno Stefano ritornò a Polignano per un concerto e camminando per quelle stradine che avevano incorniciato il suo primo amore si ritrovò davanti al delfino e per un attimo provò la stessa antica emozione.

Sentì un bisogno irrefrenabile di scrivere una cartolina a Marzia, ora erano adulti, ognuno con la propria vita, ma tutti e due con un ricordo bellissimo da custodire.

Scelse la cartolina con la terrazza sul mare e il delfino e scrisse poche parole

Ciao Marzia!!

Questa città è bellissima! Ieri sera uscendo dalla stazione ho rivisto la nostra fontana…ti ricordi? Ora l’hanno restaurata ed è ancora più magica, specialmente di notte con le luci dal basso. Te la mando con un abbraccio per te. Avrò molto da lavorare ma cercherò di tornare al museo che ti piaceva tanto…quel giorno mi sembravi una bambina in gita! Mi manchi e spero di rivederti

Stefano

Storie a ritroso – Cartolina da Roma: Cecilia

La Barcaccia – di Cecilia Trinci

Ormai faceva così tutte le volte che andava a Roma: scendeva a Termini, saltava la coda dei taxi e prendeva subito a destra, a piedi  verso Trinità dei Monti. Non era così lontano e camminare sotto quel cielo, sempre allegro di storni, lo faceva sentire in vacanza. Adorava viaggiare per lavoro. Si mescolava agli orari, ai passi frettolosi,  alle battute locali e si sentiva in una bolla di libertà.  Un paese si conosce lavorandoci, lo aveva sempre pensato. Passava davanti alla pasticceria siciliana zeppa di  caffè, ricotta e pistacchio, rinunciando alle tentazioni,  prendeva di buon passo la salita centrale, guardando le vetrine diverse da quelle solite. Furgoncini frettolosi, valigette come le sue, qualche mamma in ritardo. Se la prendeva comoda, Roma non era Milano, la lezione  non cominciava prima delle 9,30 e i corsisti traccheggiavano fumando davanti all’ingresso fino all’ultimo momento. Arrivò alla balaustra di Trinità dei Monti e si fermò a guardare Roma, come sempre. Cupole sotto il sole sbucavano qua e là, il ponentino aveva preso a zufolare tra i tetti rossi. Giù, in basso la Fontana, la splendida Barcaccia adorata, per lui la più bella di tutte,  una vera “barchetta” agile in mezzo a un mare chiaro in città, diversa e snella contro il barocco romano….E fiori. I fiori di Piazza di Spagna, e colori, e gente. Una Roma da cartolina che si stava svegliando…..attraversò la piazza e mise, come sempre, le mani dentro l’acqua. Quel colore impossibile lo faceva sognare, tra l’acquamarina e il turchese. Via Condotti si svegliava e si affrettò: era un lavoro bellissimo il suo, ogni volta lo assaporava come un regalo. Ripassò per un attimo la scaletta del giorno e con la solita sicurezza entrò. Le grandi scale, il pomposo ascensore, il cigolare delle corde attraverso i  cancelli di fero battuto, la salita lenta quasi maestosa….era proprio a Roma, casomai lo avesse scordato. Il portoncino interno era aperto, una ragazza era seduta alla reception. Non era Adriana, quel giorno, quella signora di età indistinta, materna e rassicurante che da anni lo accoglieva con quel suo: Buongiorno professore, viaggiato bene? Gradisce un  caffè?

L’Unione Italiana Ciechi era quasi una famiglia, ormai.

Buongiorno, disse appena quella ragazzina, la signora Adriana non c’è, è malata. Disse con naturalezza: una causa ovvia per i più, ma non per Adriana che da quasi vent’anni non era mai mancata davanti a quella porta, con il suo sorriso soave e la premura di madre.

La meraviglia di lui non passò inosservata perché la ragazzina aggiunse: niente di grave, deve operarsi a una vena. Ci sono io, comunque, sono Marzia, se vuole può chiedermi di tutto, me lo ha detto Adriana, che poi è mia zia.

Piacere, rispose lui un po’ imbarazzato da tutte quelle informazioni ricevute in un solo minuto. Grazie, e si trattenne un attimo nei grandi occhi celesti di lei, che lo guardavano sospesa e un po’ in attesa di un eventuale comando.

Ma lui non disse altro ed entrò in sala riunioni.

La lezione passò. Liscia come l’olio, liscia come sempre: metodi di traduzione braille per vedenti che vogliono imparare il braille e scrivere per i ciechi. La pausa pranzo era alle 12,30 e lui uscì, verso la Barcaccia, che voleva rivedere con calma, bagnandosi di nuovo le mani.

La vide già lì, seduta in un angolo di marmo, che mangiava un piccolo panino al formaggio di capra. Buongiorno le disse questa volta meno incerto e lei rispose Salve, alzando il visino in alto. Un sorriso immenso la illuminò tutta, sotto il cappello rosso di lana a sacchetto che le avvolgeva tutta la massa di capelli lunghi e neri.

Pranzo veloce?

Sì. Mi piace troppo il sole, non sono abituata alle stanze chiuse. E lei?

Io adoro questa fontana, mi sfama.

Bellissima sì….ma sfamare….forse è troppo. E gli porse un piccolo panino al prosciutto, quasi uguale al suo.

Sbriciolarono piccoli panini per un po’, assaporandoli uno dopo l’altro, in mezzo ai passerotti di Piazza di Spagna.

Le parole furono leggere, frettolose e fresche come l‘acqua della Barcaccia. Lei era lì per pochi giorni,  poi sarebbe tornata al  Museo del Cinema, dove la zia le aveva trovato un lavoro a tempo determinato. Gli parlò all’infinito di quelle pellicole custodite, dei vecchi film che rivedeva di nascosto, dei sistemi di proiezione, di Tornatore che aveva conosciuto di persona quando era venuto alla UIC per un progetto di museo tattile per ciechi.

Una persona così…..così…..incredibile, disse lei con gli occhi più azzurri dell’azzurro.

Tornarono al lavoro insieme e la giornata volse piano piano alla fine. All’uscita Marzia era ancora lì, già sulla porta, con il suo cappello rosso e gli disse piano, da farsi appena sentire: Ma come fanno i ciechi a gustarsi un film? Me lo spiega lei? e poi ancora più piano: Vuole venire al Museo? Glielo voglio far vedere di notte, quando non c’è nessuno. Ho le chiavi.

Sandro pensò che avrebbe perso il treno… ma fu solo un attimo e partirono subito.

A qualcuno parve che si tenessero per mano.

Il mese dopo,  Sandro tornò a Roma per gli esami. Doveva rimanere un po’ di giorni tanto che era partito la sera prima per trovare un buon albergo. La mattina, alle 9,30  la signora Adriana lo aspettava alla reception col caffè già pronto.

Buongiorno, professore, fatto buon viaggio? Vuole un caffè?

Grazie, oggi no, rispose e tornò indietro di corsa, come preso da un demone, a cercare una cartolina. La scrisse prima di rientrare, sul marmo della Barcaccia.

Ciao Marzia!!

Questa città è bellissima! Ieri sera uscendo dalla stazione ho rivisto la nostra fontana…ti ricordi? Ora l’hanno restaurata e è ancora più magica, specialmente di notte con le luci dal basso. Te la mando con un abbraccio per te. Avrò molto da lavorare ma cercherò di tornare al Museo che ti piaceva tanto…. quel giorno che sembravi una bambina in gita! Mi manchi e spero di rivederti

S.

Storie a ritroso – Cartolina da Roma: Nadia

Fontana di Trevi – di Nadia Peruzzi

Era una figurina minuta. Indossava un vestitino di cotone bianco con dei fiori rossi che la faceva sembrare poco più di una bambina.
Se l’era ritrovata dentro l’obbiettivo mentre stava cercando l’inquadratura perfetta per la foto che doveva fare.
Attorno alla Fontana di Trevi c’era la solita calca, il solito brusio in cui si sovrapponevano lingue e dialetti di ogni parte del mondo. Un gran bazar di suoni, voci, risate, sudori,  odori più o meno gradevoli in quello scampolo di estate romana accarezzato dal ponentino.
Lei sembrava uscita da un fotogramma di Vacanze romane. Guardava rapita verso la fontana che,  ad ogni folata di vento,  la imprigionava in una ragnatela di goccioline impertinenti .
In un secondo giro di obbiettivo era riuscito a coglierla proprio nel momento in cui, col braccio alzato sopra la testa stava gettando nell’acqua la sua monetina. Un raggio di sole evidenziava le sfumature ramate dei suoi capelli. Aveva occhi tagliati all’orientale, una frangetta sbarazzina che la faceva sembrare una liceale in gita scolastica, un nasino all’insù così perfetto da essere unico e inimitabile.
Ci aveva fatto caso perché per lavoro si era ritrovato a fotografare visi resi, ad ogni trattamento, sempre più finti, inespressivi, comuni e anonimi in quel regno di silicone e botulino così alla moda fra le attricette e le modelle che frequentava.
La svedese di un metro e 70 che aveva di fronte quel giorno era un prodotto di quel mondo li. Labbra a canotto, gran voglia di emergere e con ogni mezzo,  anche a costo di risultare un incrocio fra attrici diverse , dopo l’ennesimo intervento di chirurgia estetica. Di suo non era rimasto più nulla. Si stava esponendo ai suoi scatti per cercare di raccontare una lei che non esisteva più da tempo. Era una imitazione e nemmeno di gran livello.
Scattava di malavoglia, per mestiere. Ogni tanto aveva cercato la ragazza col vestito a fiori rossi. Per fortuna era sempre ferma al solito posto e per fortuna quel punto era, adesso, in favore di luce. Gli ultimi scatti alla biondona aveva deciso di farli proprio li.
Si era avvicinato ma lei si era girata a mala pena verso di lui.
Aveva scattato le ultime foto, poi un saluto veloce con un cenno e un arrivederci e la stangona si era persa in mezzo alla folla.
Si era ritrovato imbambolato a guardare verso quella ragazza così particolare, in mezzo alla moltitudine vociante e chiassosa. Non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, ma non sapeva come rivolgerle la parola. Lo aiutò , senza volere, un tedescone di due metri che nella calca, sfiorandola, aveva sciolto il foulard rosso che lei portava al polso a mo’ di bracciale.
Lo aveva raccolto in fretta prima che qualcuno potesse calpestarlo. L’aveva toccata sul braccio per attirare la sua attenzione.  Ci era voluto un po’ prima che lei si girasse. Come se si fosse dovuta liberare da un sogno che stava facendo.  Il primo sguardo che gli aveva concesso era venato di fastidio, poi alla vista del foulard rosso l’espressione da severa e accigliata che era, si era fatta dolce e per nulla scostante. Il suo grazie era stato accompagnato da un sorriso che le aveva illuminato il volto e fatto brillare quel suo sguardo vivace, da monella.
Sergio si era perso subito dentro quegli occhi venati di pagliuzze dorate sotto i raggi del sole del tardo pomeriggio. In un attimo aveva avuto la sensazione che in quella piazza , nonostante le spinte che ricevevano da ogni parte, fossero rimasti solo loro due.
Si erano ritrovati a parlare come se si conoscessero da tempo. Lui le aveva raccontato del suo lavoro in mezzo alle star della tv, lei dei suoi studi di storia dell’arte e delle emozioni di quella sua prima volta a Roma. Anzi , meglio,  della sua prima volta al di sotto della linea della pianura padana. Non le era mai capitato prima di scendere verso sud, in “Terronia” aveva aggiunto con una risata cristallina che lo aveva infastidito non poco. Lui uomo del sud, trapiantato a Roma e partito appena due anni prima da Santa Maria di Leuca.
Per fortuna avevano stemperato il passo falso con un gelato comprato in quel piccolo bar d’angolo affacciato sulla piazza. Era dolce e fresco come l’aria di quella serata romana dalle ombre sempre più lunghe.
Avevano vagato senza meta per ore. Un po’ sul lungotevere, poi il Pantheon e Piazza Navona, il Ghetto e il Teatro Marcello. Erano scesi di corsa dalla Scalinata del Campidoglio tenendosi per mano.
Il sonno se n’era andato . Anzi, per meglio dire, non aveva fatto nemmeno a tempo ad arrivare.
Ed erano ritornati li dove si erano incontrati. La piazza vuota era impressionante. L’acqua dominava la scena a quell’ora della notte. Le luci della fontana, dopo il restauro, spandevano su tutto una patina azzurrina. I palazzi sui tre lati della piazza erano avvolti d’oscurità e persi nel sonno dei loro occupanti. Solo la fontana era viva ed era li solo per loro. Ogni zampillo, ogni gloglottio sembrava chiamarli. Erano accaldati, malgrado il ponentino. Il cemento e i sanpietrini avevano iniziato a rilasciare tutto il calore accumulato durante la giornata. In un attimo si erano trovati nell’acqua a ridere come scemi e a schizzarsi come fanno i bambini al primo giorno di mare. Nessuno dei due aveva l’età per ricordarsi il bagno che aveva fatto epoca. Per loro era stato un semplice cogliere l’attimo. Si erano spogliati di ogni remora e avevano trovato il coraggio di osare l’impossibile e il vietato. Coraggiosi solo perché erano insieme.
La consapevolezza delle poche ore che avevano davanti prima del rientro a casa di lei aveva reso tutto più magico ed eccitante.
L’adrenalina era salita a mille quando avevano visto il lampeggiante di una macchina della polizia che faceva la ronda nel quartiere.
Si erano dati alla fuga appena prima che riuscissero a vederli. Avevano corso, inciampando sui sassi sporgenti del selciato sconnesso e non si erano fermati che a Piazza di Spagna.
Seduti sulla scalinata avevano passato il resto della notte ridendo e scherzando . Il primo bacio era arrivato con le luci dell’alba , che salutava il nuovo giorno.

Davanti al caffé Greco , in fila per una colazione da favola, c’erano arrivati mano nella mano, persi uno dentro gli occhi dell’altra.
Avevano un po’ di tempo prima di andare alla Galleria Borghese. L’ingresso sui biglietti era fissato per le 9, 30. Marzia ne aveva due visto che l’amica che doveva essere con lei all’ultimo le aveva detto che non poteva assolutamente lasciare il lavoro.
Si erano tolti dagli occhi gli ultimi rimasugli della notte insonne, sotto il getto di acqua fredda alla toilette del caffé Greco. Si erano rinfrescati alla bell’e meglio e poi via di nuovo .
Ritrovarono il Bernini nelle sculture custodite a Villa Borghese. Marzia aveva il cuore che le batteva a mille. Il Ratto di Proserpina lo aveva studiato e visto solo sui libri e trovarselo di fronte tradotto in realtà le aveva prodotto un’emozione fortissima.
Di quei momenti,  lui aveva conservato le foto che aveva fatto allora.
Lei che guardava da sotto in su quella statua enorme , lei che gli sorrideva sbarazzina mentre indicava le mani affondate nelle carni di Proserpina, lei che guardava i soffitti con i loro affreschi ricolmi di fiori e frutti, lei statuaria e quasi irreale a fianco di Giuseppina Bonaparte del Canova e agli occhi di lui non meno bella.
Uscirono dal museo che era già caldo. Avevano attraversato il grande parco alberato e dal Pincio erano scesi a Piazza del Popolo, per finire in una di quelle trattorie romane con le tovaglie a quadri rossi e bianchi che sembravano arrivare diritte dagli anni 60.
Li aveva serviti una sosia della Sora Lella , che loro conoscevano più per i libri di ricette delle loro madri,  che per il fatto di essere stata attrice e sorella di uno dei grandi attori di una stagione pazzesca ed irripetibile del cinema italiano.
Si erano alzati un po’ brilli. Al solito l’Est Est Est aveva fatto il birbone. Scendeva come acqua, ma poi te lo ritrovavi nelle gambe e nella testa dopo non molto.
Stavano bene anche perché si erano scoperti ebbri più di felicità che di vino.
Avevano sentito ancora una volta il richiamo della Fontana di Trevi e ci si erano ritrovati quasi senza rendersene conto.
Uno sguardo a 360 gradi, una foto ancora a lei e a quel suo vestitino bianco a fiori rossi che risaltava come non mai con alle spalle l’acqua cristallina e le grandi statue bianche sullo sfondo, poi il negozietto dove avevano deciso di regalarsi a vicenda una guida di Roma e una cartolina della Piazza di Trevi con la grande fontana in primo piano.
Il treno era li li per partire quando erano arrivati di corsa alla stazione. C’ era  stato  solo il tempo di un abbraccio fugace e di un bacio sulla fronte, poi il vestitino con i fiori rossi era sparito nello scompartimento.
Sergio non era riuscito a vedere Marzia che lo salutava da dietro il finestrino. Un raggio di sole cattivo e tagliente glielo aveva impedito.
Non si erano mai più visti. Di lei, e per puro caso,  lui aveva fissato in un ultimo scatto il cognome e l’indirizzo della sua casa a Bergamo. Lo aveva scritto sulla guida una volta che lui gliel’aveva data in Piazza dei Trevi.  Se n’era accorto solo quando aveva stampato quelle foto.
A quel punto era già lontano. Fuori dall’Italia.  Un lavoro capitato per merito di un amico che aveva pensato a lui e che lo aveva tenuto negli Stati Uniti per tre anni.
Quei due giorni erano stati presto dimenticati e le foto erano sparite sotto la mole delle tante che aveva dovuto scattare negli anni americani.
Stava finendo di mettere a posto la libreria. Gli mancava l’ultima scatola di un trasloco che gli era sembrato più faticoso di sempre.
“Sto cominciando ad invecchiare”, si ritrovò a pensare Sergio.
Era appena rientrato a Roma e stava riordinando il vecchio appartamento fra sbuffi di polvere e pavimenti da lavare.
Sotto due romanzi di giallisti svedesi vide comparire quella piccola guida di Roma a cui non aveva fatto caso da tempo. La sfogliò e una cartolina cadde terra. Ebbe un tuffo al cuore. La riconobbe e gli tornò in mente tutto. La Fontana di Trevi in quella calda giornata di fine estate, la ragazza nel vestito bianco con i fiori rossi, la felicità e la spensieratezza che gli aveva donato in quelle 48 ore vissute con una intensità mai sperimentata dopo in nessun luogo e con altre.
Andò al computer per cercare la foto con l’indirizzo e non fu lavoro facile, viste le migliaia stivate durante quegli anni.
Si emozionò alla vista di quella calligrafia netta e rotonda.
Fu il cuore a guidare la sua mano mentre iniziava a scrivere sulla cartolina.

Ciao Marzia!!

Questa città è bellissima! Ieri sera uscendo dalla stazione ho rivisto la nostra fontana…ti ricordi? Ora l’hanno restaurata e è ancora più magica, specialmente di notte con le luci dal basso. Te la mando con un abbraccio per te. Avrò molto da lavorare ma cercherò di tornare al Museo che ti piaceva tanto…. quel giorno che sembravi una bambina in gita! Mi manchi e spero di rivederti

S.

Storie a ritroso – Cartolina e soliloquio: Vanna

Soliloquio con cartolina

“Ah, ecco la fontana, qui, vicina alla stazione! Quanto tempo e` passato dall’ultima volta in questa citta`, anni e adesso un’occasione improvvisa: questo servizio fotografico, piovuto dal cielo, mi riporta in questo luogo magico che mi ha lasciato una ferita ancora aperta, dopo tanti anni… L’ho conosciuta qui Marzia, quell’infame! Non sono mai stato trattato cosi` da una donna. Quel visetto infantile mi inganno`, ci cascai come un imbecille, una storia finita male, del resto gli amori a distanza, si sa, non possono durare a lungo, ma con lei mi ero illuso… chissa`, se non avessi scoperto chi era, forse l’avrei sposata, quella bugiarda… Anni di sotterfugi, falsita`; certo io a Milano, lei a Napoli, come avrei potuto controllare, sapere fino in fondo che persona era… Poi, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, cosicche`, prima o poi, la verita` viene fuori! Vorrei che mi vedesse, qui alla fontana dove ci siamo baciati per la prima volta, mi vedesse cosi` come sono oggi, sempre un bell’uomo, almeno lo dicono le mie donne! Eh si, perche` da quella delusione, col cavolo che mi sono riinnamorato, ho imparato la vita orma i: due meglio di una, tre meglio di due… Ma questa fontana e` un po` cambiata, e` stata restaurata, decisamente piu` bella illuminata, anche se gia` allora mi pareva stupenda. Vorrei che Marzia mi vedesse proprio qui, magari in compagnia di una fata stratosferica… del resto potrebbe anche essere vero, mi sarebbe stato facile invitare Svetlana a trascorrere questo weekend con me, sarebbe corsa, tanto le piaccio! Ma voglio fare una cosa, mi voglio togliere questa soddisfazione, tanto so dove abita adesso Marzia, Gennarino me l’ha riferito. Quasi quasi una bella cartolina di questo artistico profluvio con due firme, la mia e quella di Svetlana. Gia` questo nome, la fara` rimanere di stucco… ah ecco, gia` trovata la cartolina giusta, mi appoggio un attimo al bancone e gliele canto come merita, la vendetta, cara  mia e`un piatto che si serve freddo! Ok: “Ciao Marzia, questa citta` e` bellissima, uscendo dalla stazione ho rivisto la nostra fontana… ti ricordi? Ora l’hanno restaurata ed e` ancora piu`   magica, specialmente di notte con le luci dal basso. Te la mando con un abbraccio per te. Avro` molto da lavorare, ma cerchero` di tornare al Museo che ti piaceva tanto… quel giorno che sembravi una bambina in gita, mi manchi e spero di rivederti, tuo per sempre   Saturnino.