Festival di storie: Laura

In questo Festival leggeremo storie parallele. Tutte partono dallo stesso spunto e da alcuni obblighi: Il luogo (lago), le parole: sospiro, zuppa di porri e suora

LA PRIMA SCENA DI UN FILM DRAMMATICO – TRAMA PER UNA SCENEGGIATURA

Caterina e il Lago – di Laura Galgani

foto Pixabay

L’uomo ignorava che qualcuno lo aspettasse e camminava a testa bassa, quando la sollevò era pochi passi dalla poltrona di vimini. Le sue narici ebbero un fremito, le sue labbra sottili si piegarono in una smorfia che lui tentò di trasformare in un sorriso e il visitatore che si era alzato e gli tendeva la mano disse:

“Lieto di vederLa, signore”

L’uomo tese a sua volta la mano, o fu l’altro ad afferrargliela?  Sta di fatto che la strinse a lungo con vigore come se non dovesse più lasciarla. La padrona dell’albergo intervenne sollecita:

“il Suo amico è arrivato che Lei era appena uscito e con la nebbia che c’è ha preferito aspettarLa qui, piuttosto che andare in giro a cercarLa.”

L’uomo appena rientrato aveva ancora il cappello in testa, di un caldo color castagna, con la falda piuttosto ampia e un gros-grain in tono più scuro, elegante. Gli era scivolato leggermente di lato, inchinandosi a guardare la sua mano stretta con vigore dal visitatore. Senza alzare lo sguardo andò dritto al punto:

“Come ha fatto a trovarmi? Perché è qui?”

L’altro sfoderò un tono disinvolto, si era preparato la risposta:

“Ho chiamato la Sua segretaria, le ho detto che dovevo assolutamente parlarLe. Ero certo che la stima nei miei confronti, che a ragione immaginavo immutata nel tempo, mi avrebbe preceduto e che non avrebbe avuto remore a dirmi dove si trovasse. Mi ha detto del convegno qui a Castiglione del Lago e mi ha dato l’indirizzo dell’albergo.”

L’uomo girò lo sguardo verso la grande vetrata. I suoi occhi liquidi vagarono nell’oscurità e nonostante la nebbia riuscì a distinguere le luci della riva opposta del lago Trasimeno e dell’Isola Maggiore. Si aggrappò all’immagine del lago che aveva registrato al mattino, durante i lavori del convegno del vertice di partito; la veduta era gioiosa, piena di sole e di vita. Avrebbe voluto essere ancora lì, sulla grande terrazza, a sorseggiare un caffè fra un intervento e l’altro. E invece la mente volò via, ai ricordi del passato, a quando sulle rive del Lago di Como dirigeva la resistenza armata di una brigata di partigiani nella fase decisiva della guerra ed era stato ferito. Proprio lì, in un rifugio ben nascosto in mezzo ai boschi, aveva conosciuto il medico, quindici anni prima. Caterina, una coraggiosa partigiana aveva fatto in modo di portarlo fin lassù, per curarlo. Il medico gli aveva salvato la vita e non aveva mai voluto niente in cambio. E anche a guerra finita avevano mantenuto un legame attraverso le molte lettere che si erano scritti, l’uno a Roma, dove era diventato parlamentare, e l’altro a Milano, chirurgo in ospedale. Si erano anche incontrati qualche volta in Liguria o sulle rive di quello stesso Lago che era stato campo di battaglia. Non avevano mai smesso di darsi del Lei, per una specie di imbarazzo tutto maschile. Poi però, col passare del tempo, si erano persi di vista.

L’amico era rimasto in silenzio ma si schiarì la voce, e questo riportò l’altro al presente, a quell’ingresso semibuio con le poltroncine di vimini dai cuscini amaranto, le kenzie rigogliose e i mobili in radica marezzata.

L’odore deciso della zuppa di porri, in preparazione per la cena, giù in cucina, gli arrivò fino in cima alle narici, provocandogli un certo disgusto.

“Se Lei è qui dev’essere davvero per un buon motivo. Avanti, parli.”

L’altro rimase un attimo immobile. Si aspettava una reazione così, di rigidità. Fece un grosso sospiro e cambiò espressione; lo sguardo si fece diretto, penetrante. Disse solo:

“Si tratta di Caterina”.

L’uomo indietreggiò di un passo e appoggiò una mano sulla poltroncina di vimini che si trovava dietro di lui. L’amico non gli si avvicinò, rimase immobile, ma continuò a voce bassa:

“Sono stato a farle visita in monastero a Cortona. Da quando è diventata suora di clausura non l’avevo più vista. Mi ha fatto chiamare non come medico, perché la curassi, ma per avermi accanto in questo momento difficile e renderle la sofferenza della fine appena un po’ più lieve.“

Fece una pausa. L’altro si era fatto rigido in volto e in tutto il corpo, cereo nella penombra dalla stanza poco illuminata. Poi continuò, quasi a volersi sgravare da un peso:

“La vuole vedere un’ultima volta, prima di morire. Il conforto divino le dovrebbe bastare, ma è pur sempre un essere umano. E vi siete amati così tanto durante la guerra che …”

Ma non finì la frase, perché l’altro con un gesto secco buttò per terra la poltroncina di vimini e si voltò di spalle, nascondendo la faccia fra le mani per soffocare un gemito.

Dopo un istante di incertezza, il medico provò ad avvicinarsi e fece per mettergli una mano sulla spalla, ma la ritrasse subito.

La padrona dell’albergo, che aveva assistito a tutta la scena rimanendo immobile dietro al grande banco della reception, illuminato solo da una abat-jour color crema, si voltò e scomparve col suo vestito bianco a grandi fiori coloro malva e i capelli castani cotonati alti, svanendo nella grande sala ristorante pronta per la cena.

Fine della scena – la successiva si apre sul mattino successivo …

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

3 pensieri riguardo “Festival di storie: Laura”

  1. Vite che si intrecciano
    ricordi che pesano ancora nel presente…trame che potrebbero avere più di uno sviluppo.
    Brava Laura.

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  2. Teatro pieno ed applausi…già alla prima parte…sento la tua dizione perfetta, vedo i tuoi colori, non vedo l’ora che le pesanti tende di velluto rosso si riaprano sulla seconda scena!

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