Vorrei uscire di casa – di Stefania Bonanni

Vorrei uscire di casa ed incontrare gente che mi conosce da sempre, che mi ha tenuto sulle ginocchia quando ero piccola, che ritrova nei miei occhi altri occhi, che mi chieda se ricordo quel giorno che successe quella disgrazia, o quando si sposò Tizio, o la processione di quell’anno che quella sera c’era la finale dei Mondiali di calcio e quando il corteo passò davanti alla Casa del popolo tutti si voltarono , smisero di cantare e tentarono di sentire il risultato, per poi tutti esplodere in un boato. Solo le vedove, tutte vestite di nero, che chiudevano la sfilata, ,continuarono a cantare a bassa voce, come si conveniva educato, una nenia tipo Salve Regina, che nell’occasione faceva molto ridere. La mia nonna, che faceva parte di quel gruppo, disse non so quanti rosari per la nostra anima, per noi che si rideva. Vorrei giornate piene di anziani che raccontano di quando passò la guerra, o ancora l’alluvione, che scalzò dalla lista molti racconti di uomini e disgrazie. Diventò la guerra di noi che non l’avevamo visto, quel nemico, lo spartiacque. Spesso cominciavano così: “Ma come pioveva…Non si erano mai visti così tanti giorni grigi, nei quali non c’erano speranze smettesse, e non si poteva uscire perché le strade sterrate erano fango liquido e le uniche scarpe da mettere erano gli sciantilli’. E quella cappa di grigio che non si apriva mai entrava nei pensieri, nei polmoni, si sapeva sarebbe sparita lasciando il segno.” E poi giù a dire di muri antichi che avevano trattenuto l’ Arno, perché “prima” si costruiva bene. E poi gesta eroiche di salvataggi, non tutte provate, e di pericoli corsi da gente che forse non se n’era accorta…..La leggenda, l’Odissea sull’Arno….parole che pagherei per sentire ancora, personaggi interpreti di una commedia che aveva tutti i ruoli assegnati. E quelli che a veglia raccontavano avevano le seguenti caratteristiche: gomiti poggiati sul tavolino tondo del bar, gambe allungate sotto, in primo piano scarponi che a volte dovevano aver visto la guerra, e magari chissà quale, fiasco di vino impagliato in mezzo al tavolo, livello della bevanda: sotto l’orlo della paglia. Dita indice e medio gialle, sigaretta incollata alle dita ed anche alle labbra, stagnante fumo puzzolente a mezz’aria.. E parole, parole, e non c’erano professori, solo saggi ignoranti che forse sapevano che, stringi stringi, pochi tesori valgono più di una bella storia. I pensieri vanno, ritornano agli occhi le facce, nelle orecchie i passi, le voci, i dialetti, i modi di dire, soprannomi tramandati dai nonni, dai padri, che hanno perso il senso. E questo misura il tempo. Ne è passato talmente tanto che di quel paese non resta che il campanile ed il ricordo dolce e romantico di personaggi forse migliorati dal ricordo. E un lampo, e capisco. L’effetto di dolcezza struggente che piano piano ha soppiantato il dolore che provavo in quel cimitero dove conosco le facce delle foto che raccontano le tombe. Amici come fratelli, parenti, vicini di casa, conoscenti, tutti lì. Come aver fatto un viaggio nella macchina del tempo: il paese di cinquant’anni fa adesso è lì. Da un po’ sento carezze e abbracci, come continuare a tirare fila e trovare continuazione nei ricordi e nei racconti. Come avere la sicurezza che finché ci sarà un pensiero, una storia, un racconto, non ci saranno buchi neri , non si rischia di vagare nello spazio sconosciuto
“e non c’erano professori, solo saggi ignoranti che forse sapevano che, stringi stringi, pochi tesori valgono più di una bella storia”. Niente vale di più di una bella storia. In fondo anche noi scriviamo la nostra vivendo e a volte, a raccontarcela, la troviamo anche sempre più bella.
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“Come avere la sicurezza che finché ci sarà un pensiero, una storia, un racconto, non ci saranno buchi neri , non si rischia di vagare nello spazio sconosciuto”
Molto bello tutto in questa Spoon river di vicinato..mi ha colpito in particolare il finale
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“Pochi tesori valgono più di una bella storia”
Tu hai un tesoro nella tua penna, nel tuo vedere sempre oltre.
Mia madre diceva:te lo racconto…perchè tu lo possa raccontare…
Leggendo, ho visto facce, ho sentito voci, un regalo sempre il tuo narrare….grazie
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