Con i piedi per terra – di Carmela De Pilla






Eppure non era nei miei programmi, io vissuta nell’acqua cristallina di quel piccolo lembo del Gargano, acqua che ti accarezza quando sei triste, ti accompagna quando sei sola o ti consola quando sei afflitta con i suoi colori, le sue canzoni dolci o urlate, insomma non era proprio nel mio DNA pensare di raggiungere vette inimmaginabili eppure è successo perché a volte la vita va e ti porta dove vuole, senza chiederti il permesso e così mi lasciai trascinare in un’impresa di cui poi ho apprezzato la sua ricchezza inestimabile.
La meta era il ghiacciaio Rutor, 3.500 m. circa, sicuramente la mia incoscienza mi ha spinta a raggiungerlo perché mentre i miei amici erano atletici e nerboruti io, al contrario ero l’unica a non aver mai fatto sport, è vero ero quasi giovane e così con la stessa ingenuità e curiosità di una bambina fui trasportata in quel sogno.
Avevano organizzato, loro, un trekking in Val d’Aosta da rifugio a rifugio per una settimana, l’eccitazione era alle stelle, l’armonia e l’allegria che aleggiava nel gruppo ci faceva star bene e io, ignara della fatica che mi aspettava, sembravo una bambina che incomincia a fare i primi passi.
Niente macchina, niente negozi, niente lavoro, niente caos, solo una natura benevola che ama senza alcuna condizione e io che avevo un’impellente necessità di bellezza mi lasciai prendere per mano.
Mi avvolgeva l’azzurro intenso del cielo della montagna riflesso nei laghi, i mille verdi diversi di quei prati immensi e della vallate, il bianco spumeggiante delle cascate e quello delle vette innevate che quasi le toccavi, l’ocra o l’ambra delle rocce, tutt’intorno una danza di colori s’intrecciava con le nostre risate.
Sul Gran Paradiso siamo stati accolti dai camosci e stambecchi che girellavano senza alcun timore intorno al rifugio, qui fui rapita dalla vetta regina che spiccava il volo verso il cielo senza alcuna presunzione col solo intento di donarci serenità.
E poi verso il Col Rossè, la magia dei laghi inginocchiati ai suoi piedi, azzurri come il cielo che li sovrastava e la corona dei tanti monti innevati mi tolsero il respiro, nel mezzo spiccava il monte con i suoi colori bruciati, aspro e nemico per la difficoltà che provai nel raggiungere la cima, da una parte la bellezza del luogo dall’altra la paura di non farcela, ma nessuna cosa è bella se non si assapora la fatica della conquista e io ero fiera di avercela fatta.
Cime innevate e nubi s’intrecciavano quasi a far sparire il confine fra loro.
E ancora tanto cammino fra la magnificenza della natura incontaminata, tra il bianco accecante e il verde smagliante delle valli, c’era un’armonia accogliente tra noi e tutto sembrava meno stancante.
E poi quella cascata fragorosa costretta a tuffarsi nel vortice per frantumarsi in mille gocce che bagnavano i nostri volti allegri e spensierati.
E poi l’urlo allarmato della marmotta che faceva da sentinella sul masso per avvertire i suoi simili del pericolo.
E poi finalmente dopo la “sindrome della meta” l’arrivo al rifugio Deffeye dove ci ha accolto un signore d’altri tempi che con tanta generosità ci aveva preparato una calda cena ristoratrice, da quella terrazza naturale si ergeva fra tutte la vetta del ghiacciaio Rutor, come un imperatore sembrava ordinasse ai suoi servi di donarci pace, serenità, bellezza…
E poi la camminata fra i calanchi del ghiacciaio, fra le grotte che assorbivano l’intenso azzurro del cielo diventando azzurre esse stesse, come per incanto nessuno parlava, ognuno ascoltava il proprio silenzio con gli occhi pieni di meraviglia.
E poi il ritorno a La Thuile, punto di partenza, qui ci siamo spogliati e cambiati nascosti dalle macchine di un qualunque parcheggio tra le nostre risate e la sorpresa dei passanti.
Un viaggio durato sette giorni, ma lungo una vita tanto che ancora oggi lo porto dentro di me, ho imparato a superare ostacoli insormontabili, a resistere alle difficoltà senza spezzarmi, ho imparato a credere di più in me stessa ed essere orgogliosa per come sono accettando anche i tanti difetti.
Ho consumato la suola degli scarponi, ma ho scoperto gli angoli oscuri della mia anima.
In questo tuo viaggio sulle alte vette ho sentito due tipi di bellezza:
la bellezza infinita della natura e l’impagabile bellezza delle risate… risate amiche…la forza più grande per raggiungere la vetta!
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Un racconto che fa ” combriccola” gioventù….
Bello che tu abbia creduto più in te stessa ….la cornice era invitante…ammiccante….
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Colore del ghiaccio nelle foto: tra il blu e il bianco, in un mix di gelo anche nella sfumatura. I limiti ci dicono chi siamo, se e come possiamo superare la linea d confine che spesso da soli ci imponiamo.
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Anch’io ho fatto un’esperienza così in val di Fassa, faticosa senza dubbio, ma ti riempie gli occhi, il cuore e lo spirito. Ogni giorno è una sfida e devi imparare a farcela.
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Ogni paragrafo regala suggestioni.L’amore per la montagna si sente.E si coglie l’essenza della montagna e del cammino in montagna.Quel suo essere sfida e misura per sé stessi lo descrivi mirabilmente.
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