Una valigia per amica: Sandra

L’importante è partire – di Sandra Conticini

La valigia è stata la mia migliore amica. Non importava dove, ma l’importante era partire, il mondo è grande e  per girarlo tutto ce ne vuole! Ogni viaggio mi ha dato emozioni diverse  in base all’età, alle aspettative, al desiderio che avevo di andare in quel posto. Ricordo quando andai in Egitto ed andammo a Luxor alla valle dei Re, entrare dentro le  piramidi vedere, così da vicino, la sfinge e tantissime altre meraviglie  mi sembrò impossibile. Li avevo visti sui libri, alla televisione, ma non avevo mai pensato di poterci andare e, per me, fu un’emozione così forte che ancora oggi non riesco a descrivere.

Anche la Tunisia mi è piaciuta con i suoi colori, i suoi mercati con spezie di tutti i tipi e per tutti i gusti. L’isola di Djerba con la sua spiaggia di sabbia bianca le palme e il suo mare cristallino. Mi sembrava di essere in paradiso, ma quando andavamo in giro per le oasi o nel deserto la povertà si toccava con mano. Quello che mi metteva più tristezza erano i gruppi di bambini magrissimi con quegli occhioni neri,  tutti polverosi, malvestiti, con i denti sciupati che, quando vedevano i turisti, chiedevano caramelle, e soprattutto penne per scrivere. Queste immagini mi sono rimaste nel cuore, non posso pensare  che possa esistere tanta miseria e mi ritengo fortunata per essere nata in un’altra parte di mondo.

Poi, prima di morire, volevo andare a  New York e ce l’ho fatta. Un giorno fui presa in contropiede da mia figlia   che aveva dei giorni di ferie e mi disse che se volevo si poteva andare. Io non me lo aspettavo e dopo averci pensato, direi poco, accettai. Avevo la curiosità di vedere l’America con i grattacieli, le strade grandi, i magazzini di tre o quattro piani di profumi, Times Square, il ponte di Brooklin, il MET, Central Park, e mille altri posti dei quali ho sentito parlare o visto in televisione. Abbiamo camminato tanto, avrei voluto vedere tutto e anche di più in quella città viva, che ti prende, è tutto così grande in confronto a quello a cui siamo abituati noi. Sono tornata proprio soddisfatta e contenta di esserci potuta andare.

Ho visitato capitali europee, ho fatto trekking itinerante, ho visitato città italiane, non per forza lontano da casa, ma credo che ogni posto in cui vai  ti lasci un colore, un profumo, un fiore, un rumore, insomma qualcosa di speciale, l’importante è saperlo cogliere e portarlo via.

Un viaggio da ospite: Tina

Tunisi speciale – di Tina Conti

Nella vita si affrontano diversamente le scoperte del mondo nei vari periodi .

Chi è molto curioso, sente in modo indispensabile  confrontarsi con i mondi   e le tradizioni degli altri  e quindi  vuol partire.

Eccitazione e paura, azzardo e  incoscienza , sfida dei limiti caratterizzano le prime esperienze di un giovane. Così e stato  per me: andare, vedere, rincorrere senza soffermarsi molto, accumulare sensazioni. Nel tempo, però, il viaggio ha assunto caratteristiche molto più profonde.

A volte mi basta cambiare  percorso  nella mia città per avvertire il senso della scoperta, poi, di fronte a partenze impegnative, mi documento, faccio ricerca su cosa  osservare, sulle tradizioni e eventi, leggo testi che narrano la vita e i modi di un popolo, il clima,  le usanze, la storia. Questo è quello che in teoria posso fare  oggi per godere dell’esperienza del viaggio, ma quella vacanza fu molto sorprendente.

Si partiva per un mese, ospiti di un diplomatico tunisino.

L’appartamento che ci accolse si trovava al piano terreno della loro casa, una villa  in collina, a Sidi bes said, la Fiesole di Tunisi. La giovane coppia con due bambini ci aspettava.

Non avevo avuto quelle emozioni nei precedenti viaggi, ma il cuore, i miei sensi si accesero in modo sorprendente.

Sentivo odori, profumi, suoni che mi svegliavano prestissimo  il primo  mattino.

I piedi delle persone che si recavano in città si posavano sul terreno con suoni ovattati e morbidi , leggeri chiacchiericci si sentivano in lontananza, mentre si svelava il territorio ai miei occhi, la luce filtrava, brillante e calda e si posava sulla sabbia.

 Dai minareti arrivavano lamenti per la preghiera, che risuonavano  con ritmi diversi.

Sotto un limone in giardino mi tuffai in un mare di emozioni che mi incantò, poi, la spesa al mercato con  la grande sporta di paglia dove, senza incartare i vari prodotti, si mescolavano con armonia luci e colori.

La richiesta dell’aglio molto prezioso fu accolta con circospezione.

 Il venditore  mi accontentò rovistando da sotto il banco come  offrendo un tesoro. La moglie del diplomatico, di origine tedesca, si faceva rispettare e ascoltare in arabo perfetto. Una sera a cena, l’arabo con il suo abito da casa, lungo e bianco ci accolse nel giardino, il tavolo, i cibi profumati, il the alla menta molto zuccherato. Conclusero la serata, piena di luci lontane e di suoni che non mi facevano staccare l’attenzione del piacere dalla curiosità scatenata.

Il giro per la città con chi   ci vive ha aspetti molto più coinvolgenti e intensi. Fu una cosa  davvero indimenticabile l’incontro con gli amici della coppia che ci ospitava  e la visita al tramonto nel loro negozio di  oggetti e arredi  nel quartiere del mercato vecchio.

Salimmo sul terrazzo   sopra al negozio, il sole  era calato da poco, e tutto assumeva toni aranciati e rosa -viola, la sabbia rimandava bagliori di fasce luminosi e ricchi di sfumature. 

Aspettammo il buio completo , sotto di noi la moschea di alabastro si illuminò, mostrandoci la sua bellezza e la sua unicità, si sentivano suoni di preghiera .

Le pareti con la luce interna riflettevano tutti i toni del giallo, arancio, ocra, marrone dell’alabastro. Rimanemmo in silenzio incantati per tanto tempo.

Di sotto, ci furono mostrati oggetti antichi e tappeti e prendemmo il the  con i dolci al miele. A me piaceva molto un manufatto di tessuto  ricamato  molto vecchio, con colori caldi.  Insieme ad altri regali, alla partenza mi ritrovai quel drappo che ancora oggi conservo insieme alle emozioni.

 I nostri amici ci condussero nella parte del paese più aspra e  rurale, dove vivevano le popolazioni berbere, scoprimmo una realtà diversa dalla città e ancora molto legata alle tradizioni. Si parla di un viaggio che risale a circa quaranta anni fa.

Naturalmente  il paesaggio e i fiori mi appassionarono molto, le collane di gelsomini regalate ovunque per le feste  e le ricorrenze  mi stordivano cosi come il tripudio di ibiscus di tutti i colori nei parchi e giardini privati. Le buganvillee ricoprivano cancelli e prati, sfavillavano rigogliose e esuberanti.

Anche i mercati di generi vari furono fonte di attrazione e curiosità.

Le mani abili degli artigiani che lavoravano sotto  le tende davanti alle botteghe ci facevano sostare incuriositi, ricordo quanto dura fu la ricerca di una teiera che secondo la nostra amica doveva avere impresso il marchio dei tre minareti alla base per essere di buona qualità. Un viaggio accompagnato dalla passione di chi vive in quella terra è davvero diverso dai soliti.

Dopo questa esperienza mi pongo in modo diverso quando ospito amici  da fuori,

Cerco di scoprire con loro aspetti del nostro paese  vicini alle cose reali e emozionanti che provo a condividere con loro.

Viaggio verso se stessi: Carla

Parigi o cara- di Carla Faggi

Il mio primo viaggio, vent’anni o poco più, è stata una sfida e un’avventura verso l’indipendenza.

Poteva essere qualsiasi posto, non aveva importanza, ho scelto Parigi perchè conoscevo la lingua francese, solo per quello.

Volevo sfidarmi, fare qualcosa di diverso, vincere la mia timidezza e insicurezza. Un viaggio da sola in un paese straniero. 

Mollai il fidanzato dell’uscio accanto e partii per Parigi au pair presso una famiglia francese.

Dovevo guardare due bambini in cambio di vitto e alloggio e “argent de poche”.

Le priorità erano io e la scoperta di me stessa, poi i francesi e tutta la gente del mondo che sembrava fosse tutta venuta lì, e infine veniva la scoperta della città.

Spesso mi ripetevo “sono a Parigi, io, la Carlina di Settimello sono a Parigi da sola!”

Ero orgogliosissima e fiera di me. Ero finalmente l’italienne che parlava abbastanza bene il francese, anzi il parigino, e non la settimellese che parlava un povero italiano da provinciale di  un periferico comune oltre Firenze.

Ho avuto tanti amici, conosciuto tante persone, di tante e tante nazionalità. Ma più che altro mi intesessavo a me, a come mi comportavo, a come ero, a come potevo sbagliare e sbagliare ancora senza che nessuno lo sapesse, almeno non i miei genitori ed il mio paesino.

Comunque qualche volta feci anche la brava, mi ricordo che andai alla festa de L’Humanité a sentir parlare l’allora segretario del PCF Georges Marchais. Erano i primi anni settanta. Lo scrissi naturalmente a tutti gli amici ed ai compagni della sezione, anzi la cellula del PCI di Settimello. Perchè quello che stavo facendo non era solo per me ma anche per farlo sapere agli altri.

Inutile dire che al paesello diventai un mito.

La città l’ho scoperta di più nella seconda parte di questo viaggio, si, perchè dopo i tre mesi trascorsi in Francia rientrai a casa ma dopo pochi mesi ripartii e mi trasferii di nuovo a Parigi, vivevo in un appartamentino in affitto nel Marais e lavoravo come guardarobiera presso un ristorante.

Parigi all’epoca era tutto, era l’irraggiungibile, era essere al centro del mondo.

E io c’ero, ero lì, al centro del mondo, da sola. Non mi sentivo più quella di provincia, quella  timida, che si sentiva non all’altezza sempre, e per di più fidanzata con uno dell’uscio accanto.

Ancora qualche mese, poi rientrai e ritornai di nuovo, in tutto ci rimasi nove mesi.

Quel viaggio fu lo spartiacque della mia vita, mi accorsi che nulla, se vuoi, può essere impossibile, difficile sì ma non impossibile, basta provare a farlo.

Fu quindi un viaggio più che verso un luogo, verso me stessa, verso l’avventura il non conosciuto, l’imprevedibile.

Oggi naturalmente viaggio diversamente, vado a scoprire le bellezze di un posto la sua storia e la storia dei suoi abitanti, la mia curiosità si è spostata da me al mondo.