L’ombra di se stesso

Le ombre non hanno sangue – di Nadia Peruzzi

Era diventato l’ombra di sé stesso. Non avrebbe mai pensato prima che ci volesse così poco, eppure una volta che il piano aveva cominciato ad inclinarsi era stato fin troppo facile vedere la sua esistenza precedente fatta a brandelli.
Era scomparso tutto. Anche i pochi ricordi felici in quel magma informe in cui era stato preso prigioniero.
Lo specchio gli restituiva l’immagine sfocata a grigia di chi ha perso ogni speranza.
Gli occhi non ardevano più come un tempo, le rughe fatte solchi parlavano di sofferenza a chi volesse vederla.
Lui sapeva di essere ormai diventato un invisibile, uno di quelli che il mondo spingeva ai margini mentre si dava da fare per macinare e stritolare le vite dei più.
E lui era da tempo che viveva seduto dalla parte del tavolo apparecchiata per i poveri cristi.
C’era stato un altro tempo, che ora gli sembrava lontanissimo in cui guardarsi allo specchio non gli faceva male. Anzi, andava fiero di quello che vedeva brillare nei suoi occhi. Anche quando si specchiava prima di uscire di casa con indosso quella sua tuta blu da operaio e dentro di sé si sentiva un principe. Lo aspettava la fatica e lo sapeva, ma sapeva anche che avrebbe trovato un luogo dove poter far valere le proprie capacità e inventiva. Ad aspettarlo ai cancelli i suoi compagni di sempre Giorgio, Luca e Stefano. Ogni mattina un trovarsi e un ritrovarsi diverso dal giorno prima che gli regalava sempre qualcosa che era comunque degno di essere vissuto. La fabbrica nemmeno allora era amica, ma affrontarla alla stregua dei Moschettieri del re faceva meno paura e dava modo di creare legami che non si perdevano nemmeno fuori.
Le lotte poi che avevano fatto tutti insieme li avevano resi forti come l’acciaio che lavoravano.
Che stagione era stata quella. Da quel minuscolo angolo di mondo anche un uomo come lui aveva potuto immaginare di poter cambiare in meglio le cose e sognato di dare un significato alla sua vita. L’aveva attraversata da protagonista quella stagione, ma quanto era durata? Poco. Fin troppo poco.
Se lo diceva ogni volta mentre vedeva scorrere in tv immagini che parlavano di tutto meno che dei problemi reali delle persone come lui. Quelli che venivano sfiorate come un si deve ,ma mai approfonditi per le ferite che aprivano e i segni permanenti che lasciavano.
Ormai evitava di ascoltare anche le parole, tanto più se altisonanti e enfatizzate al massimo. Erano vuote e false come vuoti e falsi sentiva coloro che dichiaravano di farsi carico delle persone per poi abbandonarle a loro stesse.
Il giorno in cui annunciarono i licenziamenti era davanti al cancello della fabbrica. E ci tornò insieme a tutti gli altri in giorni e giorni di resistenza che non servì a nulla.  
Ormai anche una intera fabbrica e gli uomini e le donne che ci lavoravano per il sistema altro non erano che pallide ombre. Valide fino a che servivano, ma cancellabili una volta che altrove puoi pagare il lavoro ancor più miseramente.
Si ritrovò disoccupato e solo. Una solitudine pesante come un macigno. Anche i suoi compagni di lavoro e amicizia erano stati risucchiati in quel vortice di precarietà e ricerca di una occupazione qualsiasi per tirare avanti.
Si chiuse in sé stesso. Ogni giorno vedeva affiorare un capello grigio ed una ruga in più. Il viso sempre più scavato. Lo sguardo stanco e vuoto.
Girava per strade scintillanti, fendeva folle gaudenti senza che nessuno gli rivolgesse nemmeno uno sguardo. Come se già non esistesse realmente.
Aveva perso le parole da dire. Non avevano la forza di uscire. Aveva perso il coraggio, la voglia e la forza di salutare, di raccontare, di ascoltare e farsi ascoltare. Sentiva di essere diventato un fardello inutile. Nessuno ama ascoltare le lagne di un uomo maturo colpito dalla vita e che nemmeno riusciva a ritrovare una strada qualsiasi 
In fondo alla quale poter scorgere una piccola e flebile luce.
Andò al cantiere nel quale aveva iniziato a lavorare da qualche giorno, sopraffatto da questi pensieri. Quelli non si erano mai prosciugati a differenza delle parole.
Salì sul ponteggio per iniziare il suo turno. La struttura cedette al primo passo. Quando arrivò l’ambulanza non c’era già più nulla da fare. Lui era lì riverso nel suo sangue. Era un uomo. Era morto.
Non era un’ombra.
Le ombre non sono in grado di sanguinare come i pensieri e i cuori degli esseri umani.

Ombre sul muro

Ombre cinesi. – di Nadia Peruzzi


Sulla parete bianca due mani si intrecciano facendo apparire la sagoma di un cane. Sembra vivo e la tua piccola mano si allunga per toccarlo.
Sparisce come si è materializzato ma non del tutto perché le mani si muovono ancora e tornano a creare.
L’ucccello muove le ali e si alza. Quasi riesci a sentire il flap delle ali che lo aiutano a spiccare il volo. Un volo regolare e sempre più in alto a toccare il soffitto della stanza in mezzo al manto di stelle che, proiettato dalla lampada vicina al lettino, invita a chiudere gli occhi .
Il pensiero che già si affaccia sul domani.
Le mani della mamma che hanno creato quelle magie ora carezzano e confortano. Aggiustano la coperta perché tu non senta freddo. Ti senti coccolato e felice mentre ti abbandoni al sonno. Nessuna ombra è in grado di farti paura.
Anche quella che in sogno vedi allungata davanti a te. Stai correndo col sole alle spalle. E’ il tuo doppio scuro, lo sai benissimo. Non la temi. Saltelli per schiacciarla mentre pensi che vorresti farci un tuffo dentro in modo da potertela sentire appiccicata addosso come una seconda pelle.

Le nostre ombre

Vedo la tua ombra – di Carla Faggi

Vedo la tua ombra

allora vuol dire che ci sei

perchè se c’è la tua ombra tu sei reale.

Quindi ci sei tu, la tua ombra e ci sono anch’io!

Chissà se c’è pure la mia ombra

guardo ma non  la vedo

che sciocca, ma è mezzogiorno e quindi la mia ombra non la vedo!

Che fare? Forse mi conviene aspettare.

Si sa, io sono paziente e allora aspetto.

Eccola è arrivata! Appena appena ma è arrivata.

Ne arriva ancora un po’.

È bella la mia ombra, è sempre più bella e sempre più lunga.

Quindi ora siamo tu, la tua ombra, io e la mia ombra.

Per quanto tempo ancora?

Il tempo passa e l’ombra si modifica.

Perchè è l’ombra che rende reale il tempo!