Tessuto di Simone: la GARZA

SANGUE BLEU – di Simone Bellini

Crashhh !! Ahhh!!  Rumore di vetri rotti in salotto !

– Aiuto, mi sono tagliata con il vetro del vaso di fiori che mi è cascato e si è rotto in mille pezzi ! Osvaldo aiuto..corriiii!….. Osvaldoooo…Mio Dio la servitù, non c’è mai, quando serve !-

Osvaldo, il maggiordomo, arriva trafelato con disinfettante e garza :

– Ecco contessa, prima disinfetto la ferita, poi la fascio.-

-Ahh, cos’è quella !!-

– La garza , contessa, per fasciarle la ferita !-

– GARZA!! Mio Dio nooo ! Orrore, non si addice al mio rango ! Tuttalpiù del tulle, anzi no, della seta,…. si seta… moolto, molto meglio !!-

Tessuto di Tina: la CANAPA

La canapa – di Tina Conti

Fra tutti i tessuti proposti scelgo la CANAPA

Ho sempre sentito parlare in casa di questo materiale. poi da grande, in età da corredo ho capito di cosa si trattasse.

In casa circolavano delle matasse ruvide e marroncine, era canapa, la lavoravamo nei nostri telai in casa, per fare il corredo.

Mi erudiva mia mamma, il tessuto era rigido e duro come un panchetto.

Il corredo per le figlie era una faccenda che impegnava le mamme quando si cominciava ad avere   dai 12-18 anni in su.

Anche a me la mamma ha cominciato a comprare pezze di stoffa bianca.

Cosa ci devo  fare? Ho chiesto subito.

Lo prepariamo per  quando ne avrai bisogno.

Per la mamma era un grande orgoglio disporre di un po’ di denari in proprio e cominciare a  pensare al corredo per la sua prima figlia.

Non ho ben capito come facessero a trasformare le matasse  di canapa in tessuto ma ho apprezzato la tela sbiancata e ammorbidita dai lavaggi che ho trovato in casa confezionata in canovacci, asciugamani e teli per il letto che non ho mai usato per tale scopo ma che  oggi ho trasformato in bellissime tovaglie  per le cene estive in giardino.

I telai  familiari inizialmente semplici e usati in tutte le famiglie, realizzavano teli di sessanta centimetri circa, cosi  per usarli come lenzuola. Venivano cuciti a mano con un sopraggitto fitto fitto, molto resistente.

A me sono stati comprati teli di lino e cotone, chiamato cretonne, sono stata mandata durante le vacanze estive a scuola di ricamo e sfilato.

Mi piaceva stare con le signore del mio paese a lavorare, ho imparato i vari punti e un po’  di ricamo. Con  orgoglio ho preparato dei capi che ho usato e amato ma, appena ho potuto mi sono comprata quella bella biancheria colorata che anche adesso prediligo. Pur apprezzando però il grande lavoro del ricamo e della confezione che si faceva un tempo. Mi viene da pensare  spesso che tovaglie e lenzuola richiedevano  un mese o due per essere cuciti.

Figlia di una mamma nata all’ANTELLA ho avuto dalla nonna come regalo di nozze un completo uscito dal laboratorio delle sorelle CECCHERINI, cugine della nonna,  che possedevano un laboratorio di corredi e biancheria intima.

La storia di Antella, è molto legata al settore del ricamo  femminile, ogni  famiglia ha ricordi e aneddoti legati a quel tempo che è piacevole riascoltare.

a proposito di canapa leggi anche:

Personaggi e storie – Tina

L’uomo della panchina – di Tina Conti

Il personaggio:

Si sedeva, studiava la luce, il vento, siccome era freddoloso metteva un piccolo 

cuscino per accomodarsi, di solito portava una camicia con grossi quadri rossi, un gilè di morbida lana, un po’ consumato ma di ottima qualità, una giacca.

Sapeva vestirsi, per tanto tempo aveva lavorato con tagli e stoffe di tutti i tipi.

Aveva un aspetto curato e un fisico asciutto, per quella sua passione era sempre 

abbronzato. Prima di uscire controllava con cura tutto il necessario che portava in tasca e in una piccola sacca di pelle.

Si rasava ogni due giorni, amava quella lucida peluria che vedeva riflessa nello specchio al mattino, I capelli non erano corti, aveva mantenuto il bel ciuffo morbido e bizzarro di gioventù  anche se i capelli bianchi facevano capolino.

Le scarpe sempre in ordine e abbinate ai pantaloni morbidi che variava spesso.

Tranne la camicia un po’ bizzarra, il resto era classico e non dava nell’occhio.

Portava un orologio di forma rettangolare con un bel cinturino a volte marrone, a volte nero. In inverno metteva un berretto di velluto a coste grandi che toglieva appena si intiepidiva l’aria, i giorni che arrivava con una grande sacca con i manici di pelle, portava anche un taccuino e una penna stilografica.

Poggiata la sacca sulla panchina vicino all’ingresso del parco, osservava da lontano  con attenzione, prendeva appunti, disegnava o scarabocchiava, se qualcuno si avvicinava o si sedeva vicino, appariva cordiale e gentile.

Nella sacca portava un libro e dei giornali, raramente però aveva tempo per leggerli, a metà  mattina prendeva dall’ambulante che passava una  piccola ciambella che divideva e mangiava solo a metà .

Era difficile dargli un’età, avrebbe disorientato chiunque, sembrava contento della sua vita, e appagato della sua esistenza.

La storia di Cesare

Aveva scelto la sua vita, non voleva dipendere da nessuno.

Vivere cosi lo appagava e faceva sentire bene , se non fosse stato per quella preoccupazione  tutto sarebbe stato perfetto.

Elaborava i dati raccolti con disegni, appunti, campioni.

Il piano  interrato della sua casa era il suo regno.

Quando spediva il materiale il lavoro  sorprendeva e entusiasmava. 

Partivano le produzioni e le spedizioni in tutto il mondo.

Sapeva cogliere  il momento, la sfumatura di colore, il materiale ….

Tutto scaturiva  da quella sua capacità di vedere i desideri  esteriori della gente.

Non voleva limiti e indicazioni, le sue idee erano libere.

Era talmente capace di entrare nei  gusti delle persone che non aveva rivali, tanti clienti avevano provato a fare a meno di lui, anche perché poteva consegnare poco materiale  a causa del tanto lavoro che  faceva.

Per concludere gli elaborati e  le  sue provvigioni erano alte.

Non conosceva neppure lui i dati dei suoi guadagni, aveva delegato tutto a Manuela, la donna di cui si fidava e che lo conosceva da sempre.

 Lei ritirava la posta ogni giorno, lavorava in una parte staccata del piano interrato, la sua finestra dava sul giardino, splendido e rigoglioso, coltivato con attenzione e amore  da Cesare, ma che non doveva essere violato da nessuno, neppure da lei.

Grandi mazzi di fiori di stagione, erano accomodati in vasi di cristallo colorato in tutto lo studio, i fiori  composti con gradazioni dello stesso colore, abbinati a fogliame di tonalità contrastanti e forme ricercate.

La sua casa era un luogo inaccessibile a molti, tranne in occasione del Carnevale. Per due settimane si dedicava soltanto agli  allestimenti. La casa diventava un teatro, una foresta, un castello. Spediva agli ospiti, il bozzetto del costume che gli ospiti avrebbero dovuto indossare e indicava la sartoria a cui si sarebbero dovuti rivolgere  per la confezione, naturalmente a sue spese.

Arrivavano pacchi e oggetti da varie parti, lui lavorava instancabilmente per giorni, il risultato era incredibile.

Gli ospiti mascherati, partecipavano a uno spettacolo e godevano di effetti teatrali sorprendenti, il clima  che si creava appariva controllato.

Conosceva bene i suoi ospiti, mentre loro non sapevano niente di lui.

Questa nuova condizione sembrava fare pace con la delusione che quindici anni addietro aveva provato.

Lavoro nell’azienda della madre, collaboratori capaci e affezionati.

Un matrimonio con la giovane amica della mamma, una vita che sembrava un idillio.

Si vantava di conoscere il cuore delle persone, di saper ascoltare i desideri

Non era stato cosi,

La figlia che adorava un giorno era sparita con la madre, portati via preziosi e documenti, non era stato capace di avere indizi, tutto sparito nel nulla.

Neppure gli  oggetti trovati nella camera della moglie, uno scontrino di un bar  e una tessera di una associazione culturale, una foto strappata con immagini di persone sconosciute, un biglietto del treno,  un tacco di scarpa da donna, un indirizzo  mail scritto su un fazzoletto di carta, avevano aiutato gli investigatori a trovare risposte.  

Sembrava impossibile che tutto fosse veramente  accaduto, la fede in oro, sì quella  era della moglie, come la giacca .

Non riuscirono  a far chiarezza  su quella sparizione. Neppure tutti i dati raccolti da quella schiera di  investigatori a cui si era rivolto.

Conosceva gli uomini? Si chiese…… no, no neppure osservandoli per giorni, facendosi invitare nelle loro case, non li capiva, e neppure era sicuro di niente, solo la sua arte gli dava pace, il creare abiti, cose, oggetti lo faceva sentire in pace e con la voglia di vivere.

I fiori erano la sua terapia, si stordiva  con  la loro bellezza, più erano laboriose le cure  che richiedevano, più  ritrovava  pace e armonia.

Ormai non aveva più amici, la mamma era morta, solo la sua segretaria conosceva la sua storia, era riservata e lo trattava con rispetto.

Il tempo che al mattino  passava a osservare, disegnare guardare la gente ai parchi della città lo aiutavano  a fare pace con il mondo e con i suoi abitanti.

Sapeva tante cose delle persone che osservava, a volte entrava nelle loro case per carpire aspetti sconosciuti, voleva indagare sul cuore delle persone.

Erano loro gli ospiti delle sue feste di carnevale, che poi lui non voleva più incontrare  cambiando spesso luogo  e orario di osservazione.

Ogni settimana Manuela consegnava il pacco che conteneva le  camicie che lei sceglieva e faceva confezionare, quelle che portava al parco sempre con riquadri rossi. Così il venditore di ciambelle lo avrebbe  individuato con facilita’ ovunque, cosi non sarebbe mai rimasto senza.

Tessuto di Lucia: il PIZZO

Pizzo – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Si vede e non si vede
ti prende e ti lascia
elegante e malizioso
sensuale e romantico
Antico
la memoria delle donne
la bellezza trasparente
Gioco
travestimento vestimento svestimento
sposa amante bambina
Emozioni sottili
ti do e non ti do
mi vedi e non mi vedi
mi faccio vedere
sono fatta così
Nuda
mezzi guanti di pizzo
per mostrarti le unghie
che unghie ha una donna
quando vuole graffiare?
Femmina
custode di un segreto
ho bisogno di un velo?
ho bisogno di un pizzo?
o non ho bisogno di niente?

Incontro virtuale – 13 aprile 2021

con Cecilia Trinci

Incontro importante, con diversi commenti sulle ultime produzioni. Interessanti analisi sulle scritture, che sono state non solo piacevoli e creative, ma anche tecnicamente più impegnative.

L’analisi e il commento hanno investito tutti i partecipanti, con uno scambio di opinioni e di pensieri personali sul nostro procedere e operare.

Alcuni ricordi personali come quello di Anna, collegati alla vita del paese, sono stati particolarmente commoventi.

Di fondamentale importanza il concetto di “tempo dedicato” che va protetto, rivolto alla crescita e al dedicarsi a una attività. Di conseguenza il concetto di “disciplina” come elemento base, tecnico, a cui affidarsi.

La proposta della settimana si basa sulla scelta di alcune tessiture-ispirazione: spugna, garza, tulle, raso, cashemire, lino, canapa, seta, pile, tessuto imbottito, microfibra, jeans, pizzo, pelle.

L’ottimismo sta nell’orto

L’ottimismo – messaggio di Tina Conti

Foto di congerdesign da Pixabay

Ottimismo raro e a peso d’oro, passa veloce e a orari impossibili, si cattura con foglie di cavolo appena colte, è dispettoso e si infratta fra la polvere, spolverando, spolverando a volte scopre il suo volto, ma se non abbiamo le foglie di cavolo fresche vola via….. io non riesco a acchiapparlo che per pochi secondi, provateci voi, il cavolo c’è nel mio orto…..

Personaggi e storie – Gigliola

Ispirato agli elementi: un biglietto di sola andata Roma-Torino, uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro, un fazzoletto di carta con un indirizzo mail, una fede d’oro, una carta socio dell’Accademia La Colombaria, una foto di gruppo strappata in quattro pezzi, un tacco a spillo di scarpa da donna.

La fuga – di Gigliola Franceschini

foto di Gigliola Franceschini

Personaggio: Si guardava nello specchio e faceva fatica a riconoscersi  in quella figura trascurata e opaca. Cosi’ si era ridotta in cinque anni di matrimonio. Si chiedeva che fine avessero fatto  il suo caschetto biondo, i suoi occhi luminosi di futuro, I suoi sogni e I suoi desideri. Tutto era stato distrutto da un rapporto che si era deteriorato giorno dopo giorno, travolto da Lorenzo che si era sempre piu’ attaccato al suo vizio, il gioco, sempre il gioco. Era passata da un grande sentimento ad un forte senso del dovere, dalla voglia di aiutarlo alla consapevolezza che niente lo avrebbe cambiato. Poi, con la violenza, era arrivata la paura che le avevafatto prendere  una decisione, doveva fuggire da lui, da quella casa, da un letto dove non si sentiva sicura; doveva riprendere in mano la sua vita, il suo lavoro, ritrovare la sua dignita’ di donna. Aveva ancora il coraggio di farlo, non poteva aspettare altri giorni di ansia, farlo subito, salvarsi finche’ ne aveva ancora la possibilita’.         

       La storia.    Era la sera di un giovedi’, Lorenzo era andato al solito appuntamento settimanale col gioco, un gioco d’azzardo in un seminterrato del Bar Centro dove affluivano brutti personaggi  anche da altre citta’. A quel tavolo si era mangiato tutto il loro benessere, i gioielli, i risparmi e tutti gli oggetti di valore per far fronte ai debiti sempre piu’ incalzanti. Quando lei si era rifiutata di vendere la proprieta’ lasciatale dalla sua famiglia, era arrivata la violenza. Era necessario fuggire, subito, prima che passasse la nottata. Telefono’ a Maria, una cara amica che si offri’ di ospitarla senza fare domande. Tiro’ fuori dal ripostiglio il maxiborsone, quello dei loro brevi viaggi del fine settimana di anni lontani e lo apri’. Era pieno di cianfrusaglie, non si ricordava piu’ da quanto tempo fosse stato usato. Tutta roba da buttare, penso’; trovo’ un biglietto spiegazzato Roma Torino, forse un viaggio di lavoro di Lorenzo, uno scontrino di un bar di Firenze da 5,80 euro. Ma a chi era appartenuto? Non si ricordava recenti viaggi a Fi, ma non aveva importanza. Frugo’ nelle tasche laterali e tiro’ fuori in fazzolettino di carta stropicciato con un indirizzo E.Mail. non si pose domande, afferro’ un sacco della nettezza e mise tutto dentro. In uno scomparto interno senti’ la.presenza  di una tessera, una carta socio di una qualche accademia, non capiva e non le importava. Le sembrava che quel borsone fosse stato usato da qualcuno che non conosceva. Comincio’ a mettere roba sua, prima qualche paio di scarpe, quelle piu’ utili al presente. Avrebbe provveduto in seguito a rifarsi un po’ di roba. Trovo’ in una scatola i suoi sandali Chanel , quelli col tacco a spillo e ricordo’ di averne rotto uno un ultimo dell’anno, un secolo prima. Butto’ tutto via, non voleva ricordi e feticci. Stava per chiudere il sacco quando vide all’anulare la sua fede, d’istinto butto’ anche quella e chiuse con uno spago. Sulla piccola scrivania vide un gruppo di amici  che sorridevano felici da una foto incorniciata a ricordare una gita in montagna. Gia’ allora dietro il sorriso si nascondeva il suo dramma, prese la foto e la spezzo’ inquattro parti e la lascio’ sul mobile. Guido’ per lunghe ore in preda  ad una sensazione nuova, si sentiva libera. Quando arrivo’ a casa dell’amica, questa l’abbraccio’ senza parlare, le mise in mano una tazza di caffe’ profumato e la fece accomodare davanti al camino. Solo Maria faceva ancora il caffe’ con la napoletana un caffe’ forte e ristoratore. Poi ando’ in camera e si mise a letto. Un letto sicuro , penso’, finalmente. Fu avvolta da un intenso profumo di lavanda. Maria aveva conservato l’abitudine campagnola di profumare  la biancheria con tanti mazzetti di fiorellini viola. Mentre si abbandonava al  torpore che precede il sonno, le vennero in mente i vasti prati della Provenza, le grandi distese  di lavanda mosse  dal soffio fresco del Mistral e penso’, forse potrei andare in Francia, forse un nuovo lavoro. Comincio’ a piangere lentamente, un pianto caldo e consolatorio. Le lacrime non erano amare. Scendevano sul cuscino e si profumavano di buono.

Personaggi e storie – Carmela

Ispirato agli elementi: un biglietto di sola andata Roma-Torino, uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro, un fazzoletto di carta con un indirizzo mail, una fede d’oro, una carta socio dell’Accademia La Colombaria, una foto di gruppo strappata in quattro pezzi, un tacco a spillo di scarpa da donna.

Il passato e il suo profumo – di Carmela De Pilla

Foto di jplenio da Pixabay

Personaggio

Aveva la mania di conservare tutto Luigi, non era bello, il naso largo e un po’ schiacciato stonava con il viso lungo e spigoloso e gli occhi neri si perdevano quasi da quanto erano piccoli.

L’unica nota piacente era il sorriso sincero, dolce e un po’ malinconico che lo portava a diventare amico di tutti, sapeva di essere brutto e questo difetto aveva accentuato in lui una simpatia che tutti apprezzavano.

Generoso e sempre disponibile ad ascoltare gli altri, interessato allo studio di teologia, aveva una buona dialettica che lo facilitava nella comunicazione e nei rapporti con gli altri.

L’odore del passato

Aveva la mania di conservare tutto, ovunque lasciava piccoli pezzi della sua storia, biglietti fra le pagine dei libri, nelle tasche, a volte li metteva perfino dietro i quadri per poi stupirsi quando li ritrovava “È l’odore del mio passato…” diceva e ogni tanto riapriva le tante scatoline sparse per la casa che racchiudevano pensieri, eventi, dubbi, tormenti, gioie…

Non era bello Luigi, non lo era mai stato, nemmeno quando era piccolo, le poche foto che lo ritraevano nell’età in cui tutti sono stati più o meno belli le aveva dimenticate, preferiva fissare la sua immagine in un ricordo un po’ annebbiato dal tempo, ma forse più piacevole.

Il naso largo e un po’ schiacciato stonava con il viso lungo e spigoloso e gli occhi neri, troppo piccoli quasi si perdevano ..l’unica nota piacente era il sorriso sincero, dolce e un po’ malinconico che lo spingeva a diventare amico di tutti, sapeva di essere brutto e perciò sprigionava una simpatia che molti apprezzavano.

Era stato doloroso ritornare nella casa materna dopo la morte di sua madre, da quando si era trasferito nella piccola canonica di S.Cristoforo in Perticaia non ci aveva più rimesso piede, tutto era rimasto immobile, perfetto nella semplicità degli arredi, sentiva ancora l’odore di lillà, il primo arbusto che fioriva all’ingresso del minuscolo giardino e la rivedeva nei suoi movimenti lenti  e attenti mentre aggiustava con cura i fiori nel grande vaso di vetro.

Un po’ stordito dai ricordi camminava per la casa come in un sogno, si sentiva leggero, quasi privo di materia.

 Aprì l’armadio e un po’ intimidito  toccò i vestiti che sua madre aveva conservato con tanta premura, in quel momento percepì il volo leggero di una farfalla e sentì la presenza della donna che tanto l’aveva amato, per un attimo pensò a lei e si commosse.

Toccò con affetto quegli indumenti e si accorse che nella tasca di una giacca dismessa ormai da anni c’era qualcosa, incuriosito frugò e tirò fuori una miriade di piccole cianfrusaglie inutili o almeno così sembravano, li appoggiò sulla scrivania e intimorito incominciò a razzolare …un tacco a spillo? Tra i ricordi si fece subito spazio la sera in cui spezzò in due il cuore di Adelaide, era sicuro che sarebbe stata la donna della sua vita, ne era innamorato perso, poi… le nottate insonni, il desiderio dell’immensità e della spiritualità, la decisione di farsi prete e la disperazione di Adelaide.

Si erano amati davvero loro due e quando Luigi le disse che sentiva il desiderio di farsi prete lei non lo capì, non poteva capirlo! Aveva riposto tutti i suoi sogni in lui, come poteva pensare di buttare all’aria tutto!

Quel tacco rosso lo aveva riportato all’antica sofferenza, c’era anche l’ indirizzo mail di lei scritto frettolosamente sul fazzoletto di carta con cui si era asciugata le lacrime, l’anello d’oro che suo padre le aveva dato prima di lasciarla raccomandandosi di regalarlo a Luigi e poi la corsa disperata durante la quale  il tacco si era conficcato in una crepa dei sanpietrini.

Quella foto di gruppo che Adelaide gli aveva spedito qualche giorno dopo, strappata in quattro pezzi con la sua immagine mancante sapeva di tradimento, ma Luigi sempre attento ai sentimenti altrui non si sentiva in colpa bensì addolorato per aver ferito l’unica donna che aveva amato profondamente.

L’ultimo incontro con Adelaide era stato al bar dove avevano passato la loro giovinezza, Luigi era diventato un uomo maturo, trasparente, non sapeva mentire e tantomeno nascondere i suoi sentimenti, il percorso costruito passo dopo passo per dialogare con Dio lo aveva portato a una spiritualità che andava oltre se stesso e così sentì il bisogno di incontrare Adelaide.

Era sparita la sua rabbia, il suo rancore…poche parole e uno scontrino di 5,80€ per salutarsi con l’ultimo sorriso che li avrebbe accompagnati a lungo. Ecco dov’era la carta socio dell’accademia Colombaria! L’aveva cercata dappertutto, lo sentiva ancora l’odore di quel passato e quel cartoncino lo aveva riportato ai suoi 25 anni, appena laureato in lettere e filosofia, curioso di conoscere i misteri della vita si iscrisse a un corso di filologia per andare oltre il tangibile, per capire oltre le parole la vera essenza della Bibbia. Aveva passato a rassegna ogni frammento della sua vita e quel biglietto del treno solo andata Roma-Torino lo aveva accompagnato verso il sacerdozio, sentiva forte il desiderio di regalare la sua vita a Dio mettendosi al servizio degli altri.

Era una brava persona Don Luigi, la sua forza interiore lo spingeva ad entrare nell’animo umano con semplicità e amore e ora anche Adelaide lo ricorda così.

Il contributo di un ospite che ci legge

Personaggi e storie – Roberto

“ROMA TORINO, VIA FIRENZE” – di Roberto Zatini

Il treno rallentò prima di entrare nella stazione di Torino…Era partito da Roma Termini la mattina alle undici e dieci: le sedici erano passate da cinque minuti e il Frecciarossa, stava per entrare nella stazione di Porta Nuova. “Una puntualità svizzera!” disse fra sé la donna, guardando il biglietto di sola andata, prima di appallottolarlo e ficcarlo nel porta rifiuti sotto il finestrino. Lei preferiva farsi aspettare, nonostante che, per questo, avesse perso diverse occasioni. Le persone iniziarono ad alzarsi e, presi i bagagli, si avviavano verso la testa del vagone. Non aveva voglia di affrettarsi, anche se le cose da fare non erano poche. Con lentezza studiata, si alzò anche lei, ma un rallentamento più brusco la rimise a sedere, rischiando di farla cadere sull’uomo dai capelli bianchi che si era seduto accanto a lei, dopo che il treno si era fermato a Firenze. Il signore la guardò sorridendo e continuò a scrivere sul suo tablet. Lei ricambiò il sorriso con un po’ d’impaccio, sistemandosi la gonna del tailleur verde erba. Il rosso dei suoi capelli spiccava come un fiore sul verde dell’abito, mentre la collana d’oro e gocce di giada le abbelliva lo scollo, facendo passare in secondo piano le efelidi che ne segnavano la pelle. Anche le scarpe con il tacco a spillo erano dello stesso colore del tailleur e davano slancio a due gambe che non ne avevano bisogno: l’anziano signore l’aveva guardata bene prima di rimettersi a scrivere. Il treno si mosse per fermarsi di nuovo, con un rumore di ferraglie: l’entrata in stazione sembrava problematica e la donna disse, senza rivolgersi a qualcuno in particolare: “Cosa sta accadendo?”

Il signore che le sedeva accanto le sorrise e si strinse nelle spalle dicendo: “Non lo so davvero! Teme di far tardi?”

“Non mi aspetta nessuno!” rispose decisa la donna. Poi, temendo di essere stata brusca, girandosi la fede d’oro con il pollice e l’indice della mano destra con un movimento automatico, proseguì: “Vedo che anche lei continua a scrivere: che senso ha affrettarsi?”

L’uomo si appoggiò meglio allo schienale, facendo una smorfia con la bocca: “Ah, cara signora, io non corro più! Ma pensavo proprio che ci fosse qualcuno ad aspettarla!”

La donna lo guardò sorpresa: “E cosa glielo faceva pensare, scusi?”

Il signore dai capelli bianchi spalancò gli occhi, come se non avesse pronte le parole per risponderle mentre con le mani cercava con calma qualcosa nelle tasche della giacca sportiva: “Mah, così…Ho notato che si era alzata appena il treno aveva rallentato per entrare nella stazione, che era sposata…”

Il treno accennò a muoversi per fermarsi poi di colpo, con un rumoroso singhiozzo. Dalle tasche, l’uomo aveva tirato fuori un mazzo di chiavi che aveva rimesso subito a posto. Dopo vennero fuori anche un pacchetto di fazzoletti di carta e uno scontrino. Li lascò sul tavolino, occupandolo con quelle cianfrusaglie e continuando a cercare nelle tasche. La donna si passò le mani nei capelli rossi e rise meravigliata: “Scusi, ma chi le ha detto che sono sposata?”

Il treno non accennava a ripartire: i passeggeri in piedi nel corridoio erano aumentati e impedivano a quelli ancora seduti di prepararsi a scendere. Il signore continuava a frugarsi in tasca, ma trovò il modo di risponderle: “Vede signora, ormai ho un’età in cui, di fronte a certi elementi, arrivo a conclusioni che mi sembrano conseguenti: una fede all’anulare della mano sinistra di una donna, mi fanno ritenere che sia sposata…”

La donna, con lo stesso gesto automatico di prima, si girò la fede con il pollice e l’indice della mano destra, ma non replicò. Un’ombra le era scesa sul viso.

L’uomo anziano guardò lo scontrino come se lo vedesse per la prima volta. Prima di gettarlo, lo guardò ancora. Poi continuò: “Si è mai seduta a un tavolo del bar Paszkowski in piazza della Repubblica a Firenze? E’ sempre una gran bella cosa, sa! Anche se costa cara! Un caffè e un bicchiere d’acqua cinque euro e ottanta! Ma ne vale la pena, mi creda!”

“Abita a Firenze?” gli chiese la donna, rimanendo seduta, continuando a girare la fede.

“Sì e la considero una fortuna!” le rispose l’uomo con soddisfazione. Dalla tasca aveva tirato fuori anche una vecchia tessera e una foto che a forza di essere stata piegata si era divisa in quattro e stava insieme per miracolo.

Il treno non accennava a muoversi e il brusio dei passeggeri stanchi di aspettare fermi nel corridoio, aumentò. La donna guardava quell’uomo che, preso dalle sue carte, si comportava come se il treno non fosse già in stazione e continuava una conversazione che, per forza di cose, stava per terminare. “Conosce Firenze, signora?”  chiese alla donna, che si alzò per guardare fuori dal finestrino. L’uomo anziano continuò, senza aspettare che rispondesse: “Questa è la foto della sede storica dell’Accademia della Colombaria, in via del Proconsolo, al numero dodici, all’angolo con Borgo degli Albizi, dov’è il canto de’ Pazzi. Siamo vicino al Bargello!” Si sentì un lungo fischio e il treno finalmente si mosse con una lentezza esasperante. La donna si era di nuovo seduta. Ora che il treno si stava muovendo, sembrava più interessata a quello che diceva l’anziano sconosciuto: “Conosco Firenze, ma non ho mai sentito parlare di codesta accademia!”

Il signore sorrise compiaciuto: “E’ un’accademia culturale antica e prestigiosa. Sono venuto a Torino per consegnare la tessera allo “Spennato” che non sta bene. E’ un caro amico!”

“Spennato? Allora nell’Accademia giocate anche d’azzardo!” affermò d’istinto la donna.

L’uomo scosse la testa ridendo: “Non scherziamo! Spennato è lo pseudonimo del socio: lo fecero i primi accademici prendendo spunto dai colombi che frequentavano la colombaia del Palazzo “non finito” dei Pazzi e, chi vuole, lo fa ancora: il torraiolo, lo snidiato, lo spollinato…”  Il treno entrò in stazione e superò gli scambi con altri rumori: “Se lo vuol sapere io sono lo spaiato!”

La donna si alzò, con le braccia sollevate per prendere il bagaglio: il treno fece ancora un ultimo balzo, facendole perdere l’equilibrio. Si sentì il crac del tacco a spillo che aveva ceduto. Il viso le era diventato dello stesso colore dei capelli, mentre teneva sconsolata la scarpa in mano: “Ci mancava solo che mi si rompesse un tacco!” 

Il treno ora si era fermato. Si sentì il rumore delle portiere che si aprivano. I rumori della stazione arrivavano fin dentro la carrozza. La fila dei passeggeri si mosse. L’uomo prese un fazzoletto di carta dal pacchetto, vi scrisse qualcosa e lo porse alla donna visibilmente contrariata, dicendole: “E’ il mio indirizzo di posta elettronica. Se è interessata a conoscere l’attività dell’Academia mi scriva!”

Lei lo guardò come se fosse un alieno. Si mosse con difficoltà, inserendosi nella fila dei passeggeri. L’uomo raccolse le sue cose, le mise in tasca e, con calma, si preparò a scendere.

Personaggi e storie – Sandra

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna.

Davvero fu per caso? – di Sandra Conticini

foto di Simone Bellini

DESCRIZIONE DI UN PERSONAGGIO

Carlo uomo sui 55 anni, capelli brizzolati  a spazzola, occhi verde scuro sempre sorridenti, ma con lo sguardo distratto.  Veste in modo tradizionale ma nel tempo libero usa abiti sportivi multicolori, comunque l’abbigliamento è sempre  curato ed ha sempre un buon profumo. Eh sì è molto vanesio, si piace.

E’ originario di Firenze, ma lavora in una grossa azienda farmaceutica a Roma e viaggia spesso in treno.

Non riesce ad avere amici, e questo è il suo cruccio, non è socievole e spesso è un po’ ambiguo.

STORIA

Carlo, originario di Firenze, con grande dispiacere aveva dovuto lasciare la sua città ed andare a vivere a Roma per lavorare in una grande azienda farmaceutica. Quando, con il treno, passava da Firenze, se poteva, fissava con qualche vecchio amico, prendevano un caffè insieme, ricordavano i vecchi tempi e poi ognuno andava per la sua strada.

Quel giorno sarebbe andato a Torino, con un biglietto di sola andata, perchè doveva fare dei controlli ad aziende associate e non sapeva quando sarebbe tornato.

Così decise di prendersela comoda e  fissò con Antonio per prendere un caffè da Rivoire, nel salotto di Firenze.  Mentre era in treno Antonio telefonò dicendo che non poteva andare all’appuntamento perchè aveva avuto degli imprevisti. Carlo restò un po’ interdetto, su di lui non si poteva mai fare affidamento, ma decise comunque di fare un giro nella sua città. Camminò per le strade del centro, in quell’ora del mattino ancora con poche persone, che andavano svelte  rinvoltate nei loro piumini e sciarpe perchè la giornata era bella, ma fredda. Si ritrovò in Piazza della Signoria, entrò da Rivoire, prese una cioccolata calda sempre buonissima, ma.. se la facevano pagare vaiiiii… guardò lo scontrino diverse volte, non ci voleva credere €. 7,80, meno male che non l’ho presa con la panna!!! pensò! Mentre stava uscendo vide entrare una signora ben vestita che gli ricordava Isabella, la sua compagna di banco di ragioneria. Uscì dal bar, fece un giro per la piazza, vide qualcosa tra i sanpietrini, lo raccolse e capì che era un tacco a spillo rosso e nero,  e  mentre  lo metteva in tasca ripassò quella che pensava fosse la sua compagna di scuola. Questa volta, nonostante per lui  fosse una grossa prova, la fermò e riuscì a chiederle

: – Ma lei è Isabella?

Lei tirò diritto pensando fosse un rompiscatole,  lui la rincorse dicendole che avevano studiato insieme. Le fece vedere la carta socio dell’Accademia “La Colombaria” che portava ancora nel portafoglio insieme ad una foto di gruppo strappata in quattro pezzi e riattacata con lo scotch.

Lei fu costretta a fermarsi, a guardarlo meglio e, nonostante avesse i capelli brizzolati, riconobbe il colore degli occhi verdi, sorridenti, che non aveva  dimenticato e anche lo sguardo distratto era uguale. Nonostante gli anni trascorsi era sempre lo stesso vanesio, curato nel vestire anche se sportivo e con un buon profumo che le faceva girare già la testa.

Iniziarono a parlare della loro vita che non era stata una passeggiata. Lei separata con tre figli ed un marito che spesso la picchiava, lui ora solo e non per scelta. La moglie lo aveva ormai lasciato da ben quattro anni e ripensadoci tirò fuori dalla tasca della giacca la sua fede, che aveva sempre dietro. Per ora non era riuscito a rifarsi una vita, ma sperava nel futuro.

Decisero di mangiare insieme in una trattoria vicino alla stazione,  prese il fazzoletto di carta con l’indirizzo mail del suo responsabile avvisandolo che sarebbe arrivato a Torino in tarda serata. Non poteva partire subito, avevano tante cose da ricordare e da raccontarsi.

Personaggi e storie – Simone

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna.

In attesa di ispirazione – di Simone Bellini

PERSONAGGIO

Io; tassista depresso in estenuante attesa della pensione ( fra due luuunghissimi anni). Dal carattere mite, pacioso, non si altera mai, buon ascoltatore, parla il meno possibile (per mancanza di argomenti), un personaggio anonimo insomma.

                                IN ATTESA DI UNA ISPIRAZIONE

Scusatemi, matite care, se non scrivo quasi più, non partecipo molto, se la mia presenza è quasi nulla nei nostri collegamenti settimanali, ma questo periodo pandemico mi ha annullato, più dell’altro, la voglia di fare, di scrivere, di disegnare, di studiare copioni, nonostante abbia tutto il tempo ed il materiale , che mi porto sempre dietro, per passare queste interminabili ore in attesa di una corsa . Sono diventato apatico e privo d’interessi, consumato dallo stress.

Non voglio risultare patetico, ma questa volta non mi viene in mente niente; nessun personaggio, nessuna stor…

-Lei è libero? Parte lei ? Presto, presto mi porti alla stazione presto ! Ma che fa? Smetta di scrivere, parta subito ! Via !.

Entra concitatamente nel taxi gettando giacca e borsone sui sedili posteriori.

– oh cazzo ! Mi si è rotto anche il tacco adesso, cazzo cazzo cazzo !

Mi scusi eh, ma oggi non me ne va bene una, guardi qua – dice mostrandomi uno scontrino che aveva nella tasca della giacca- Ma le pare possibile che per un cappuccino e una brioche si debba spendere cinque euro e ottanta ?! “ Ma lei ha consumato la colazione al tavolino esterno “, mi hanno risposto con la “puzza sotto al naso”. “ Andate a fare in mmmhmm” mi sono trattenuta a stento tappandomi la bocca, ma uscendo ho gridato un LADRIIII che mi hanno sentito nel raggio di un kilometro.

Mi scusi lo sfogo, mi vede così agitata perché stamani avevo un colloquio nella sede dell’”Accademia Colombaria” per propormi, in quanto socio, alle prossime elezioni dei membri del consiglio- Così dicendo tira fuori dalla tasca la tessera socio con la foto di gruppo del comitato dirigente.-Non mi hanno preso nemmeno in considerazione, ridevano, ridevano e ammiccavano. MALEDETTI! – dice strappando rabbiosamente in più pezzi la foto – Mi scusi devo fare una telefonata,per rilassarmi un po’, posso?-

-Prego, faccia pure. – Mentre lei si sfila la fede d’oro e la mette in tasca.

– Pronto amore, sto venendo da te, ho bisogno di coccole, non sai che giornata di merda sto passando. Stiamo in po’ insieme e poi torno a casa a Torino, ho già preso il biglietto.

Come non ci sei ? Non sei a Roma?…Dove sei? … Con chi?…Macchè lavoro,…tu mi tradisci, di’ la verità, vigliacco ! Lo capisco sai quando menti!

Ahh lo ammetti, PORCO !!!

Cooosaaa….. mi….mi vuoi lasciare ? Perchèèè?

 Io.. troppo isterica ….. IO ???

Ora vengo lì e ne parliamo !

Pronto….. Prontoooo!!!

….Ha riattaccato……mi ha riattaccato il telefono in faccia !!!

Mio Dio , adesso come faccio ! Non so stare senza di lui!- in lacrime- dovrò accontentarmi di mio marito !

Si fermi, scendo qui. – Rimestando convulsamente nel borsone:- Dov’è, dove l’ho messo?..Eppure sono sicura di aver preso il portafoglio, deve essere per forza qui. Non lo trovo. Mio Dio l’ho perso … me lo hanno rubato! Ma porca miseria ladra! Mi dispiace tanto, guardi le scrivo la mia mail su questo fazzoletto di carta, lei m’invia l’importo e gli estremi per farle il bonifico, va bene? DIO CHE GIORNATA !!!-

– Non lo dica a me; dopo quattro ore fermo al posteggio aspettando una corsa mi capita lei che mi riempie la testa di tutte le sue disgrazie ed infine non mi paga nemmeno ! Cosa dovrei dire io di questa giornata eh!! Se ne vada, vada via che devo finire di scrivere !

Personaggi e storie – Cecilia

ho accettato la mia stessa sfida….ispirandomi ai meli di Lucia….

Non portava tacchi a spillo – di Cecilia Trinci

foto di Lucia Bettoni

Personaggio: Lo sapeva che era arrivata al tempo in cui si vede il punto in cui sta per finire. L’esistenza, intendo. La quantità di filo a disposizione per cucire un buon vestito era arrivata alle ultime gugliate. Non era alta e non lo era mai stata, ma non portava tacchi a spillo, come un tempo aveva fatto senza troppa fatica, non era magra come invece era stata per diversi anni perché dimenticava di mangiare e era stata sempre in movimento. Non era elegante perché questo le era sempre importato poco e preferiva muoversi a passi lunghi e sicuri, quasi dovesse montare a cavallo e incontrare draghi da combattere dietro ogni curva della vita. Il suo corpo ricordava di essersi arrampicato sui cancelli e i suoi occhi ancora buoni di aver letto molto e incontrato molti sguardi. Sorrideva spesso anche se ora le occasioni erano scarse e muoveva mani grandi piene di anelli, che le facevano compagnia. Una borsa pesante piena di tasche le pendeva sulla spalla sinistra, sbalestrando l’equilibrio che si faceva sempre più precario.

Erano fioriti i meli.

Ogni anno quel momento aveva un valore che non si poteva decifrare e chi era con lei quando lo scopriva non capiva perché il melo dovesse avere tutta quella specialità, pur con lo splendore di quei fiori a mazzolini, sfumati in un intreccio di  bianco e di rosa,  quel rosa così rosa che punta verso il rosso. La vera verità è che si ricordava sua mamma quando annunciava “I meli!!! Sono fioriti i meli!!” e in quell’immagine era rimasta prigioniera la voce di lei.

I fiori tornano sempre e non si sa come fanno a conservare la mappa esatta della loro ripetizione.

 Controllò l’indirizzo scritto a matita sul fazzoletto e scrisse la mail dal cellulare, seduta sulla panchina. Ci pensò ancora un attimo prima di cliccare invio. Ma poi…..ci voleva andare, era importante.

Il fiume scorreva davanti a lei con piccole increspature gialle.

C’era un insolito silenzio. Era quasi ora di cena, grossi corvi planavano in solitaria, un po’ sul campo in cerca di bocconi, un po’ sull’acqua in cerca di fresco, con i loro versi agri, e l’occhio di profilo che  scruta di soppiatto. Si dice “solo come un cane”, ma i cani non sono mai soli. Si dovrebbe dire “solo come un corvo”, piuttosto, che la malinconia la contagiano volando.

L’avevano chiamata. La casa editrice aveva fissato la data per il contratto e lei aveva confermato l’arrivo per domani. Ci andava da sola, in treno. Un viaggio dopo tanto tempo e tanta clausura che le aveva tolto leggerezza.

A Torino c’era stata tante volte. Ogni volta una grande bellezza. D’inverno, sotto Natale, l’aveva attraversata nella pacata eleganza di una città schiva e timida. Piccolissime luci apparivano tra alberelli scuri, spogli e pungevano il cuore, come massimo addobbo di festa consentito  in un buio severo, profumato di cioccolato amaro.

C’era stata in primavera, camminando abbracciata dalla sciarpa della  corona di monti ancora bianchi di neve, che ricordavano scolasticamente “il Po e i suoi affluenti” e Superga, macchiata ancora di morte.

C’era stata anche d’estate, quando i portici servivano a ripararsi dal sole implacabile che faceva rimpiangere il buio e la pioggia dell’inverno, la vera stagione di Torino e dei suoi fantasmi colti, nascosti nei portoni scuri con batacchi enormi.

Mise le mani nella tasca destra della giacca, come faceva sempre automaticamente. Le piaceva vestirsi un po’ maschile, quella giacca poi era di suo padre e le stava bene. Aveva sempre avuto spalle ampie fino da piccola, un broncio un po’ da bimbo quasi sempre nelle foto, una civetteria smilza, senza gingilli e fronzoli.

I bambolotti li aveva quasi sempre affogati il secondo giorno che li aveva avuti in dono. Aveva preferito i trenini e i fucili e i cappelli con visiera o i caschi di penne da indiano. Sorrideva a pensarci. Peccato che avesse imparato tardi a maneggiare archi!

Un po’ le dispiaceva lasciare l’Accademia. Era stata la sua vera passione. Un lavoro bellissimo in cerca di umanità. Anche se da tempo non era più lì, saperla nei dintorni di casa la consolava. Ma ora quel tempo era finito. Ogni dieci anni si chiudeva una porta e se ne apriva un’altra, così, in sequenza, senza strappi evidenti. Non esattamente, però, qualche strappo anche forte c’era stato. Ma ora era tutto lontano.

Il fiume si stava tingendo di rosa. I tramonti adorano l’acqua è innegabile, si moltiplicano in caleidoscopi magici anche su un fiume melmoso e cittadino. Si ricordò di certi tramonti ai “canottieri”. Sotto i ponti c’è un silenzio incredibile, impossibile da immaginare da chi sta sopra.

Sotto i ponti di Firenze c’è un mondo parallelo, fantastico. Ci pensò, ma fu solo un attimo di nostalgia.

Il biglietto per Torino lo aveva già. Era in una di quelle tante tasche della giacca di suo padre. Così aveva ancora un po’ di tempo e infilò la mano nella tasca interna. Adorava quelle tasche segrete dove si dimenticavano tracce. Le aveva sempre invidiate ai signori eleganti che toglievano da lì, con gesti sapienti, oggetti preziosi o scritture intime.

Lei ci trovò una foto. Erano facce di qualche anno prima. Diversi anni prima. Una panchina di Zagabria, tre ragazzi seduti, due in piedi, lei sul bordo con gli occhiali da sole. Neppure una foto ben fatta, un po’ sfocata, sullo sfondo i palazzi nordici con le mansarde. Era la prima volta che partecipavano a un festival internazionale per ciechi. Era ottobre ma il sole era caldo. Erano senza cappotti sotto un sole sciapo. Avevano un non so che nel sorridere……qualcuno ci vedeva, qualcuno no in quel gruppo, ma tutti avevano una vibrazione, un’ambizione, forse, ma buona, positiva, uno slancio di costruttività e di progetto. La  strappò, di getto, in quattro pezzi tutti diversi e li lanciò nel fiume. Galleggiarono per un po’, sopra la patina gialla del fiume, poi piano piano cominciarono a bagnarsi e ad affogare lentamente.

Ormai tutto quello che aveva fatto, tutto quello che ricordava era stato scritto in quel libro: “Non portava tacchi a spillo”, che la casa editrice aveva comprato.

 Si alzò, aveva il tempo per un panino riscaldato sul fornetto di un bar. Avrebbe speso quegli spiccioli e conservato lo scontrino,  così, per ricordo. Magari lo stesso bar dove alla sua bambina aveva comprato tante volte i waffel caldi  per merenda. Pensò che ai nipotini non li aveva ancora mai comprati…..

Ce li porterò, quando torno, disse piano.

Cominciava a scendere la sera. A Torino di certo era già buio.

.

La storia di Vanna continua

Un maritino malandrino (storia completa)- di Vanna Bigazzi

Prima parte: “Più che altro mi dispiace per la Fede d’oro, ora cosa racconto a mia moglie, non certamente che l’ho persa, mi era strettissima al dito che per toglierla dovevo aiutarmi con l’olio o con la saponetta… Capirà subito che me ne sono liberato per nascondere che sono sposato, gelosa com’è! E chi la convince… Non avrei fatto niente del genere se non avessi notato che quella bionda mi guardava, ammiccante, pur da lontano, in quel bar a Firenze vicino alla stazione, fra l’altro caro: un cappuccino 5,80 per sedersi un attimo in quella poltroncina di finta pelle… Eppure me lo immaginavo che si sarebbe avvicinata sfoderando un bel sorriso, l’occasione fa l’uomo ladro, altrimenti, col cavolo avrei fatto quello sforzo disumano per togliermela e infilarla subito nella tasca della giacca. Accidenti, mi fa ancora male il dito… Firenze, volevo fare una piccola sosta prima di Torino, del resto Roma-Torino, è lunga e Firenze merita una sosta. Però, ripensandoci è stata una bella avventura, quando mi ricapita una ragazza a quel modo! La giacca, la giacca… Accidenti, dove l’avrò lasciata, su quella panchina alla Fortezza, faceva caldo, altrimenti non me la sarei tolta. Certo che non capivo più nulla, fissavo le sue lunghe gambe accavallate con quei tacchi a spillo… E chi poteva resisterle? A proposito nella tasca della giacca, dovrebbe esserci anche uno di quei tacchi; lei faceva la smorfiosa, alla Fortezza, mi provocava saltellando su quelle gambe da gazzella, per farmi intravedere la coscia da quello spacco galeotto della gonna… E’ stato così che il tacco si è rotto ed io l’ho raccolto promettendole di accompagnarla da un calzolaio. Meno male che in borsetta aveva delle cenerentole di riserva! Ah… Potessi ritrovare la mia giacca! Nella tasca avevo anche segnato il suo indirizzo e-mail, mi aveva detto che da un poeta, come mi ero spacciato per farmi bello, si aspettava di ricevere poesie, altro che poesie… Non mi ha lasciato neanche il numero di telefono, chi la rivede quella, devo anche rifare il biglietto per Torino, mia moglie mi aspetta: ‘Prendi un biglietto di sola andata, caro, non sappiamo se ci viene voglia di trattenerci di più in quella bella città, è come un secondo viaggio di nozze! Altro che viaggio di nozze, quando mi vedrà scamiciato, con un dito gonfio, nell’impossibilità di portarla a quella Accademia, la Colombaria, con tutto il rispetto per l’Accademia, perché anche la carta socio avevo, in quella maledetta giacca… La odio quella donna, quando si veste da villanella per unirsi al suo gruppo di Danze Popolari. Avevo in tasca anche una foto di lei con i suoi amici ballerini. Lei era venuta malissimo in quella foto, più grossa il doppio e con quel sorriso ebete sotto il cappellone di paglia, mi è preso rabbia a vederla e ho strappato quella foto, sì, l’ho strappata e i ‘reperti’, anche quelli nelle tasche della giacca… In fondo però, poco male per questo, se me la chiede, le dirò che era venuta sfocata e che il suo bel visino era del tutto irriconoscibile, un oltraggio alla sua bellezza, per questo l’ho buttata…”

Continua: Così farneticava, nella sua disperazione, il nostro Zosimo, eh si…, nome inconsueto ma assolutamente appropriato al suo temperamento. Sembrava che lo conoscessero già i suoi genitori, al momento in cui scelsero per lui questo nome; infatti Zosimo, nome di origine greca, significa “vivace”. Un uomo così malandrino non poteva sposarsi che con una donna accondiscendente e ingenua, che non si accorgesse delle sue marachelle, o per lo meno, facesse finta. Così infatti era sua moglie, credulona, in parte anche per una naturale propensione ad evitare i turbamenti che avrebbero potuto ostacolare lo stato di quiete e gaiezza nel quale normalmente viveva: senza preoccupazioni economiche, senza impegno per i figli    perché scomodi ad entrambi. Così Zosimo poteva improntare la sua vita al modello dell’eterno Peter Pan e la mogliettina su quello dell’oca giuliva che molto raramente perdeva il controllo. Ciò poteva accadere, eventualmente, in occasione delle “proprie cose” così diceva lei. In tali circostanze diventava gelosa e qualche magagna del marito poteva arrivare in superficie; per fortuna, finito il periodo, tutto tornava come prima. Zosimo, scherzando affettuosamente, le prendeva il pacifico, paffuto faccione fra le mani e sorridendo le diceva: “Bella la mia mogliettina, solo così potevano chiamarti i tuoi genitori, Ebetina: nonna Ebe e nonna Tina, che Dio l’abbia in gloria!” Lei felice rideva, facendosi un vezzo di quelle parole.

Rimasto con il solo portafogli e, per fortuna, con i documenti, che teneva nelle tasche dei pantaloni, Zosimo si ritrovò sul treno per Torino, maledicendo la sua distrazione. Perdeva regolarmente chiavi, ombrelli, qualche volta lasciava il cellulare a casa, correndo gravissimi rischi. Ragionava, seduto in uno scompartimento vuoto, con quale regalino poteva presentarsi a Ebetina, per metterla a tacere. Ci voleva un’ idea originale per stupirla, un oggettino pazzo, divertente, bizzarro che la catturasse a un punto tale da deconcentrarla. Ad esempio: un carica-batteria per cellulare con presa USB a forma di Unicorno, certo un gingillo che potesse trovare nei pressi della Stazione di Torino. Zosimo, aveva appunto adocchiato qualcosa nel suo ultimo viaggio di lavoro in quella città. Aveva visto anche una tazza che gira da sola latte, thè o quant’altro: si attiva con un pulsante sul manico, veramente adatta ad una pigrona come lei! Da tenere in considerazione anche quella bella felpa, fra l’altro già vista su internet, con la scritta. “Sono RITARDATA- RIA, ho incontrato un Unicorno”. L’avrebbe fatta ridere moltissimo, avrebbe stimolato il suo senso ironico, prezzo 24,99 neanche tanto in fin dei conti… Zosimo infine decise di acquistarne due fra questi oggetti: quelli che rappresentavano Unicorni. Lei collezionava Unicorni fin da bambina.

Sbrigò velocemente gli acquisti, comperò una nuova giacca simile a quella perduta, trovò da un vu comprà un anello della sua misura, quasi identico alla fede ma con una piccolissima pietra, se lo infilò girando il brillantino dalla parte del palmo, infine si diresse ansioso all’Hotel “Scopella” in via del Poveromo 33, dove lo attendeva la sua Ebetina. Era impacciato per via dei pacchetti, del piccolo bagaglio rimediato strada facendo, così, tanto per essere più credibile. Aveva anche due riviste lette in treno, che non voleva buttare. Per fortuna l’Hotel era vicino alla Stazione, entrò con disinvoltura, nei limiti del possibile, con un bel sorriso stampato in volto, si diresse alla reception: conosceva bene il segretario con il quale, in occasione dei suoi viaggi di lavoro, si intratteneva a parlare, era quasi un amico. Dopo un caloroso saluto questi lo invitò a sedersi nella hall e gli offrì un succulento aperitivo. Non poteva rifiutare, chiamò il ragazzo d’albergo e gli disse: “Per favore, porti alla stanza 28 questo piccolo bagaglio e le riviste, dica alla signora che m’attenda, il tempo di un aperitivo e sarò da lei”. Trattenne con sé i due regali per vedere di persona l’effetto sorpresa. I due amici presero a parlare e forse la cosa si protrasse qualche minuto in più di quello che Zosimo prevedeva. A un certo punto comunque, Zosimo sorridendo si alzò e si congedò dall’amico. Ascensore, primo piano, dove vi erano le camere migliori e via via lungo il corridoio, fiancheggiato dalle tante stanze. “Ah, ultima cosa, devo scartare i regali, mi presenterò a lei con uno in una mano e uno nell’altra,  rimarrà di stucco!” Così fu, arrivato alla camera 28, sempre un po’ trafelato, pensò: “Non busso, ho le mani impegnate, apro la maniglia con il gomito e la sorprendo, come piace a lei!” Detto fatto,  da  da  da  dan, con un balzo fu in camera. Un urlo fulmineo smorzò il suo sorriso dilatato, una confusione davanti ai suoi occhi: le immagini non raggiungevano correttamente il cervello, si sforzò per vedere meglio. Ebetina, discinta sul letto, era mezza aggrovigliata col ragazzo d’albergo, indossava una mise che Zosimo non conosceva: un pagliaccetto in pizzo rosso dal quale fuoriuscivano i suoi coscioni abbastanza disgustosi, evidentemente appetibili per il ragazzo. Subito il giovane si ritrasse, lasciando il corpo di lei allo scoperto. Seguì un silenzio agghiacciante, sembrava che l’eternità fosse discesa in quella stanza. Nessuno si muoveva, i tre: tre statue di sale. Non altro da dire, se non la sensazione di sbalordimento provata da Zosimo: vedeva se stesso all’interno di uno scenario metafisico, surreale: lui, un’impronta statica costellata di miriadi di  corna: quelle della felpa, quella dell’unicorno del carica-batterie, tutte quelle che  sentiva scendere dall’alto, come gocce infuocate, sulla sua testa, in un tripudio esaltante, trionfale. Un’apoteosi grandiosa che, pian piano, lo dissociava sempre più dalla realtà.  

Personaggi e storie – Patrizia

Ricominciare – di Patrizia Fusi

Foto di Q K da Pixabay

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna.

***

E’ una giornata luminosa e tiepida di metà settembre, prima di raggiungere Torino Maura ha deciso di fermarsi a Firenze , è legata a questa città, ha pure la carta di socio onorario dell’Accademia della Crusca.

Ha voglia di immergersi nella magia che emana per lei questa città, è raccolta, un museo a cielo aperto, con le grandi strade principali, il fascino dei vicoli stretti con i tanti tabernacoli, dietro a ognuno una storia. Alzando gli occhi vede gli stili diversi degli edifici, il fascino delle case torri, le grandi chiese, i tanti musei…. tutto parla di storia.

E’ seduta al tavolino del bar davanti al palazzo comunale dove fa bella mostra di sé la statua del “Biancone”.

Il sole la riscalda, si toglie la pesante giacca nera, è tranquilla, ha deciso di cambiare vita, ha sessantatre anni, non vuole vivere di ricordi che sente come una pesante zavorra nella mente.

Non ha niente che la trattiene a Roma, per scelta non ha voluto figli, i genitori non ci son più, l’amore è finito, è orgogliosa, selettiva, in vecchiaia è peggiorata, giudicava quasi sempre gli altri in base alla cultura, e veniva fuori nei giudizi la sua professione, forse ora si fa qualche domanda perché alcune amicizie si sono allontanate senza un apparente motivo, facendola soffrire.

Controlla quello che ha nelle tasche della giacca, sente il tintinnio della fede d’oro che batte sul tacco a spillo, altri frammenti della sua vita in questi due oggetti, si è tolta la fede perché ha chiuso con suo marito, un brindellone che con l’avanzare dell’età sì è sentito attratto dalle giovani donne…Anche lei ha avuto paura degli anni che passano sul suo fisico ed è ricorsa al chirurgo estetico.

 Il tacco a spillo lo ha portato con sé per ricordarsi che non può più indossare quel tipo di scarpa, sa bene che quando le calzava si sentiva più femminile e attraente.

Le viene fuori la foto di gruppo delle sue colleghe, Maura insegna alle superiori, nella foto c’è anche la biondina che ha fatto perdere il capo al brindellone, una rabbia le arriva allo stomaco, fa la foto in mille pezzi, si sente sollevata come aver scancellato anche questo brutto ricordo dalla mente.

Estrae il fazzoletto di carta con l’indirizzo email che un suo compagno di scuola di quando erano giovani le ha inviato. All’epoca lui era timido e bruttino, lei sapeva della cotta che lui aveva per lei, ma non le interessava, era una ragazza forte arrogante e arrivista, non lo filava per niente, voleva di più, in questo non era cambiata.

Con il suo vecchio compagno di liceo si sono rivisti a Roma ad una mostra, grande piacere di rincontrarla da parte di lui, e anche lei è stata contenta di rivederlo: lui ha ancora il solito aspetto insignificante ma ora è piacevolissimo nella conversazione, pieno di interessi. La cosa che le ha fatto battere il cuore a questo incontro è stato quando lui con spontaneità le ha fatto dei complimenti sul suo aspetto e dentro di lei è scattata una molla di desideri. Sentirsi ancora donna le ha fatto bene. Nel salutarsi Carlo le ha fatto scivolare fra le mani un fazzoletto di carta con il suo indirizzo email….

Prende il conto: euro 5,80, caro il caffè e un bicchiere d’acqua, pensa, e saluta mentalmente la città.

Mentre è seduta in treno accarezza il biglietto di solo andata Roma – Torino, ha mandato una mail a Carlo che andrà a trovare.

Maura ha deciso ricominciare a Torino, una citta per lei sconosciuta, senza pesanti ricordi, vuol sentirsi libera, non vuole più stare nei posti dove ha trascorso la grande parte della vita.

Vuole vivere qualcosa di nuovo, strade, piazze, amicizie nuove senza ricordi, con tutte le incertezze che questa scelta comporta ma anche il fascino di sentirsi libera.

Personaggi e storie – Carla

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna.

Volo di sola andata – di Carla Faggi

PERSONAGGIO: Rosa Alzalamira

un metro e sessanta, rotondetta, capelli biondo naturale media lunghezza, occhi celesti chiarissimi.

35 anni, professionista seria e ben pagata.

Di professione killer su commissione, cioè assassina a pagamento.

Metodica: per raggiungere il luogo di lavoro usa sempre spostarsi in treno con un biglietto di solo andata. Il rientro non lo programma ma come e quando se lo inventa sempre di volta in volta.

Tirchia fino allo spasimo odia le spese superflue, per questo conserva sempre gli scontrini o le ricevute delle spese non essenziali.

Vedova, il defunto marito sembra si sia suicidato, la fede d’oro di lui rimastagli verrà portata ad un comprooro. I ricordi passati infatti non gli interessano.

Di lui conserva solo una vecchia foto di gruppo con suoi amici anche loro misteriosamente suicidi. In un momento di rabbia l’aveva strappata ma poi aveva deciso che si meritavano il ricordo e l’aveva conservata.

Non ha relazioni sentimentali ma pratica sesso alla bisogna e quanto basta. A pagamento. Ordina la merce tramite un indirizzo e-mail che si porta sempre dietro per il terrore di dimenticarlo.

Si considera un’intellettuale, infatti il suo tempo libero molto lo passa studiando all’accademia della Colombaria di cui è socia onoraria.

Ha una forte autostima di sé, si considera quasi perfetta, l’unico suo difetto ritiene che sia la sua troppa sensibilità, infatti spesso trattiene presso di se un ricordo tangibile come un piccolo oggetto, vedi tacco a spillo di scarpa da donna, del suo ultimo lavoro, per rispetto della persona che ha dovuto sopprimere, per ricordarla più a lungo.

STORIA

È arrivata con un volo di sola andata, ama rimanere ancora sul posto a lavoro compiuto per godersi un po’ le reazioni, con solo un trolley portaspesa perchè è tutto quello che le serve.

Ora si rilassa Rosa Alzalamira sorseggiando un caldo caffè americano e si gode alla televisione il successo del suo ultimo lavoro. Pensa a se stessa, alle soddisfazioni che ultimamente si è concessa.

Il marito morto in maniera sospetta archiviato come un suicidio. Sorride e pensa: è stato un capolavoro,uno sparo alla tempia, il muro tutto schizzato di effluvi sanguigni, il volto spappolato e distribuito dappertutto.

Poi la morte degli amici di lui, anche loro misteriosamente suicidi. Tanti capolavori: chi col veleno spasimando per ore ed ore con coniati di vomito e bava alla bocca, altri con lame affilate che affondano nelle carni con tanto di sangue a flotti.

Qualche poliziotto sospettoso e poi anche loro archiviati come suicidi.

E già cara Aghata Cristie a volte l’allievo supera il maestro!

Un’occhiata ancora alla televisione, ripensa al suo ultimo lavoro compiuto poche ore prima e di cui tutto il mondo sta parlando:

Entrata nel grattacelo, arriva al sesto piano, sistema il trolley vicino alla finestra più adatta e dal trolley prende il suo gioiello più prezioso, l’unico che ama e che rispetta : il suo fucile di precisione, un Mauser, leggero con mirino telescopico, perfetto come tutto quello che è tedesco.

La raggiunge Oswald, lui posiziona il suo 91 di fabbricazione italiana.

Sciocco uomo, pensa, è stato comunque un ottimo amante, ne avevo bisogno, il sesso mi fa sempre bene prima di un lavoro.

Un po’ di attesa, poi arriva il corteo presidenziale, sono quasi le 12,30 di venerdì 22 novembre 1963 la limousine Lincoln è sotto mira, lei spara il primo colpo quello mortale alla testa, poi si alza, prende il suo fucile e se ne va. Oswald spara gli altri tre colpi.

È stato un bel lavoro e abbiamo già il colpevole, pensa mentre si alza e paga lo scontrino, odia le spese superflue però quando ci vuole ci vuole e un bel bicchierone di caldo caffè se lo meritava!

Si avvia con il suo troller verso l’aeroporto, vuole allontanarsi da Dallas anche se sa che nessuno la noterà, è solo una biondina slavata piccola e grassoccina.

Pensa al suo ritorno, vuole riposarsi un po’ prima di accettare un nuovo lavoro e dedicarsi alla sua passione, lo studio sull’anatomia nervosa dei colombi considerati evoluzione del colomboiceto sanguinatium dell’era cretacea. Sa che è considerata una delle migliori ricercatrici dell’accademia della Colombaria. Dall’altronde “fatti non fummo per viver come bruti ma per seguir virtude e canoscenza”.

Nessuno la notò e si avviò alla partenza.

Personaggi e storie – Stefania

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna.

Una scritta sul finestrino del treno – di Stefania Bonanni

Foto di ThePixelman da Pixabay

Personaggio: Salire su quel treno, biglietto sola andata Roma Torino, fu come entrare in una macchina del tempo. Lei era di nuovo seduta accanto alla sua mamma, così vicina al suo fianco che le sarebbe piaciuto infilarsi sotto la sua gonna larga, respirare ed esserne nascosta e protetta. Di nuovo i piedi non toccavano terra,  si appoggiavano al grande cesto di paglia con i manici che lasciava vedere un pezzo di salame dalla buccia scura e un sacco fatto con la tovaglia a quadri bianchi e rossi della tavola di tutti i giorni. Copriva un grosso pane tagliato a fette spesse  per i bambini, per il viaggio. Non era granché,  il contenuto della borsa, ma l’ordine era di toccarla sempre con i piedi, in modo da accorgersi subito se avessero tentato di portarla via. Altre valigie e pacchi erano toccati dai suoi fratelli,  quelli con i vestiti e le lenzuola ricamate, preziosi, erano stati messi in modo da appoggiarsi sia contro le caviglie della mamma, che contro quelle del babbo. Potrebbe dire che i pensieri non li ricorda, erano quelli di una bimba stanca e stranita  ma sarebbe una bugia. Non ha dimenticato un secondo, di quelle ore. Ormai sa che non dimentichera’.

Storia: Sapeva di essere al sicuro, amata e protetta,  non aveva paura e le novità la incuriosivano, ma ricordava la sensazione dolorosa di uno strappo che le nasceva dentro, come se si ramificasse il cuore, come se il nuovo ramo andasse da un’altra parte, lontano dalle radici. Una strana nuvola la inghiotti’, densa e umida. Come è strano ricordare anche le sensazioni. Vede di nuovo quello che vide: piangevano i finestrini del treno, lacrimavano piccole perle che diventavano schizzi. Lasciavano piccole tracce, e lei scrisse CIAO, con il dito indice incerto della prima elementare. Chissà se qualcuno l’ha mai letto, il suo saluto. Chissà se c’è un posto dove vanno a finire le parole segrete scritte sui vetri, perché sono parole d’amore  la cerimonia di un istante  che ha bisogno di un nome qualunque, per essere.

Arrivarono a Torino, e ricominciarono daccapo. Trovarono una casa, ritrovarono parenti che parlavano lingue conosciute e musicali, lavori nuovi  cibi da imparare. Avevano lasciato una casa nella quale pioveva, e per fortuna c’era sempre il sole, e un pezzo di terra che ricambiava la fatica con patate e cipolle, e neanche in grande quantità. Lei non dimentica il suo babbo che rientrava quando il sole se ne stava andando, portandosi addosso l’odore di quelle zolle dure che diventavano polvere e gli disegnavano sul viso, sul collo, sulle braccia  rughe profonde e marroni. Sembrava fatto di terra, color terracotta . A Torino trovò lavoro in fabbrica, tra le lamiere di una catena di montaggio. Sempre al chiuso, sempre teso per non perdere i ritmi della catena. In poco tempo cambiò colore  diventò grigio come quelle lamiere. Si ammalo’ presto. Non tornarono più al paese, eppure lo aveva promesso, e lei ci aveva creduto che sarebbero tornati, avrebbero riparato il tetto con i soldi della fabbrica….  sarebbero andati al mare . Sarebbero stati a casa.

Non fu così.  La città inghiottiva gli anni e le persone. Il freddo formava strati di ghiaccio che rendevano solide le lacrime ed il sangue, e muravano la rabbia in fondo ai pensieri. Si doveva raschiare con le unghie, mordere   per trovare il tenero che faceva male  e lo strato tenero era sempre più sottile, sempre più nascosto . Lei, piccola, anonima, scura, fece un lavoro enorme. Studiò con una determinazione violenta, e arrivò in alto,  a far parte di un mondo di pensatori che pensavano cose che non le piacevano, che le sembrarono estranei per sempre. E decise, ad un certo punto decise che avrebbe distrutto quel mondo fasullo, che barattare la vita delle persone con frigoriferi e lavatrici non si poteva.

Entrò in un altro mondo. Fu facilitata dal suo aspetto. Lei poteva sembrare un ragazzino, o una donna. Era questione di dettagli  e mai rimaneva impressa nei ricordi della gente. Non c’era nulla, in lei, che destasse attenzione.

Conobbe persone come lei, in un sottotetto che chiamavano “la colombaria”. E nel gruppo si chiamavano “colombi”. Chi li vide pensò fossero studenti che si incontravano per preparare esami. Diventarono parecchi, e ci fu bisogno di un ritrovo più nascosto. A firmare il contratto d’affitto di una cascina in disuso andarono lei ed un certo Mario  e per l’occasione si erano entrambi messi all’anulare una fede d’oro. Dissero di essere sposati da poco, appena arrivati dal Sud. Il gruppo si dette presto degli obiettivi, ed i primi furono i quattro ritratti in una foto che li vedeva sorridere, tutti e quattro indossavano la toga. La foto fu strappata in quattro pezzi. Un pezzetto fu per lei.

Venne uno da fuori, una specie di esperto, che insegnò a nascondersi, a non lasciate tracce, a non farsi notare, a sparire, a sparare.  Fu stabilito anche l’abbigliamento di ognuno. Per lei pensarono ad un giaccone da uomo, buono per tutte le stagioni, ampio e pieno di tasche, che sarebbe stato l’unico contenitore di tutte le sue cose. Avrebbe dovuto metterci dentro qualunque appunto, scontrino, biglietto di cui si fosse dovuta servire.

Mise in tasca anche quel tacco che le si era rotto correndo, quell’unica volta che si era messa un paio di scarpe da donna. Mise in tasca la fede d’oro, e lo scontrino ricordo dell’ultima volta in cui era stata serena, l’unica prima di quei tristi ultimi tempi. Si erano fermati a Firenze, un panino ed un bicchiere di vino in centro: 5 euro e 80. Non lo aveva più visto, lui. L’aveva trattato male e lasciato da solo, senza spiegazioni che non poteva dare. 

Aveva in tasca anche quel fazzoletto di carta dove era scritto di rosso un inutile indirizzo email. Lì si potevano scrivere bozze, che solo con una password era possibile leggere. Impossibile rintracciare chi scrive perché non invia, ed anche chi legge,  se non si conosce la password. 

Lo vide scendere di macchina, il soggetto ritratto nel suo ritaglio di foto. Lei si infilo’ nel portone appena lui apri’ con il telecomando, come d’abitudine. Sparo’ due colpi precisi, col silenziatore.  Quando faceva una cosa  la faceva bene. Si allontano’ rasentando il muro. Lascio’  il giaccone su una panchina. Guardo’ indietro, allontanandosi. Le sembro’  di vedersi morta su quella panchina.

Prese un treno al volo, il primo che fermo’ in stazione. Scese a Firenze, prese un altro treno per Roma. Finalmente, prese un treno che arrivo’ al mare. E fu a casa.

Personaggi e storie – Anna

Voglia di ricominciare – di Anna Meli

Foto di Espressolia da Pixabay

Elementi:

BIGLIETTO  ROMA – TORINO

FEDE D’ORO

CARTA SOCIO ACCADEMIA LA COLOMBARIA

FAZZOLETTO CARTA CON SCRITTA E-MAIL

SCONTRINO BAR FIRENZE Euro 5,80

FOTO GRUPPO SPEZZATA IN 4 PEZZI

TACCO A SPILLO SCARPA DA DONNA

            Personaggio: Camminava lungo l’argine del fiume, serio, assente forse anche stanco. Gli occhi bassi vedevano solo l’orlo dei pantaloni e le scarpe da ginnastica sporche di fango. Il suo camminare spedito faceva pensare ad una persona in cerca di qualcosa o qualcuno.

           Storia: Era vestito in modo abbastanza comune con pantaloni di jeans, maglione a collo alto, eskimo lasciato aperto e uno zaino sulla spalla destra che ogni tanto rimetteva su, mostrando con quel gesto mani grandi e forti prive di anelli. Il suo volto magro e un po’ allungato, era incorniciato da una barba scura semi-incolta, il naso regolare, le labbra carnose e distese non tradivano emozioni, mentre gli occhi chiari azzurro-verdastri sembravano nuotare in un liquido brillante e con  riflessi di pagliuzze dorate. I capelli castani lunghi, ma non troppo, ondeggiavano morbidi al suo incedere.

            Era un tipo che non passava inosservato. Giunto al primo ponte, aveva attraversato il fiume fermandosi a guardare l’acqua che scorreva impetuosa trascinando con sé ogni sorta di detriti. Tirò fuori dalla tasca una vecchia foto della sua ex con i suoi amici e in un impeto di rabbia e delusione la fece in quattro pezzi e la gettò nel fiume seguendola con lo sguardo finché non si posò e la corrente non la portò via. Pensò: “Un fiume nasce da una piccola sorgente, scorre allegro e saltellante fra i sassi, poi si distende nel suo letto a valle e scorre placido fino al mare; basta però un temporale improvviso per stravolgere tutto”.

            Proprio così era stata la sua vita. Se ne era andato da Roma a Torino con un biglietto di sola andata per iniziare una nuova esistenza. A Roma aveva lasciato la sua ragazza e tanta amarezza.      Avrebbero dovuto sposarsi da lì a poco, ma il suo migliore amico gliela aveva portata via. A lui era rimasta nella tasca del giaccone solo la fede d’oro acquistata troppo presto e quella foto.

            A Torino aveva trovato un nuovo lavoro e nuovi amici, ma non pensava di rimanere molto, non era abituato a quel clima. Fra gli amici c’era una ragazza con la quale aveva parlato confidandogli la sua amarezza. Lei era stata particolarmente comprensiva e una sera durante un aperitivo gli aveva scritto il suo indirizzo mail su un fazzolettino di carta invitandolo a Firenze dove nel mese successivo si sarebbe trasferita in modo stabile. Per invogliarlo gli aveva parlato anche dell’Accademia la Colombaria di cui era socia mostrandogli la vecchia tessera e facendogliene dono.

            Non trascorse molto tempo; già c’era nell’aria odore di primavera, splendida stagione per una splendida città come Firenze.

            Scrisse alla ragazza ed ora era in procinto di incontrarla in quel bar al di là dal ponte. Avviandosi inciampò con un piede in qualcosa di rosso, si piegò per raccoglierlo: era il tacco a spillo di una scarpa da donna. Immediatamente si ricordò di aver letto sul giornale di una manifestazione contro la violenza sulle  donne avvenuta a Firenze; lo ripulì con un fazzolettino di carta, lo tenne un po’ fra le mani poi con un gesto meccanico lo lasciò scivolare nella tasca del giaccone. Chissà, forse gli avrebbe portato fortuna!

            Arrivando con passo lento al Bar dell’incontro aveva ordinato un sandwich e un caffè. Leggendo lo scontrino di euro 5,80 aveva esclamato “ Cara la vita a Firenze”, ma aveva sorriso.

Personaggi e storie – Rossella

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna.

Senza un perché (Il Personaggio) – di Rossella Gallori

Alto quel tanto che non è troppo

Un viso ossuto dalla carnagione di un oro bronzeo, frutto di un sole buono…quasi lontano.

Lo sguardo tra l’intrigante ed il poco invitante, forse causato da un astigmatismo trascurato ed i solchi sulla fronte ne davano conferma, incorniciati da fili, come anelli d’argento, nascosti da un selva nera…quasi corvina di capelli.

Le labbra imbronciate, semichiuse.

Un filo di barba un po’ voluta, un po’ cialtrona.

Mani grandi, segnate qua e la da graffi vecchi, piccoli segni bluastri sulle falangi, le unghie, solo anonime falci mangiate dalla terra.

Gambe lunghissime fasciate da jeans così consunti, da sembrare trasparenti, anche l’ immaginazione arrossiva al suo incedere lento, quasi dondolante, scandito ad ogni passo dai camperos  polverosi.

Un maschio senza ombra di dubbio.

 Dalla camicia quasi pulita, aperta fino all’indecenza, dondolavano vecchi Rayban dalle stanghette  sgangherate.

Sulle spalle larghe, una sahariana senza più ombra di colore …dalle mille tasche gonfiate da strane e non ignote forme, sembrava cadere pesantemente da un momento all’altro.

Sorrideva!! Sorrideva?…  al suo arrivo il sole per primo abbassò la guardia,  su una sensazione….di freddo…

Dopo il personaggio “ la storia” – di Rossella Gallori

…svegliarsi di colpo, credendo di essere in un letto e trovarsi su di un treno, pieno di gente, maleodorante, con un caldo asfissiante, non fu piacevole, il biglietto piegato tra le dita, recitava  traballante “andata Torino” non sapeva nemmeno lui perché avesse lasciato Roma così in fretta.

Si guardò intorno, cercando di riavviare quel suo cesto incolto di capelli, sempre meno neri,   di  assumere una postura più corretta, le sue gambe oggi gli sembravan più lunghe del solito, cercò di battere i piedi per terra, per togliere un po’ di polvere ai camperos inguardabili, tolse uno scontrino appiccicato sotto la suola “bar Consoli via aretina Firenze “ corrugò  la fronte per mettere a fuoco l’ importo, la sbronza del giorno prima aveva tolto decimi al suo già grave astigmatico, cinque euro e ottanta…lo gettò nel cestino giá colmo, urtandone il coperchio, si accorse solo allora di avere mani sporche, graffiate, l’ anulare sinistro segnato da piccoli lividi…..

Sudava   e piano piano ricordava, cercò un fazzoletto nella tasca della camicia, sembrava nuovo ed usato al tempo stesso una mail scritta in rosso in  un angolo, non era la sua scrittura…..eppure….piccoli tasselli tornavano alla sua mente…che ancora non trovava il bandolo della matassa….ricordava di essersi tolto a fatica la fede, ricordava una voce cantilenante….quella mail scritta con una matita per labbra.

La voglia di pisciare, lo distolse dal pensare, si alzò di scatto, quasi investì il controllore che tranquillo transitava nel corridoio….il cesso dove è?  Non ebbe risposta verbale, se non un cenno della mano che gli indicava di malavoglia la destra.

La toilette era così piccola da farlo sentire più alto della media, dopo aver fatto la cosa più urgente, si guardò allo specchio, notò di se il colorito giallognolo, la barba incolta, la camicia troppo aperta, e quel tacco rosso appeso ad un laccetto di cuoio al suo collo a mo’ di ciondolo…

L’ acqua gelata sul viso lo riportò  bruscamente alla realtà….aveva usato la carta socio di quella strana Accademia, trovata nel portafoglio, rubato ad un  malcapitato…per entrare in quel posto elegante…si lo ricordava bene, aveva allacciato la giacca dalle mille tasche,  sfoderato un sorriso, eluso la sorveglianza , digitato un codice maldestramente scritto dietro la card ed era entrato in un sogno dal profumo esotico, dall’ arredamento sontuoso, quello che sembrava  un hotel a 5 stelle, non era altro che un postribolo d’alto bordo….perchè non approfittarne…si guardò intorno entro nella prima camera aperta, trovò lei mezza nuda ed invitante un letto, liquori, strisce di coca…un immensa gigantografia sul soffitto riproduceva una foto spezzata in quattro, appoggiata su uno specchio enorme..…Bevve, sniffò, in un caleidoscopico kamasutra, poi, poi, non ricordava più niente…o quasi.

Un colpo forte ed una voce  stridula, lo fece sobbalzare: occupato…ma quanto ci sta…

Tirò su la lampo dei vecchi jeans ed uscì!  Ricercare lo scompartimento fu un’ impresa, ricordava di aver lasciato sulla poltrona la sahariana…una voce metallica annunciava “Torino Porta Nuova”

Alzò lo sguardo si trovò di fronte una pistola ed un distintivo : è sua questa giacca?……

Annuì, nel silenzio di un treno che si stava svuotando…

Ecco vedendo le macchie di sangue sul tessuto sbiadito aveva completato il puzzle….si arrese porgendo le mani assassine ad un modesto poliziotto sabaudo….sapeva di averla uccisa, pur non ricordandone  il perché….