Personaggi e storie – Stefania

Ispirato agli elementi:

Un biglietto di sola andata Roma-Torino

Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro

Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail

Una fede d’oro

Una carta socio dell’Accademia La Colombaria

Una foto di gruppo spezzata in quattro

Un tacco a spillo di una scarpa da donna.

Una scritta sul finestrino del treno – di Stefania Bonanni

Foto di ThePixelman da Pixabay

Personaggio: Salire su quel treno, biglietto sola andata Roma Torino, fu come entrare in una macchina del tempo. Lei era di nuovo seduta accanto alla sua mamma, così vicina al suo fianco che le sarebbe piaciuto infilarsi sotto la sua gonna larga, respirare ed esserne nascosta e protetta. Di nuovo i piedi non toccavano terra,  si appoggiavano al grande cesto di paglia con i manici che lasciava vedere un pezzo di salame dalla buccia scura e un sacco fatto con la tovaglia a quadri bianchi e rossi della tavola di tutti i giorni. Copriva un grosso pane tagliato a fette spesse  per i bambini, per il viaggio. Non era granché,  il contenuto della borsa, ma l’ordine era di toccarla sempre con i piedi, in modo da accorgersi subito se avessero tentato di portarla via. Altre valigie e pacchi erano toccati dai suoi fratelli,  quelli con i vestiti e le lenzuola ricamate, preziosi, erano stati messi in modo da appoggiarsi sia contro le caviglie della mamma, che contro quelle del babbo. Potrebbe dire che i pensieri non li ricorda, erano quelli di una bimba stanca e stranita  ma sarebbe una bugia. Non ha dimenticato un secondo, di quelle ore. Ormai sa che non dimentichera’.

Storia: Sapeva di essere al sicuro, amata e protetta,  non aveva paura e le novità la incuriosivano, ma ricordava la sensazione dolorosa di uno strappo che le nasceva dentro, come se si ramificasse il cuore, come se il nuovo ramo andasse da un’altra parte, lontano dalle radici. Una strana nuvola la inghiotti’, densa e umida. Come è strano ricordare anche le sensazioni. Vede di nuovo quello che vide: piangevano i finestrini del treno, lacrimavano piccole perle che diventavano schizzi. Lasciavano piccole tracce, e lei scrisse CIAO, con il dito indice incerto della prima elementare. Chissà se qualcuno l’ha mai letto, il suo saluto. Chissà se c’è un posto dove vanno a finire le parole segrete scritte sui vetri, perché sono parole d’amore  la cerimonia di un istante  che ha bisogno di un nome qualunque, per essere.

Arrivarono a Torino, e ricominciarono daccapo. Trovarono una casa, ritrovarono parenti che parlavano lingue conosciute e musicali, lavori nuovi  cibi da imparare. Avevano lasciato una casa nella quale pioveva, e per fortuna c’era sempre il sole, e un pezzo di terra che ricambiava la fatica con patate e cipolle, e neanche in grande quantità. Lei non dimentica il suo babbo che rientrava quando il sole se ne stava andando, portandosi addosso l’odore di quelle zolle dure che diventavano polvere e gli disegnavano sul viso, sul collo, sulle braccia  rughe profonde e marroni. Sembrava fatto di terra, color terracotta . A Torino trovò lavoro in fabbrica, tra le lamiere di una catena di montaggio. Sempre al chiuso, sempre teso per non perdere i ritmi della catena. In poco tempo cambiò colore  diventò grigio come quelle lamiere. Si ammalo’ presto. Non tornarono più al paese, eppure lo aveva promesso, e lei ci aveva creduto che sarebbero tornati, avrebbero riparato il tetto con i soldi della fabbrica….  sarebbero andati al mare . Sarebbero stati a casa.

Non fu così.  La città inghiottiva gli anni e le persone. Il freddo formava strati di ghiaccio che rendevano solide le lacrime ed il sangue, e muravano la rabbia in fondo ai pensieri. Si doveva raschiare con le unghie, mordere   per trovare il tenero che faceva male  e lo strato tenero era sempre più sottile, sempre più nascosto . Lei, piccola, anonima, scura, fece un lavoro enorme. Studiò con una determinazione violenta, e arrivò in alto,  a far parte di un mondo di pensatori che pensavano cose che non le piacevano, che le sembrarono estranei per sempre. E decise, ad un certo punto decise che avrebbe distrutto quel mondo fasullo, che barattare la vita delle persone con frigoriferi e lavatrici non si poteva.

Entrò in un altro mondo. Fu facilitata dal suo aspetto. Lei poteva sembrare un ragazzino, o una donna. Era questione di dettagli  e mai rimaneva impressa nei ricordi della gente. Non c’era nulla, in lei, che destasse attenzione.

Conobbe persone come lei, in un sottotetto che chiamavano “la colombaria”. E nel gruppo si chiamavano “colombi”. Chi li vide pensò fossero studenti che si incontravano per preparare esami. Diventarono parecchi, e ci fu bisogno di un ritrovo più nascosto. A firmare il contratto d’affitto di una cascina in disuso andarono lei ed un certo Mario  e per l’occasione si erano entrambi messi all’anulare una fede d’oro. Dissero di essere sposati da poco, appena arrivati dal Sud. Il gruppo si dette presto degli obiettivi, ed i primi furono i quattro ritratti in una foto che li vedeva sorridere, tutti e quattro indossavano la toga. La foto fu strappata in quattro pezzi. Un pezzetto fu per lei.

Venne uno da fuori, una specie di esperto, che insegnò a nascondersi, a non lasciate tracce, a non farsi notare, a sparire, a sparare.  Fu stabilito anche l’abbigliamento di ognuno. Per lei pensarono ad un giaccone da uomo, buono per tutte le stagioni, ampio e pieno di tasche, che sarebbe stato l’unico contenitore di tutte le sue cose. Avrebbe dovuto metterci dentro qualunque appunto, scontrino, biglietto di cui si fosse dovuta servire.

Mise in tasca anche quel tacco che le si era rotto correndo, quell’unica volta che si era messa un paio di scarpe da donna. Mise in tasca la fede d’oro, e lo scontrino ricordo dell’ultima volta in cui era stata serena, l’unica prima di quei tristi ultimi tempi. Si erano fermati a Firenze, un panino ed un bicchiere di vino in centro: 5 euro e 80. Non lo aveva più visto, lui. L’aveva trattato male e lasciato da solo, senza spiegazioni che non poteva dare. 

Aveva in tasca anche quel fazzoletto di carta dove era scritto di rosso un inutile indirizzo email. Lì si potevano scrivere bozze, che solo con una password era possibile leggere. Impossibile rintracciare chi scrive perché non invia, ed anche chi legge,  se non si conosce la password. 

Lo vide scendere di macchina, il soggetto ritratto nel suo ritaglio di foto. Lei si infilo’ nel portone appena lui apri’ con il telecomando, come d’abitudine. Sparo’ due colpi precisi, col silenziatore.  Quando faceva una cosa  la faceva bene. Si allontano’ rasentando il muro. Lascio’  il giaccone su una panchina. Guardo’ indietro, allontanandosi. Le sembro’  di vedersi morta su quella panchina.

Prese un treno al volo, il primo che fermo’ in stazione. Scese a Firenze, prese un altro treno per Roma. Finalmente, prese un treno che arrivo’ al mare. E fu a casa.

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

9 pensieri riguardo “Personaggi e storie – Stefania”

  1. Una vita da emigranti da invisibili e sofferenti e per contrasto la scelta terribile di una risposta violenta individuale e di gruppo..non di massa .
    Un bell’intreccio che fa pensare alla storia del paese.Brava.

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  2. Hai tessuto una tela bella di ” trama” e di “ordito” nessun nodo sciupa il racconto di una vita….

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  3. Non so che lavoro facevi Stefania ma avresti dovuto fare la scrittrice. Sempre quello che scrivi è profondamente intenso e profondamente vero. Dire brava non basta.

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  4. Scrivi bene, Stefania. La storia sembra a tratti recente, a tratti antica (anni ’60?), ed è l’unico appunto che farei. C’è sintesi e densità. E sono belle e intense alcune frasi che non descrivono, ma comunicano dritte al centro delle emozioni. PLF

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