Ispirato agli elementi:
Un biglietto di sola andata Roma-Torino
Uno scontrino di un bar di Firenze di 5,80 euro
Un fazzoletto di carta con un indirizzo e-mail
Una fede d’oro
Una carta socio dell’Accademia La Colombaria
Una foto di gruppo spezzata in quattro
Un tacco a spillo di una scarpa da donna.
Vita da invisibile (personaggio)- di Nadia Peruzzi

Il personaggio. . . prima della sua storia.
Ha attraversato la sua vita da invisibile, fino da bambino.
Per questo non ha un nome. Il suo, vero, lo ha rimosso. Ora non si sente molto dissimile dagli identikit che girano su di lui .
Un abbozzo d’uomo in bianco e nero, prosciugato di sentimenti e vita, non certo uno fatto e finito.
Uno come tanti. In realtà uno come nessuno.
Sapeva come sparire in mezzo ad una folla sfiorando le persone senza che nessuno fosse in grado di ricordarsi di lui.
Gli era venuta utile la convinzione, fattasi certezza nel corso degli anni, che i soprammobili di casa valessero molto più di quanto non valesse lui.
Il disinteresse di una madre troppo centrata su sé stessa, e troppo esigente lo aveva forgiato al negativo.
Autostima sottozero, senso di inadeguatezza perenne, incapacità di provare amore non avendolo mai sperimentato e riconosciuto negli altri verso di lui.
L’affetto materno non sapeva cosa fosse, la figura paterna bistrattata e cancellata come figura di riferimento non gli era stata di aiuto. Era cresciuto con l’idea di sua madre che aveva evirato suo padre per colpevolizzarlo di aver generato con lui un figlio totalmente indesiderato.
Insicurezza e solitudine sue compagne di vita, man mano hanno virato in rancore, odio, voglia di sangue per lavare via il disamore provato sulla sua pelle.
Ossessionato dal ticchettio dei tacchi a spillo che sua madre indossava ogni giorno, anche per andare al lavoro all’Accademia la Colombaria, ne era diventato collezionatore ossessivo e compulsivo.
Il motore delle azioni che hanno determinato un salto di qualità e un passaggio di fase nella sua vita, un click. Un semplice e quasi impercettibile click che ha funzionato come interruttore e molla per il suo cervello malato.
Il click del sospetto era stato il primo. Lo aveva indotto a seguire sua madre trascurando il resto, anche la scuola.
Il click della ineludibile necessità di cancellarla dalla sua vita e di annientarla ne aveva fatto ciò che era diventato.
Un serial killer determinato, freddo, insensibile al dolore altrui. Uno che provava il massimo delle sue emozioni solo nel momento in cui spegneva gli occhi di donne belle e provocanti come lo era stata sua madre. Le sceglieva seguendo il ticchettio dei tacchi a spillo su cui caracollavano ignare del destino che le attendeva.
Vita da invisibile – di Nadia Peruzzi
Davanti al ristorante la Piada di Galla Placidia c’era il mondo.
Curiosi, giornalisti, volanti della polizia. Tutto nella norma, si disse, comprendendo che ormai non c’era più nulla da fare.
Aveva fatto l’errore madornale, quello che non si dovrebbe fare mai.
La maledetta giacca dimenticata all’attaccapanni quando se n’era andato appena mezz’ora prima. Un pessimo segno !
Era bastata quella piccola svista per far crollare tutta la ragnatela di coperture, depistaggi, inganni con cui di solito si proteggeva.
Si avvicinò al gruppo dei curiosi per poter sbirciare dentro il locale. Si sentiva tranquillo tutto sommato . Il suo identikit non era ancora arrivato in città di provincia come quella. Era all’attenzione della polizia nelle grandi città dove metteva in atto i suoi delitti.
Fece appena in tempo a vedere i carabinieri che repertavano il tacco a spillo e la tessera di socio dell’Accademia La Colombaria e il brilluccichio della fede d’oro su cui erano incisi i nomi di sua madre e suo padre, mentre veniva riposta in uno di quei sacchettini trasparenti da passare a chi si occupava di DNA.
La consapevolezza arrivò in un lampo. Era finito! Era finita!.
Sapeva di esser giunto al capolinea . Qualunque carica di adrenalina era svanita. Lo aveva percepito nel momento stesso in cui al terrore che traspariva dagli occhi della sua ultima vittima non era seguita nessuna reazione da parte sua.
Né compiacimento, né appagamento, tanto meno piacere sadico. Solo indifferenza, disinteresse, freddezza.
Il corpo martoriato, ancora tiepido sotto di lui non gli era sembrato che una bambola di pezza su cui esercitare tecniche di offesa sperimentate e affinate nel corso degli anni. La furia che lo aveva accompagnato fino ad allora la scoprì spenta, come se l’interruttore si fosse girato su off senza che lui se ne fosse reso conto.
Imperturbabile compì il gesto abituale di toglierle le scarpe, metterle vicine al corpo dopo aver staccato ad una il tacco a spillo che era il suo trofeo, fino da quando aveva ucciso sua madre in un vicolo a due passi da La Colombaria.
Lei ci lavorava come segretaria . Lui aveva cominciato a seguirla furtivamente, condizionato oltre ogni misura dal ticchettio fastidioso dei tacchi a spillo che indossava ogni giorno per andare a lavoro e dopo che aveva saputo il nomignolo che aveva scelto di darsi . Era d’obbligo alla Colombaria trovarsene uno. Lei aveva deciso per “Cinciallegra”. Lui lo aveva trovato fuori luogo e di cattivo gusto e aveva cominciato a esserne ossessionato.
Era solo un ragazzino quando aveva sentito il primo click nella sua testa. Il click del sospetto. Osservava suo padre sempre più triste, lei sempre più insofferente, spregiudicata, arrogante, talora perfida.
Era fredda anche con lui. Nessun gesto di affetto madre figlio, solo sgridate, offese. Lo trattava male quasi ogni giorno per la sua mancanza di sicurezza, per la sua inettitudine, per la sua scontrosità.
“L’esatta copia di quell’idiota di tuo padre. Incapaci, senza palle, noiosi. Il peggio del peggio e siete capitati tutti e due a me!”
Una volta che l’idiota era passato a miglior vita le cose erano pure peggiorate.
In una delle sue scorribande da investigatore la vide uscire dal lavoro accanto ad un bellone palestrato. Stavano appiccicati in maniera oscena e ridevano sguaiatamente. Il tic tic dei tacchi a spillo sull’asfalto lacerava le orecchie e riduceva l’anima a brandelli.
Non gli ci volle molto per passare dal click del sospetto a quello della certezza e dell’atto estremo tanto più giustificato, secondo lui, da come aveva trattato suo padre e da come continuava a trascurarlo e umiliarlo, per portarsi a letto ragazzi poco più grandi di lui.
Con lucidità mise a punto il piano. Con freddezza preparò il tutto studiando tempi e modi possibili. Con determinazione e assenza di pentimento in una fredda sera di autunno affondò un coltello per dieci volte nel cuore di sua madre.
Spegnere quel cuore arido e privo di amore per lui, lo ripagò delle angherie subite in tutti quegli anni.
La scossa che provò mentre staccava il tacco a spillo dalla scarpa sinistra lo destabilizzò dandogli la certezza che il viaggio era solo all’inizio. Altre donne ci sarebbero state. Non da amare, visto che aveva maturato una impotenza di sentimenti decisamente più forte di quella che si manifestava ogni volta che aveva provato a fare i conti con una donna che gli piaceva.
Altre donne da uccidere, per placare la sua sete di sangue, la sua voglia di rivalsa la sua eterna sete di vendetta rispetto alla immonda Cinciallegra che aveva avuto per madre.
Pian piano aveva affinato i modi del suo agire. Non si fermava mai troppo tempo in una città. Solo quello necessario per scovare una preda, colpirla sparendo dalla visuale di chi cercava le sue tracce.
Dai giornali man mano aveva scoperto di esser diventato un caso nazionale.
La polizia del paese era in allerta. Fu creata una squadra speciale per braccarlo. E una volta che diventò chiaro che non si trattava di casi sporadici e di atti scollegati fra loro ma che si svolgevano secondo una trama organizzata da una mente estremamente lucida, pericolosa e molto molto malata a dirigerla fu chiamato il noto cacciatore di serial killer, l’ispettore Dado Derrick.
Fu fin da subito uno scontro di intelligenze. Il gioco diventò quello che il gatto abitualmente fa con il topo.
Ogni volta dopo averlo braccato, Dado Derrick aveva accorciato i tempi nei quali era arrivato ai suoi covi. Una delle ultime volte si erano incrociati appena fuori del portone principale del palazzo in cui si trovava il suo appartamento.
Lo sentiva incombere. Sapeva che mancava poco al momento in cui sarebbe riuscito ad anticiparlo e a coglierlo in flagrante.
L’errore, la giacca dimenticata malamente in quel ristorante nascevano da questa consapevolezza che aveva iniziato a minare la fredda determinazione con cui agiva di solito. Del resto ormai si sentiva stanco, svuotato e c’erano momenti in cui sperava di trovarselo al primo angolo di strada sotto casa sua per farla finita davvero.
Quella sera decise. Mentre si stava liberando dei guanti che usava e degli abiti lordati dal sangue della sua ultima vittima.
Si sentì stranamente pacificato quando prese la penna e iniziò a scrivere la sua confessione.
La lettera era indirizzata all’ispettore Dado Derrick.
Con carattere fermo enumerò tutti i delitti commessi. Senza esitazione descrisse le ragioni, i sentimenti perversi che lo avevano accompagnato nel suo percorso di morte.
All’errore madornale commesso attribuì il significato di una catarsi. Era in cerca di una purificazione anche se fuori tempo massimo e probabilmente del tutto immeritata.
Perché non ci fosse alcun dubbio ricostruì con precisione tutto quanto era successo il giorno prima.
Era partito da Roma per Torino la mattina alle prime luci dell’alba. Sola andata, visto che per depistare la polizia di Torino si era diretto poi verso Ravenna.
L’email scritta in fretta e furia sul fazzoletto di carta era quella della ragazza che abitava alle Molinette in via dei Cipressi n 23, e che ora giaceva in un lago di sangue con 10 pugnalate al cuore.
Chiudeva il cerchio delle ultime quattro vittime. I quattro pezzi della foto che si trovavano nella giacca erano altrettanti squarci di una macabra verità.
L’aveva scattata lui quella foto solo qualche mese prima. A Firenze. Il gruppo delle amiche si era rivolto proprio a lui per immortalarle in Piazza della Signoria.
Per ricordare il momento dell’incontro aveva deciso di conservare lo scontrino del bar al cui tavolo si era seduto proprio per tenerle d’occhio e farsele amiche.
Mentre scattava la foto, era scattato pure il suo click e la voglia disumana di spegnere uno ad uno quei sorrisi. Tanto più che quelle facevano le turiste caracollando impunemente su improbabili scarpe con i tacchi a spillo, oltretutto leopardate.
La foto che le ragazze gli avevano mandato era stata strappata man mano che ne uccideva una. Adesso i pezzi erano quattro. Missione compiuta.
Infine le cose a cui teneva di più.
La tessera di socio dell’Accademia la Colombaria, regalo di sua madre per il suo decimo compleanno. Unico nel suo genere come regalo e unico davvero perché dopo quello non ne aveva mai più ricevuto un altro da lei.
Uno dei tanti motivi, scrisse, per cui l’aveva uccisa.
La fede nuziale d’oro con incisi i nomi dei suoi genitori, unico frammento di una normalità agognata, di una voglia di famiglia e di calore di affetti mai sperimentati in tutta la sua vita.
Infine, il maledetto tacco a spillo. Il feticcio che strappava alle scarpe delle sue vittime. Il tic tic tic che le scarpe di sua madre facevano nel corridoio e sulle scale oltre la porta di casa mentre usciva, era stato all’origine di tutto. Una lama penetrata nel suo cervello giorno dopo giorno, anno dopo anno fino a diventare ossessione e voglia di annientamento.
Terminò la sua lettera consegnandosi al più intelligente degli investigatori che si erano messi alle sue costole . Fu l’unica gratificazione che concesse al suo ego malato prima di avvicinare la pistola alla tempia.
Nota:
L’Accademia toscana di scienze e lettere “La Colombaria” è un’istituzione culturale di Firenze, originariamente ospitata nella “torre colombaria” del Palazzo Pazzi a Firenze. Fu fondata nel 1735 da Giovanni Girolamo de’ Pazzi, studioso che si circondò di persone colte, dedite allo studio dell’antichità, della storia, appassionate di filologia e anche di scienze. Dopo la guerra e la quasi totale distruzione del suo patrimonio l’Accademia si è trasferita e il suo indirizzo attuale è via Sant’Egidio 23, nel complesso delle Oblate (bda Wikipedia)
Meno male che Stella nonostante i tacchi a spillo vola silenziosa!!!
…. complimenti!…. praticamente una sceneggiatura!
Grazie
"Mi piace""Mi piace"
BRAVA BRAVA BRAVA
"Mi piace""Mi piace"
Una storia piena di CLICK sconvolgenti, avvincenti…e già un libro, un film…una carneficina di grande classe
"Mi piace""Mi piace"
Grazie ragazze .È uscito di getto..roba da raptus.Dovrei preoccuparmi??
"Mi piace""Mi piace"
Quanti danni ha fatto questa mamma sul personaggio,un bel giallo.
"Mi piace""Mi piace"
Il genere più in accordo con il tuo io nascosto, sapienza nell’intreccio, nella scelta di immagini e parole. Una bella storia che merita un futuro……..
"Mi piace""Mi piace"