Ogni giorno un fiore

Girotondo di fiori – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

(Versione originale)

Il mio fiore è sole

è speranza, è bellezza

Il mio fiore è tenerezza

Il mio fiore è forza, è fragilità.

I fiori sono il mio messaggio di ogni giorno, ogni giorno un fiore, ogni giorno lo cerco e bevo il suo splendore.. E’ la mia linfa. Io ho tutti i fiori.

Per vivere ho bisogno d’amore.

Vivo con i fiori, li amo, li cerco, li curo perché loro curano me.

Sono i miei sorrisi, sono la vita che mi accarezza.

Ho guardato dentro i fiori, li ho guardati da vicino, sono la bellezza profumata.

Sono colore, colore, colore.

I fiori di stasera avevano braccia tese verso il cielo,

erano bianchi bianchi, profumati, pieni.

***

Messaggio d’amore con un papavero – di Lucia Bettoni

Bellissimo amore mio

ti tendo la mano e danzo nel vento

Rosso, libero, leggero,

Insieme a te fra il grano e i fiordalisi.

Ti amo dolcissimo mio amore.

Spighe di grano e girasoli

Di spighe e di girasole – di Laura Galgani

Un girasole, mille piccoli soli.

Una spiga di grano, mille piccoli chicchi.

Piccoli girasoli, tenere spighe mature.

Bionde le spighe, i girasoli gialli nei petali, punteggiati di piccole stelle all’interno.

Un’esplosione entrambi.

Il sole nel chicco di grano, uno stretto all’altro si fanno pane.

I petali del girasole si rincorrono e poi corrono dietro al sole.

Il calore li nutre. La forza sconfinata e illimitata li riempie.

Un fuoco brilla, crea e insieme distrugge, tutto trasforma dentro a una piccola spiga, a un grande girasole.

Luce e sole, fuoco e calore.

Ci vuole il fuoco per cuocere il pane, come ci vuole per cucinare il dolore.

Per renderlo lucente come una spada, come un raggio di sole che ferire non può.

Eccomi, sono qui, davanti a te, col mio piccolo mazzo di spighe e girasole, per dirti solo che

ho bisogno di te, del tuo amore che passa anche da qui, dai chicchi di grano stretti come segreti, dai minuscoli fiori al centro del girasole, piccoli come i pensieri che si affacciano alla mente nell’istante in cui il sonno ti vince.

Mi abbandono a te, al tuo abbraccio, che sa di grano, di sole, d’amore.

Incontro virtuale – 16 marzo 2021

con Cecilia Trinci

Pomeriggio nel profumo, nei colori, nelle forme di mille impensabili fiori, da “quelli che si trovano” per strada di Patrizia, alle complesse orchidee di Anna, passando dai lilium, dalle violette, dalle rose, per arrivare alle peonie, il maggiociondolo, le deuzie, le zinnie, le dalie, i girasoli, la passiflora, i fiori senza nome del grano, i papaveri, il fiore del cucco piccolo e blu, per non trascurare i mille aspetti dei fiori delle piante grasse, e gli anemoni di tanti colori, i narcisi e gli imprendibili fiori di ramerino.

Semplicità, femminilità, capacità o meno di innamorarsi, timidezza, coraggio, amicizia, nella infinita lingua dei fiori che ci parla e con cui possiamo parlare, dicendo cose segrete che altrimenti non avremmo avuto il coraggio di dire.

Frasi sui fiori:

Claude Monet: Io devo forse ai fiori l’essere diventato pittore

Confucio: Mi chiedi perché compro riso e fiori? Compro riso per vivere e fiori per avere una ragione per cui vivere

Christian Bobin: Ho posato a terra il vaso pieno di rose gialle davanti alla finestra per dare da bere alla luce

Fiori, colori, messaggi.

Quale fiore siamo?

Con quale fiore abbiamo voglia di comunicare?

Raccontiamo……….

La maga Angiolina

Ispirata a Volta la carta

La magia di Angiolina – di Stefania Bonanni

Foto di Mira Cosic da Pixabay

I ricordi sono fotografie fatte dagli occhi, che non sbiadiscono. Ed io Angiolina me la ricordo bene. Si, in molti hanno detto che non è possibile , che ero troppo piccola, che ho immaginato dai racconti che ne hanno fatto. Comunque, io Angiolina me la ricordo bene.

Aveva lunghi capelli ricci, pettinati solo dal vento, che si impigliavano tra i rovi e le vigne,  mentre correva. Era magra e veloce, come un animaletto selvatico. Correva tra le zolle grasse come su un prato morbido, senza affondare, neanche dopo la pioggia. Vestiva di scuro, ma non le si addiceva.  Per questo, non uscì più senza quelle scarpette blu. Le aveva avute in regalo da Madama Dore’, usate dalle sue sei figlie. Angiolina volava tra le zolle con scarpette da ballo e la sera, alla luce del focolare, aspettava il sonno strusciando le scarpette con un pezzo di stoffa vecchia. Le asciugava, le puliva, poi le lustrava, finché non erano pronte per correre di nuovo tra le zolle, la mattina dopo.

Abitava in una casetta vicino al bosco, era rimasta sola presto. Era sola e povera, non aveva molto da ridere, ma la ricordano allegra e fiorita. Andavano a trovarla spesso, le ragazze del paese, portavano uova, o frutta. Nessuno aveva da scialare, in quel dopoguerra recente. Andavano da lei, le ragazze del paese, e trascorrevano interi pomeriggi a parlare d’amore e di futuro. Angiolina conosceva erbe e storie fantastiche, buone per sognare. Si intrecciava margherite tra i capelli, e ginestre. Raccoglieva erbe buone per scacciare la paura, o far dormire, o abbassare la febbre. Faceva decotti che curavano il mal di schiena, facevano guarire le ferite, cacciavano i pidocchi. Intrecciava ossi di pesca in lunghe collane, che girava tre volte tra le dita pronunciando strane formule mistiche, come fossero rosari le collane, e preghiere le formule. Intrecciava agli con fili di paglia, e li strusciava sulla pancia dei bimbi per far scappare i bachi, sempre biascicando strane nenie. Raccoglieva fiori la notte d’estate, e faceva intrugli che innamoravano. In inverno, cominciò a girare le carte. Per raccontare storie davanti al focolare, mentre le castagne cuocevano sotto la cenere.

In poco tempo circolo’ la voce che Angiolina girava le carte. Ma non erano le carte che  raccontavano. Era Angiolina, quello che le carte dicevano dipendeva da Angiolina. C’erano giorni nei quali il fante di cuori era un amore in arrivo, altri nei quali annunciava un tradimento. Il fante di picche a volte era un brigante, altre un principe arabo. Gli assi erano grandi gioie o disgrazie, ed il gioco era in mano ad Angiolina, che mescolava stagioni e magie, amori e guerra, per ridere, ma anche per vivere. Poi ci fu la volta che giro’ l’asso di picche, e annuncio’ un grande pericolo che stava per abbattersi sul paese. Quella notte cadde una bomba, vicino, e la gran paura fu la causa della fila di persone davanti alla porta di Angiolina, il giorno dopo. Volevano l’acqua che fa passare la paura, ma volevano anche vedere lei, e sapere altro dalle carte. Le chiesero di girare di nuovo le carte. Angiolina disse che se ne sarebbero andati i soldati, in silenzio, di notte, scalzi. Non disse a nessuno che sarebbe sparito anche il carabiniere che l’aveva fatta innamorare. Non c’era più,  nelle carte. E ricomincio’ a girare, a girare. Vide un soldato con uno strumento che suonava. Finalmente usò le scarpette per ballare. Sapeva sarebbe sparito anche il soldato. Aveva visto arrivare un pilota, che durò un attimo, come l’apparire e sparire del suo aereo nel cielo. Girò e girò le carte. Sapeva che rischiava,  ma voleva vivere. Girò il fante di cuori, e l’amò di una passione scoppiettante. Fu molto felice, non si pentì quando capì che il fuoco si spegneva, sapeva che era una delle possibilità.

Ogni amore, una figlia. Parlarono molto, in paese. Diventò una maga, Angiolina, nei racconti. E quando partì, con le braccia piene di figlie avvolte di stracci, nacque la favola. Dicevano che era sparita con un ragazzo straniero che se l’era portata a casa, incantato da chissà quale magia. Nessuno seppe più nulla di certo, e quando dissero di averla incontrata vicino al porto, stracciona stanca, insorse il paese.

“Angiolina è fatata, libera e forte. Nulla e nessuno l’avrebbe ferita. Avrebbe girato le carte, e mescolato bene, avesse avuto bisogno”.

Filastrocche universali

ispirato a Volta la carta

Filastrocche universali – di Gabriella Crisafulli

Foto di MICHOFF da Pixabay

La donnina che semina il grano

Volta la carta

Si vede il villano

Il villano che zappa la terra

Volta la carta

Si vede la guerra

E la guerra con tanti soldati

Volta la carta

Si vede i malati

I malati con tanto dolore

Volta la carta

Si vede il dottore

Il dottore che fa la ricetta

Volta la carta

Si vede Concetta

E Concetta fila il lino

Volta la carta

Si vede Arlecchino

Arlecchino che fa gli sgambetti

Volta la carta

Si vede i galletti

I galletti che fanno cosi

Chicchirichiiii

Acchiana acchiana babbaluci

Ca ti dugno pane e nuci

Ca ti dugno pane e cutieddo

“Tuppe tuppe tu”

“C’è Mastro Antonino?”

“Nooo”

Scinni scinni babbaluci

Ca ti dugno pane e nuci

Ca ti dugno pane e cutieddo

“Tuppe tuppe tu”

“C’è Mastro Antonino?”

“Nooo”

Acchiana acchiana babbaluci

Ca ti dugno pane e nuci

Ca ti dugno pane e cutieddo

…   …   …

Era la donnina che seminava il grano:

con lei c’era il villano

Adesso però lui è lontano

e la donnina non c’è più:

era del tempo di gioventù

Nel frattempo c’è stata la guerra

la donnina è sottoterra

Ora c’è Angiolina

che intreccia i capelli con foglie d’ortica

ama collane di ossi di pesca

come regina di stirpe moresca

Sua madre ha un figlio infedele

gli inzucchera il naso di torta di mele

mettendo Caino contro Abele

Angiolina si è nascosta in cucina

perché si sentiva un’aguzzina

Adesso non piange più

canta con voce argentina

mangia insalate con pere abate

ritaglia giornali costruisce ali

indossa occhiali

guarda aurore boreali

e scrive rime accidentali.

La donnina che semina il grano

Acchiana acchiana babbaluci

Ca ti dugno pane e nuci

Volta la carta

Si vede il villano

Il villano che zappa la terra

Ca ti dugno pane e cutieddo

Volta la carta

Si vede la guerra

E la guerra con tanti soldati

Tuppe tuppe tu

“C’è Mastro Antonino?”

“Nooo”

Volta la carta

Si vede i malati

I malati con tanto dolore

Scinni scinni babbaluci

Ca ti dugno pane e nuci

Ca ti dugno pane e cutieddo

Tuppe tuppe tu

“C’è Mastro Antonino?”

Volta la carta

Si vede il dottore

Il dottore che fa la ricetta

“Ca ti dugno pane e cutieddo”

Volta la carta

Si vede Concetta

E Concetta fila il lino

Tuppe tuppe tu

“C’è Mastro Antonino?”

“Nooo”

Volta la carta

Si vede Arlecchino

Arlecchino che fa gli sgambetti

Acchiana acchiana babbaluci

Ca ti dugno pane e nuci

Ca ti dugno pane e cutieddo

Volta la carta

Si vede i galletti

I galletti che fanno cosi

Chicchirichiiii

Filastrocca di Tina

ispirata a Volta la carta

Volta la carta della vita – di Tina Conti

Si potrebbe iniziar la giornata, a girare la carta sbagliata

Questa volta ne sono sicura, ne uscirà una cosa un po’ scura

Finalmente il grembiule e’ arrivato, bianco e rosso col nome stampato

Volta la carta  la TEA è contenta, furba furba ,agguanta una tenda.

Tea che impasta, sbatte, tagliuzza e qualche volta usa la frusta.

Arriva anche Bruno, vestito a festa, salta la corda e va alla finestra.

Per lui il grembiule non è preparato, cambia posto e si lecca il gelato.

Razzia nel giardino han fatto stamani e ora ridono e batton le mani

Un solo fiore ormai non si vede, nella distesa di piante offese

Un  gran profumo vogliono fare, e da giorni non fan che impastare

Con limone, lavanda e rughetta, e tanti fiori schiacciati in gran fretta 

 La grande essenza han  provato a  fare, a me sembra sapon per lavare.

Emma e Nora un comprator  han trovato che si e preso il sapon da bucato

lo paga poi con moneta squillante e loro esultano  sulle gambe.

Volta la carta qualcosa si muove si vede Giulio con le scarpe nuove.

Le lucida  sempre da mane a sera poi ridendo si sbuccia una pera.

Stasera è festa per la nidiata, secondo me ci vorrebbe una fata.

Tutti insieme in armonia si ritrovano a dormir dalla zia.

Prima pero’ è bello dire, ci si lava e si va a dormire.

Un bel film hanno visto i ragazzi e poi saltano e zompan come matti.

Arriva la nonna che con fare discreto, lascia il succhiotto al più indifeso.

La notte passa tranquillamente, con grande  gioia nel cuor e nella mente.

Al risveglio della nidiata, la colazione sara’ apparecchiata.

Se non pancacke , saran schiacciatine, condite sempre da fresche sardine.

Coccole baci e qualche pedata, per poi giocando concluder la giornata.

Volta la carta, la festa è finita, si ricomincia doman con la vita

Vita diversa e sempre un po’ uguale, cerca la carta e compra un giornale

Fra tante storie, farse  e novelle, non ti scordar di comprar le frittelle.

Quelle di riso mi paion  migliori anche se forse ti piacciono i fiori

Meglio sarebbe non farne di niente solo per fare dispetto alla gente

Ma cosa dite, è meglio far festa perché la gioia ti salti un po’ in testa

Volta la carta domani si canta, meglio se tutti rimangono in gamba.

La piccola Angiolina

da Volta la carta: “Angiolina alle sei di mattina si intreccia i capelli con foglie d’ortica, ha una collana di ossi di pesca la gira tre volte intorno alle dita…”

Angiolina -di Sandra Conticini

Foto di Jan Temmel da Pixabay

Angiolina, la bambina che cammina con le sue scarpette blu alla ricerca di una vita migliore. Non vuole vivere in quel paese povero e pieno di tristezza, dove ci sono solo persone conosciute da quando è nata. Inutile intrecciarsi i capelli con foglie d’ortica e agghindarsi con collane di ossi di pesca, lei sarà sempre la piccola Angiolina.

Continuerà a camminare, camminare finchè non troverà l’amore della sua vita e così non piangerà mangiando insalata di more in cucina.

Sognando ritaglia  fogli di giornale e crea il suo vestito da sposa perchè è sicura che un giorno troverà che si accorgerà di lei.

Angiolina vuole cambiare il suo destino, ma sa bene che la vita è come un gioco di carte, nessuno può essere sicuro di vincere!

La filastrocca

Da Volta la carta ……

La filastrocca – di Gigliola Franceschini

C’era una volta la filastrocca.  Chi ha avuto la fortuna di crescere in una famiglia dove i nonni  erano i pilastri, sedevano a capotavola e venivano ascoltati come fonte  di saggia esperienza, avra’ ungrosso bagaglio di racconti, di proverbi a iosa e infine di tante fantasiose  filastrocche. I miei nonni  erano un’antologia vivente, dall’alto della loro scarsa istruzione, insegnavano a noi ragazzi le risposte ai vari eventi della vita, narravano storie antiche piene di valori intramontabili, recitavano lunghe tiritere  che accompagnavano i lavori di tutti i giorni. Mia nonna aveva una filastrocca per ogni cosa.  Anche quando andavamo nel pollaio a raccogliere le uova, faceva parlare la gallina che aveva appena deposto il suo dono “coccode’ coccode’ ecco un cocco pronto per te”  e le piccole mani avide raccoglievano l’uovo ancora caldo  e lo riponevano nel cestino come un trofeo. Accompagnava il movimento delle mani  che impastavano il pane, con la storia della Teresina che dormiva la mattina e cosi’ per tutto c’era una storia e un canto che facevano compagnia al lavoro importante  della.preparazione delle pagnotte . Vecchie storielle che hanno attraversato il tempo senza perdere di significato. Non ci si deve meravigliare se scrittori  e musicisti si sono ispirati  a quelle filastrocche un po’ bislacche ed hanno scritto dei testi che sono vere poesie musicali. I proverbi, le filastrocche, ruvide radici della nostra  cultura ,scritte a voce e  piene di errori grammaticali, sempre semi importanti che hanno permesso di sviluppare pensieri piu’ complessi. Filastrocche antiche, una lunga galleria di piccoli quadri dipinti con le parole.

La Donnina che semina

Da Volta la carta: “C’è una donna che semina il grano, volta la carta si vede il villano…..”

LA DONNINA CHE SEMINA IL GRANO – di Anna Meli

            Ogni bimbo fortunato ha udito dai nonni o dai maestri questa piacevole tiritera. A me la raccontava il mio babbo. Tornando da lavoro con la sua moto, mi trovava lì ad attenderlo: mi prendeva fra le braccia, mi faceva volare in aria e mi diceva” Ecco la mia donnina che semina il grano” ed io ridevo felice.

            Non era un caso quel nomignolo perché avevo visto Pietro che nel suo campo seminava il grano tuffando dal suo grembiule grandi manciate di semi e li spandeva con un gesto largo ed aperto offrendoli al sole e alla terra come un dono prezioso. Amavo ripetere quel gesto tenendomi la gonna e ballando.

            Il babbo mi aveva chiesto se mi piaceva così tanto ballare e io avevo risposto” Sì, ma io veramente semino il grano”. Era stata l’occasione per lui di raccontarmi per tante, tante volte la filastrocca che io gradivo in modo particolare, e cercavo un significato che mi sfuggiva trovando però pacificante il suo cantilenare.

            Da nonna ho ripetuto tante volte la filastrocca ai miei nipoti come se fosse una ninna-nanna; loro si addormentavano tranquilli e amavo credere che dietro quelle lunghe ciglia ogni parola prendesse forma e raccontasse una storia diversa.

            Il testo scritto da De André e un po’ diverso da quello tradizionale ma mantiene quel “ gira la carta “ che interrompe e nello stesso tempo collega scene differenti….

            C’è Angiolina che si è innamorata del carabiniere e indossa le sue scarpette blu per essere più veloce nel raggiungerlo, ma presto lui svanisce in un giro di carta. C’è, lungo la strada, un ragazzo che sale un cancello per rubare ciliege e tira sassate; ancora gira la carta e appare il fante di cuori (sarà il carabiniere di Angiolina), che poi è un fuoco di paglia (destinato a durare poco): gira la carta e un gallo canta, forse un modo per riportare alla realtà, svegliare da un sogno.

            Le carte si susseguono, cambiano, spariscono come i giorni, le stagioni , le situazioni. Hanno immagini diverse a volte scollegate fra loro, ma fanno parte di uno stesso mazzo necessario per giocare alla vita.

Zucchero sul naso

Da Volta la carta: “Mia madre ha un mulino e un figlio infedele gli zucchera il naso di torta di mele, mia madre e il mulino son nati ridendo….”

Lo zucchero della torta di mele – di Cecilia Trinci

La mamma felice che scherza col figlio e se è infedele lo perdona, lo ama così tanto da riderci addosso sempre, lo abbraccia, lo spruzza di zucchero, gioca col suo uomo bambino. Con lui e la sua torta, zucchero e mele sul viso. La mamma giovane e il mulino son nati ridendo, la cucina di campagna è piena di sole e dolcezza, più zuccherata della torta.

Una donna che gioca e cucina, che ride innamorata della vita.

Mia mamma, mia nonna in una cucina d’inverno. La stufa rossa di legna infuocata scoppietta e riscalda. La mamma balla, la nonna fa il croccante, mia sorella gioca, mio nonno tiene acceso il fuoco, aspettiamo la sera che piano piano  scende. Siamo in cinque a volerci bene. Tra poco arriverà il sesto dal lavoro. Sarà buio allora, sarà sera, sarà cena intorno al tavolo grande di marmo apparecchiato a festa. Sarà letto, sarà bacio, sarà buonanotte. Sarà silenzio.

Ciliegie rosse

da Volta la carta: “C’è un bambino che sale un cancello ruba ciliegie e piume d’uccello, tira sassate non ha dolori,….”

I bambini che giocano – di Patrizia Fusi

Foto di Free-Photos da Pixabay

Una bella giornata di sole, un albero pieno di rosse ciliegie che fanno capolino fra le foglie verdi.

Un bambino salta il cancello.

Inizia a mangiarle cosi mature e succose, continua a raccoglierle, le mette nella maglietta bianca che si riempie di piccole macchie rosse.

Madama Dorè: filastrocca di un gioco che facevo quando ero piccola.

Mi tornano alla mente pomeriggi caldi e profumati di campagna, trascorsi fra bambini facendo giochi di gruppo. Madama Dorè, lo sculaccione, acchiappino, nascondino, quattro cantoni, “uovo marcio”, il gioco dell’anello, sbarba cipolla, campana, Pisto e Pistugno, girotondo e tanti altri che appena ricordo.

Serenità.

Si gira la carta

da Volta la carta: “…chiama i ricordi col loro nome, volta la carta e finisce in gloria”

Gira gira la vita – di Vanna Bigazzi

Foto di holzijue da Pixabay

Movimento e trasformazione nel voltare la carta.
Tanti personaggi ci sono, agiscono, sorprendono, ma poi spariscono perché “si gira la carta”.
Magicamente tutto cambia. Alcuni personaggi tornano più volte, come Angiolina, ma interpretando storie diverse. E’ la vita, si percorre una strada, si conoscono persone, ma il tempo passa e quella strada, quelle persone non ti appartengono più, ce ne sono altre, del tutto diverse e anche noi siamo diversi. Tuttavia continuiamo a seguire il nostro cammino, senza renderci conto
che è un altro cammino, è vivere vite diverse essendo diversi anche noi. Siamo tante persone e non lo sappiamo.

Fante di Cuori…e gli altri fanti

da Volta la carta :”volta la carta c’è il fante di cuori, il fante di cuori che è un fuoco di paglia, volta la carta e il gallo ti sveglia”.

Fante di cuori e di picche- di Carla Faggi

Il fante di cuori è un fuoco di paglia, ti scalda, ti brucia ti abbaglia

ti senti giovane e bella, l’erotismo ti arrovella

allora volta la carta, il gatto ti sveglia forse quel fante non è proprio una meraviglia

il fante di cuori più non ti piace ma c’è il fante di fiori che più ti si addice

lo cerchi, lo vuoi, parole d’amore ti dice

ma volta la carta ed è il fante di picche che arriva

ti stringe ti riempie di chicche

e volta la carta e così soddisfatta

anche quello di quadri ti sei fatta!

Viva l’erotismo e tutti i fanti del mondo!

Facendo la seria, i fanti sono importanti nella vita di una dama, tutti quanti, quelli belli e quelli brutti, purchè ci siano tutti!

Fante di cuori

da Volta la carta: “C’è un bambino che sale un cancello ruba ciliegie e piume d’uccello, tira sassate non ha dolori, volta la carta c’è il fante di cuori, il fante di cuori che è un fuoco di paglia, volta la carta e il gallo ti sveglia”

Madama Dorè e Fante di cuori – di Rossella Gallori

Scoppiò il nostro amore come un sacchetto di coriandoli troppo pieno, qualcuno si impigliò nel mio seno, altri tra i tuoi capelli, morsi di carta, occhi colorati ed impazziti….

Io Madama Dorè, donna di porto…

Gambe a sogni stranieri, figlie rubate da camicie di seta.

Tu, fante di cuori, anima di paglia, che nemmeno seppe bruciare.

Feci una corsa sull’ acqua per raggiungere un’onda migliore…

Per trovare un sapore, per ridere, cantare…

Trovai mia madre nel campo dorato, un figlio tra le braccia morto ammazzato.

Un sorriso di rossetto, inferma nel suo letto…

L’onda arrivò mi prese, mi ingoiò.

Tu fante di cuori, sulla barca, con i tuoi nuovi amori.

Io Madama Dorè, affogata  in silenzio, nell’acqua che non c’è.

Un pesce soltanto consolò il mio pianto.

La coda d’argento ruppe il silenzio: ti porto con me madamaaaadoreeeeeee!

Ti regalo un sogno, ne hai troppo bisogno…tu fante di cuori…muori….muori…

Collana di ossi di pesca

da Volta la carta: “Angiolina alle sei di mattina s’intreccia i capelli con foglie d’ortica, ha una collana di ossi di pesca, la gira tre volte intorno alle dita”

Le noci – di Mimma Caravaggi

Foto di Couleur da Pixabay

Ero bambina ed uno dei giochi che la mamma faceva per intrattenerci tutte e tre, quando magari il tempo non ci permetteva di stare fuori, era quello di spaccare le noci. Dovevamo stare attente a non rompere i gusci. Il primo gioco consisteva in una gara fra noi tre a chi aveva i migliori gusci e quanti belli  interi. Poi la mamma prendeva un pezzetto di nastro colorato, non troppo largo, e con un pò di colla lo applicava su un guscio poi ci appoggiava sopra l’altra metà e richiudeva facendo tornare intera e perfetta la noce. Ricordo che questo era un gioco invernale fatto durante le feste di Natale perché poi appendevamo tutte queste noci sull’albero belle lucide dopo una passata di smalto bianco per unghie. A volte aggiungevamo piccolissimi brillantini colorati , era più una polvere di stelline che brillantini. Erano veramente carine tutte appese all’albero e noi ci divertivamo nella realizzazione di questi oggetti senza ovviamente lasciare indietro i gherigli di noce che ci rubavamo a vicenda. Più imparavamo più la nostra fantasia esponeva facendoci divertire e passare un bel pomeriggio sereno per noi e la nostra mamma. Forse è da allora che è nata la mia fantasia per la realizzazione di bijoux…..

Scarpette blu

Da Volta la carta: “Angiolina cammina cammina sulle sue scarpette blu, carabiniere l’ha innamorata, volta la carta e lui non c’è più”

Scarpette blu – di Nadia Peruzzi

foto di Carmela De Pilla

Volta la carta e sul sentiero si sentiva solo un passo leggero.
Il sole intrecciava scintille di luce in mezzo ai capelli di Nina.
L’abito bianco gonfio di vento sembrava una vela nel mare d’erba.
Ad ogni passo un guizzo di blu segnava il cammino con note di fiordalisi.
Erano le scarpette che aveva trovato nella cantina di nonna Ines. Che emozione. Erano state le sue scarpette da ballo, le prime col tacco. Le aveva comprate in un altro giorno di sole . Uno di tanti anni prima.
Volta la carta, Nina, e ti ritrovi poco più che bambina.
I capelli corvini faticavano a star raccolti nella passata color indaco che si intonava al blu profondo dei suoi occhi.
Il sentiero era quello di adesso, quello che portava a casa.
Le scarpe erano ancora nella loro scatola. Le avresti indossate al ballo quella sera stessa.
Il tuo Luigi ti avrebbe aspettato al vecchio mulino e da li sareste andati insieme alla casa del fattore. Si ballava lì, nella grande aia, per la festa della mietitura.
Era già tutto nel tuo cuore e nella tua fantasia mentre a passo di danza ti dirigevi verso casa. Non continuasti molto a tenere le scarpette blu nella loro scatola .
All’ombra del vecchio noce le indossasti accennando altri passi di danza. Il vento teso portava armonie e un canto lontano. Forse erano già le prove per la serata.
Volteggiavi leggera, quasi ti portasse il vento. Eri già col pensiero abbracciata a Luigi con i respiri corti per l’emozione e la voglia di far durare quella notte tutta una vita.
Già tutta una vita. Questo l’auspicio colorato di speranza.
Volta la carta, Nina, e non sei più una bambina.
Il candore dell’abito è ormai il candore dei tuoi capelli.
Il passo è incerto sul sentiero e hai bisogno di un bastone.
Il ballo è solo un ricordo lontano.
La serata non era stata come avevi desiderato. Luigi aveva ballato tutta la sera con la Giusi, la biondina del terzo banco, quella che gli passava i compiti di latino.
Te lo ricordi ancora, ci eri rimasta male allora.
Furono le scarpette blu a decidere il resto. La serata valeva la pena di essere vissuta, con o senza il bel Luigi.
Scivolavano così bene su quel pavimento che riuscisti a volteggiare per ore e ore senza stancarti mai. Come una vera ballerina. Gli occhi di tutti, anche quelli di Luigi,  incollati addosso.
Andando verso casa un po’ traballante per l’età e la fatica quella sera di mezza estate tornò per un attimo a sfiorare i tuoi pensieri. Era stata importante .  Avevi dismesso quella sera il tuo abito e la tua personalità bambina per diventare un donna.
Da quel momento in avanti sapevi che avresti deciso tu chi, come e quando e non un Luigi qualsiasi.
E così era stato. Altri amori c’erano stati a scandire le varie stagioni della tua vita. Da nessuno ti eri fatta imprigionare.
Ci doveva essere qualcosa in quelle scarpette blu. Si,  doveva essere così.  Ti mettevano le ali ai piedi una volta che ti accorgevi che un legame diventava troppo pressante fino a limitare i tuoi spazi di libertà.

Il Pilota

da Volta la carta: “Volta la carta c’è un pilota biondo, pilota biondo camicie di seta, cappello di volpe sorriso d’atleta…”

Il Pilota – di Simone Bellini

disegno di Simone Bellini

Salve donzelle, son biondo, son bello, sulla testa da aviator ho il cappello, il fascino della divisa sfoggio ognor. Sorriso ammaliante, sguardo d’amor , vi amo tutte, ma Angiolina non mi si fila per niente! Questo è uno smacco che non posso sopportare, tutte ai miei piè devono cascare. Angiolina non fare la sciocca, fammi baciare la tua leggiadra bocca, ma ella sfugge ai miei sguardi ammalianti, mentre la saluto con i miei guanti bianchi. Il mio charme è al massimo del fulgore, ma tu mi annienti e mi abbandoni al mio dolore !

Il grembiule

Dalle nostre pubblicazioni del 2016

Il grembiule di nonna – di Tina Conti

Nella tasca a mezzaluna del grembiule, grande e profonda, finivano dimenticati granelli di vita, segni del tempo e delle stagioni. Sul fondo, mischiati a terra e laniccio, c’erano due noccioli di ciliegia, le ultime rimaste a primavera e assaporate a occhi chiusi. C’erano anche semi di grano, vecce e granturco, resti del becchime dei polli rimasti impigliati fra le dita alla ricerca della pezzola.

Ormai sbriciolate e risecchite due foglie di salvia e alloro ricordavano l’arrosto di fegatelli e uccellini del Natale passato. Due margherite secche e stecchite erano state un regalo delle nipotine che aveva infilato nella tasca e c’era anche la corteccia della merenda per metterla nel pastone del cane. Dopo la fiera la nonna aveva indossato la nuova vestina, comprata con orgoglio con la sorella e molto di moda. Il grembiule era stato dimenticato sotto una giacca all’attaccapanni. Il cartoccino di semi del basilico erano rimasti nella tasca. Quanto li aveva cercati! Poi si era arresa, aveva accettato quelli dell’Elvira, che, però,  sicuramente non avrebbero dato un basilico bello e profumato come il suo.

Il Grembiule della nonna – di Sandra De Maria

Ero seduta all’ombra del noce; il caldo era opprimente, anche uccelli, farfalle e mosche erano intorpiditi: non si muoveva foglia.

Non avevo voglia né di leggere né di ascoltare musica, per cui, come al solito, in questi frangenti, mi sono immersa nel passato insieme con i miei fantasmi: e in quel momento si affacciò la nonna.

Nonna Angelina era un bel donnino, come dicevano allora, piccola ma tutta proporzionata, dolce e mite, ma, quando doveva sostenere le sue ragioni, non demordeva mai.

Di lei fisicamente mi ricordo, in particolare, lo chignon appuntato con forcine di osso colorate e la gamma dei grembiuli, da quelli di lavoro, quelli bianchi per la sfoglia, e quelli della domenica, quando si metteva a tavola la tovaglia pulita, si mangiava un pasto più ricco e si rimaneva più a lungo seduti a chiacchierare, tranne me, che avevo la smania di correre fuori a giocare.

Nei grembiuli da lavoro portava a casa di tutto: reggendoli per le cocche, metteva sul tavolo di cucina patate o cipolle, o legna per il camino, o noci con ancora il mallo che mi era vietato di toccare, fagioli o piselli da sgranare, pannocchie da arrostire … a seconda della stagione; nelle tasche aveva spesso castagne secche, di cui andavo ghiotta, liquirizia … Quando andava a sedersi in cortile con le altre signore, allora si metteva in tasca l’uncinetto o i ferri per fare la maglia.

I grembiuli della domenica erano più colorati ed erano contornati da una rouche che li rendeva più graziosi; con quelli non trasportava nulla, non mi puliva la faccia , né mi soffiava il naso; erano sempre lindi e ben stirati.

Era buffa la nonna quando usciva con le sue amiche, si toglieva il grembiule, e rimaneva impacciata, perché non sapeva dove mettere le mani.

A volte, quando era seduta vicino al fuoco, mi arrampicavo sulla spalliera della sua sedia, mi mettevo sulla schiena e le disfacevo lo chignon, facendo cadere tutte le forcine per terra.  Mi piaceva immergere le mani nei suoi capelli, che un tempo erano neri, ondulati e morbidi. La nonna fingeva di arrabbiarsi, si alzava, mi prendeva per una mano e con l’altra mi costringeva a raccogliere le forcine e, indicandomele, diceva: “Piegati tu, che io sono vecchia”. Allora mi sentivo in colpa, ma il pentimento mi passava assai presto.

Ho amato molto la mia nonna. Dei personaggi del passato è quella di cui ho il ricordo più vivo, come se l’avessi vista ieri.

La nonna e il grembiule – di Gigliola Franceschini

“Mettiti il grembiale” gridava nonna mentre tentavo di sgattaiolare fuori dalla sua cucina. Ma lei, veloce come una lepre, mi agguantava per una treccia ed io ubbidivo. Mi ero appena levata quello bianco della scuola e bisognava mettersene un altro per coprire il vestitino che non si doveva sciupare. Le sfuggiva il pensiero che di lì a poco sarei cresciuta ancora e il vestito, come i golfini che lei mi confezionava, le gonne e tutto il resto, sarebbero stati troppo stretti e corti. Il grembiule per nonna era un rito. Ne aveva per tutte le occasioni. Uno di fustagno blu, un po’ grossolano come i pantaloni degli operai, le serviva per andare nell’orto e nel pollaio. Nelle due tascone riponeva un po’ di tutto e quando rientrava in casa tirava fuori pomodorini ancora caldi di sole, uova e acini di uva spina. Lo appendeva ad un gancio sulla terrazza mentre quello che adoperava in casa, occupava il 3° posto nell’appendino a destra del lavello che allora si chiamava acquaio, accanto agli asciughini e all’asciugamano per le mani. Quando giudicò che fossi abbastanza grande   per lavorare con lei, mi confezionò  un grembiule bianco lungo lungo, avvicinò uno sgabello alla vecchia madia e mi mise fra le mani la prima palla di pasta per il pane. Quando le pagnotte erano pronte e riposte a lievitare, ci faceva sopra una piccola croce poi le ricopriva coi due grembiuloni candidi e si aspettava. Anche se mi piaceva fare per casa tante cose con lei, detestavo il grembiule ma non sono riuscita mai a farne a meno finché lei è vissuta. Mi meravigliavo  che mamma non lo usasse, questa era una delle cose a cui si era ribellata fin dall’inizio della sua vita in famiglia , ma lei era grande, io potevo solo ubbidire. Nonna teneva un vero rifornimento di grembiuli nel cassettone del ripostiglio; li confezionava a getto continuo con tutte le stoffe che le venivano a portata di mano. Quando ho potuto comandare io e cioè tardi e nella mia casa, ho bandito il grembiule dalle cose  necessarie in cucina. Mi accorgo di avere imparato da mia nonna, oltre tante utili cose, una più preziosa delle altre: ho imparato a ubbidire fidandomi, anche senza capire tutto. Quel pezzo di stoffa  arricciato sulle spalle ha accompagnato la mia infanzia mettendo alla prova il mio carattere che per sua natura, era  molto ribelle. Ho imparato ad ascoltare gli altri ed ad avere pazienza.

IL GREMBIULE DELLA NONNA – di Laura N.

Entrando nella grande cucina, sempre pulita, sempre all’ordine, si notava subito la piccola sedia impagliata vicino alla finestra e il grembiule bianco ripiegato che vi stava sopra con forbicine e occhiali. La nonna Isa i suoi lavori di ricamo li teneva lì ben involtati e quando apriva i lembi del rustico pacchetto  faceva stupire per la bellezza, la fantasia, le precisione di quel che aveva fatto.

Preferiva ricamare di bianco gli smerli e gli sfilati di lenzuola e federe, i centrini di lino e i trafori delle tende, ma quando si cimentava col colore riusciva a trasportare nelle tovaglie di bisso tutti i fiori del giardino, rose, mughetti,  papaveri.

Aveva le “mani d’oro” la nonna Isa, che sempre nonna non era stata  e anzi, a cinquant’anni, quando le nacque la prima nipote,  essendo ancora molto bella, rifiutò quel titolo asserendo che per la strada tutti la scambiavano per la mamma, ma poi, in rapida successione i nipoti divennero quattro e lei si dovette felicemente adattare e divenne nonna Isa. Di lei subivo il fascino: aveva la sicurezza di chi è nato in una affiatata famiglia patriarcale contadina con tanti zii e cugini, di chi ha vissuto una vita naturale nei ritmi delle stagioni e dei lavori nei campi, , nella considerazione che il cibo è una benedizione, senza tuttavia aver  mai sofferto per la fame.

Sapeva tante storie la nonna Isa, tramandate dalle generazioni che l’avevano preceduta: filastrocche, proverbi, novelle, poesiole  in cui si condensavano le esperienze umane, gli amori, le gelosie, le magie, la fame, le astuzie, le lotte per la vita; mi piaceva ascoltarla, le sue parole dispensavano saggezza e ora mi rammarico di non aver scritto niente per fermare il ricordo.

Il ricamo lo aveva imparato da bambina ed era stato per lei un alleato, un amico, un rifugio nelle inevitabili difficoltà dell’esistenza. Nel rincorrersi dei punti, sodo, ombra, erba, catenella, nel ritmo degli intervalli sulla tela, un pieno, un vuoto, un pieno, la sua anima trovava la sua cura. Con l’ago e il filo nelle mani aveva imparato la pazienza, un pacato distacco quando l’emozione era troppo forte, la fiducia che prima o poi le cose si sarebbero aggiustate e  anche la capacità di dire la sua nel modo giusto, al momento giusto.

Anche quando rimase sola trovò consolazione e forza nel  ricamo. Nel farsi del disegno, un punto dietro l’altro, la mente tornava ai giorni belli del passato, superava le piccole gelosie, progettava qualcosa per il domani: un buon pranzetto, una “girata” in macchina, un taglio di lino da “staccare” ai prossimi saldi di Mazzoni. Di più, ricamando lenzuola per i nipoti lasciò aperto un ponte che si attraversava volentieri.

Fu “nonna Isa” per quasi cinquant’anni, perché morì  a novantanove e al di là di qualche scaramuccia e di ciò che dicono i proverbi, ci siamo volute bene pur essendo suocera e nuora.

IL GREMBIULE DELLA NONNA – Maurizio Magistri

Ti ricordi del grembiule di tua Nonna ?

Il primo scopo del grembiule delle Nonna era di proteggere i vestiti sotto, ma, inoltre: serviva da guanto per ritirare la padella bruciante dal forno; era meraviglioso per asciugare le lacrime dei bambini ed, in certe occasioni, per pulire le faccine sporche; dal pollaio, il grembiule serviva a trasportare le uova e, talvolta, i pulcini!; quando i visitatori arrivavano, il grembiule serviva a proteggere i bambini timidi; quando faceva freddo, la Nonna se ne imbacuccava le braccia; questo buon vecchio grembiule faceva da soffietto, agitato sopra il fuoco a legna; era lui che trasportava le patate e la legna secca in cucina; dall’orto, esso serviva da paniere per molti ortaggi dopo che i piselli erano stati raccolti era il turno dei cavoli; a fine stagione, esso era utilizzato per raccogliere le mele cadute dell’albero; quando dei visitatori arrivavano in modo improvviso, era sorprendente vedere la rapidità con cui questo vecchio grembiule poteva dar giù la polvere; all’ora di servire i pasti, la Nonna andava sulla scala ad agitare il suo grembiule e gli uomini nei campi sapevano all’istante che dovevano andare a tavola; la Nonna l’utilizzava anche per posare la torta di mele appena uscita dal forno sul davanzale a raffreddare; ai nostri giorni sua nipote la mette là per scongelarla.

Occorrerà un bel po’ d’anni prima che qualche invenzione o qualche oggetto possa rimpiazzare questo vecchio buon grembiule.

Madama Dorè e il Porto

da Volta la carta: “Madama Dorè ha perso sei figlie, tra i bar del porto e le sue meraviglie, Madama Dorè sa puzza di gatto, volta la carta e paga il riscatto, paga il riscatto con le borse degli occhi, piene di foto di sogni interrotti…

Le borse di Madama Dorè – di Vanna Bigazzi

A Madama Dorè sono state rapite sei figlie, la frequentazione del Porto è responsabile della loro perdita… e pensare che Madama Dorè, voleva maritarne almeno una con un Conte od un Marchese:

“Ma quante belle figlie Madama Dorè, ma quante belle figlie…

Me ne dareste una Madama Dorè…?

Che cosa ne vuoi fare…?

La voglio maritare…

A chi la mariterete Madama Dorè, a chi la mariterete…

A un Conte od un Marchese…”.

Questa è un’altra versione, la ricordate? Ma tornando alla nostra Filastrocca: il Porto è anche pieno di meraviglie, non solo di brutte sorprese; si respira l’umanità in tutta la sua vitalità, anche nei contenuti più scabrosi. Nella notte, illuminata da pochi lampioni, si incontrano prostitute e marinai. Qualche osteria ancora aperta, ospita gli ultimi frequentatori ubriachi, dai volti abbrutiti e segnati dal sole. Tutte creature della vita e del dolore… Durante il giorno invece, brillano tinte vigorose, si respira movimento, si sentono scambi e contrattazioni mentre le barche ancorate oscillano sinuose al ritmo indolente delle onde. Madama Dorè vorrebbe pagare il riscatto per riabbracciare le figlie ma non ha i soldi e pensa… pensa cercando qualche espediente. Niente può sollevarla, capisce che non c’è soluzione. La sua mente allora, si allontana nell’evanescenza, tentando di lenire l’affanno, nell’illusione di pagare il riscatto. Paga il riscatto con le borse degli occhi, stanchi, gonfi, segnati: in quelle livide sacche sfiancate riaffiorano tutti i ricordi, come foto antiche, sogni, tanti sogni interrotti…