La scoperta dei fiori

Incontro – di Gabriella Crisafulli

foto di Carmela De Pilla, Patrizia Fusi e Lucia Bettoni

Il viaggio era stato lungo e fumoso con la locomotiva che per tutto il percorso aveva sbuffato una nuvola nera dalla ciminiera.

La zia abitava davvero lontano.

In quel viaggio dei suoi dieci anni scoprì molte cose, che lei, chiusa in una caserma, non aveva mai visto.

La casa dove la zia viveva con la famiglia era molto diversa dalle abitazioni conosciute fino ad allora. Non era un appartamento, non era una villa, non era un edificio imponente e massiccio come una caserma.

Era un fabbricato inserito in una serie di residenze unifamiliari a schiera affacciate sul lungomare dove al pianterreno si trovavano soggiorno e cucina mentre al primo piano erano disposte le camere da letto e i servizi. Ma la cosa più sorprendente per lei fu rendersi conto che una casa poteva avere un giardino. Infatti sul retro ce n’era uno, grande, disordinato, affollato, fitto di alberi e di aiuole.

Fu allora che scoprì l’esistenza dei fiori.

C’erano dalie, zinie, gerbere, gigli, … e, arrampicati in fondo, contro la collina, buganvillea e gelsomino.

Per lei che veniva dalla fatica del ritrovamento di timide primule e delicati mughetti nascosti nelle pieghe del terreno, da rintracciare con impegno nelle rare passeggiate e anche dalle trionfanti ortensie coltivate in residenze signorili, tutti fiori privi di odore e dai colori tenui, vedere quell’esplosioni di tinte forti e di profumi intensi significò capire che quello era un altro mondo.

Ci sarebbe ritornata in quel mondo una decina d’anni dopo.

In un mondo dove i fiori, gli animali e le persone si curano e si crescono per quelli che sono, in un dialogo fatto di rispetto, di amore e di cura che mantiene vivi.

Ci sarebbe rimasta a lungo.

Ma adesso era davvero troppo doloroso ricordare.

foto di Nadia Peruzzi

«C’è un salice che cresce storto sul ruscello e specchia le sue foglie canute nella vitrea corrente; laggiù lei intrecciava ghirlande fantastiche di ranuncoli, di ortiche, di margherite, e lunghi fiori color porpora cui i pastori sboccati danno un nome più indecente, ma che le nostre illibate fanciulle chiamano dita di morto.
Lì, sui rami pendenti mentre s’arrampicava per appendere le sue coroncine, un ramoscello maligno si spezzò, e giù caddero i suoi verdi trofei e lei stessa nel piangente ruscello.
Le sue vesti si gonfiarono, e come una sirena per un poco la sorressero, mentre cantava brani di canzoni antiche, come una ignara del suo stesso rischio, o come una creatura nata e formata per quell’elemento. Ma non poté durare a lungo, finché le sue vesti, pesanti dal loro imbeversi, trassero la povera infelice dalle sue melodie alla morte fangosa.»
(Amleto, Atto IV, scena VII)
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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

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