La filastrocca

Da Volta la carta ……

La filastrocca – di Gigliola Franceschini

C’era una volta la filastrocca.  Chi ha avuto la fortuna di crescere in una famiglia dove i nonni  erano i pilastri, sedevano a capotavola e venivano ascoltati come fonte  di saggia esperienza, avra’ ungrosso bagaglio di racconti, di proverbi a iosa e infine di tante fantasiose  filastrocche. I miei nonni  erano un’antologia vivente, dall’alto della loro scarsa istruzione, insegnavano a noi ragazzi le risposte ai vari eventi della vita, narravano storie antiche piene di valori intramontabili, recitavano lunghe tiritere  che accompagnavano i lavori di tutti i giorni. Mia nonna aveva una filastrocca per ogni cosa.  Anche quando andavamo nel pollaio a raccogliere le uova, faceva parlare la gallina che aveva appena deposto il suo dono “coccode’ coccode’ ecco un cocco pronto per te”  e le piccole mani avide raccoglievano l’uovo ancora caldo  e lo riponevano nel cestino come un trofeo. Accompagnava il movimento delle mani  che impastavano il pane, con la storia della Teresina che dormiva la mattina e cosi’ per tutto c’era una storia e un canto che facevano compagnia al lavoro importante  della.preparazione delle pagnotte . Vecchie storielle che hanno attraversato il tempo senza perdere di significato. Non ci si deve meravigliare se scrittori  e musicisti si sono ispirati  a quelle filastrocche un po’ bislacche ed hanno scritto dei testi che sono vere poesie musicali. I proverbi, le filastrocche, ruvide radici della nostra  cultura ,scritte a voce e  piene di errori grammaticali, sempre semi importanti che hanno permesso di sviluppare pensieri piu’ complessi. Filastrocche antiche, una lunga galleria di piccoli quadri dipinti con le parole.

La Donnina che semina

Da Volta la carta: “C’è una donna che semina il grano, volta la carta si vede il villano…..”

LA DONNINA CHE SEMINA IL GRANO – di Anna Meli

            Ogni bimbo fortunato ha udito dai nonni o dai maestri questa piacevole tiritera. A me la raccontava il mio babbo. Tornando da lavoro con la sua moto, mi trovava lì ad attenderlo: mi prendeva fra le braccia, mi faceva volare in aria e mi diceva” Ecco la mia donnina che semina il grano” ed io ridevo felice.

            Non era un caso quel nomignolo perché avevo visto Pietro che nel suo campo seminava il grano tuffando dal suo grembiule grandi manciate di semi e li spandeva con un gesto largo ed aperto offrendoli al sole e alla terra come un dono prezioso. Amavo ripetere quel gesto tenendomi la gonna e ballando.

            Il babbo mi aveva chiesto se mi piaceva così tanto ballare e io avevo risposto” Sì, ma io veramente semino il grano”. Era stata l’occasione per lui di raccontarmi per tante, tante volte la filastrocca che io gradivo in modo particolare, e cercavo un significato che mi sfuggiva trovando però pacificante il suo cantilenare.

            Da nonna ho ripetuto tante volte la filastrocca ai miei nipoti come se fosse una ninna-nanna; loro si addormentavano tranquilli e amavo credere che dietro quelle lunghe ciglia ogni parola prendesse forma e raccontasse una storia diversa.

            Il testo scritto da De André e un po’ diverso da quello tradizionale ma mantiene quel “ gira la carta “ che interrompe e nello stesso tempo collega scene differenti….

            C’è Angiolina che si è innamorata del carabiniere e indossa le sue scarpette blu per essere più veloce nel raggiungerlo, ma presto lui svanisce in un giro di carta. C’è, lungo la strada, un ragazzo che sale un cancello per rubare ciliege e tira sassate; ancora gira la carta e appare il fante di cuori (sarà il carabiniere di Angiolina), che poi è un fuoco di paglia (destinato a durare poco): gira la carta e un gallo canta, forse un modo per riportare alla realtà, svegliare da un sogno.

            Le carte si susseguono, cambiano, spariscono come i giorni, le stagioni , le situazioni. Hanno immagini diverse a volte scollegate fra loro, ma fanno parte di uno stesso mazzo necessario per giocare alla vita.