Il Pilota

da Volta la carta: “Volta la carta c’è un pilota biondo, pilota biondo camicie di seta, cappello di volpe sorriso d’atleta…”

Il Pilota – di Simone Bellini

disegno di Simone Bellini

Salve donzelle, son biondo, son bello, sulla testa da aviator ho il cappello, il fascino della divisa sfoggio ognor. Sorriso ammaliante, sguardo d’amor , vi amo tutte, ma Angiolina non mi si fila per niente! Questo è uno smacco che non posso sopportare, tutte ai miei piè devono cascare. Angiolina non fare la sciocca, fammi baciare la tua leggiadra bocca, ma ella sfugge ai miei sguardi ammalianti, mentre la saluto con i miei guanti bianchi. Il mio charme è al massimo del fulgore, ma tu mi annienti e mi abbandoni al mio dolore !

Il grembiule

Dalle nostre pubblicazioni del 2016

Il grembiule di nonna – di Tina Conti

Nella tasca a mezzaluna del grembiule, grande e profonda, finivano dimenticati granelli di vita, segni del tempo e delle stagioni. Sul fondo, mischiati a terra e laniccio, c’erano due noccioli di ciliegia, le ultime rimaste a primavera e assaporate a occhi chiusi. C’erano anche semi di grano, vecce e granturco, resti del becchime dei polli rimasti impigliati fra le dita alla ricerca della pezzola.

Ormai sbriciolate e risecchite due foglie di salvia e alloro ricordavano l’arrosto di fegatelli e uccellini del Natale passato. Due margherite secche e stecchite erano state un regalo delle nipotine che aveva infilato nella tasca e c’era anche la corteccia della merenda per metterla nel pastone del cane. Dopo la fiera la nonna aveva indossato la nuova vestina, comprata con orgoglio con la sorella e molto di moda. Il grembiule era stato dimenticato sotto una giacca all’attaccapanni. Il cartoccino di semi del basilico erano rimasti nella tasca. Quanto li aveva cercati! Poi si era arresa, aveva accettato quelli dell’Elvira, che, però,  sicuramente non avrebbero dato un basilico bello e profumato come il suo.

Il Grembiule della nonna – di Sandra De Maria

Ero seduta all’ombra del noce; il caldo era opprimente, anche uccelli, farfalle e mosche erano intorpiditi: non si muoveva foglia.

Non avevo voglia né di leggere né di ascoltare musica, per cui, come al solito, in questi frangenti, mi sono immersa nel passato insieme con i miei fantasmi: e in quel momento si affacciò la nonna.

Nonna Angelina era un bel donnino, come dicevano allora, piccola ma tutta proporzionata, dolce e mite, ma, quando doveva sostenere le sue ragioni, non demordeva mai.

Di lei fisicamente mi ricordo, in particolare, lo chignon appuntato con forcine di osso colorate e la gamma dei grembiuli, da quelli di lavoro, quelli bianchi per la sfoglia, e quelli della domenica, quando si metteva a tavola la tovaglia pulita, si mangiava un pasto più ricco e si rimaneva più a lungo seduti a chiacchierare, tranne me, che avevo la smania di correre fuori a giocare.

Nei grembiuli da lavoro portava a casa di tutto: reggendoli per le cocche, metteva sul tavolo di cucina patate o cipolle, o legna per il camino, o noci con ancora il mallo che mi era vietato di toccare, fagioli o piselli da sgranare, pannocchie da arrostire … a seconda della stagione; nelle tasche aveva spesso castagne secche, di cui andavo ghiotta, liquirizia … Quando andava a sedersi in cortile con le altre signore, allora si metteva in tasca l’uncinetto o i ferri per fare la maglia.

I grembiuli della domenica erano più colorati ed erano contornati da una rouche che li rendeva più graziosi; con quelli non trasportava nulla, non mi puliva la faccia , né mi soffiava il naso; erano sempre lindi e ben stirati.

Era buffa la nonna quando usciva con le sue amiche, si toglieva il grembiule, e rimaneva impacciata, perché non sapeva dove mettere le mani.

A volte, quando era seduta vicino al fuoco, mi arrampicavo sulla spalliera della sua sedia, mi mettevo sulla schiena e le disfacevo lo chignon, facendo cadere tutte le forcine per terra.  Mi piaceva immergere le mani nei suoi capelli, che un tempo erano neri, ondulati e morbidi. La nonna fingeva di arrabbiarsi, si alzava, mi prendeva per una mano e con l’altra mi costringeva a raccogliere le forcine e, indicandomele, diceva: “Piegati tu, che io sono vecchia”. Allora mi sentivo in colpa, ma il pentimento mi passava assai presto.

Ho amato molto la mia nonna. Dei personaggi del passato è quella di cui ho il ricordo più vivo, come se l’avessi vista ieri.

La nonna e il grembiule – di Gigliola Franceschini

“Mettiti il grembiale” gridava nonna mentre tentavo di sgattaiolare fuori dalla sua cucina. Ma lei, veloce come una lepre, mi agguantava per una treccia ed io ubbidivo. Mi ero appena levata quello bianco della scuola e bisognava mettersene un altro per coprire il vestitino che non si doveva sciupare. Le sfuggiva il pensiero che di lì a poco sarei cresciuta ancora e il vestito, come i golfini che lei mi confezionava, le gonne e tutto il resto, sarebbero stati troppo stretti e corti. Il grembiule per nonna era un rito. Ne aveva per tutte le occasioni. Uno di fustagno blu, un po’ grossolano come i pantaloni degli operai, le serviva per andare nell’orto e nel pollaio. Nelle due tascone riponeva un po’ di tutto e quando rientrava in casa tirava fuori pomodorini ancora caldi di sole, uova e acini di uva spina. Lo appendeva ad un gancio sulla terrazza mentre quello che adoperava in casa, occupava il 3° posto nell’appendino a destra del lavello che allora si chiamava acquaio, accanto agli asciughini e all’asciugamano per le mani. Quando giudicò che fossi abbastanza grande   per lavorare con lei, mi confezionò  un grembiule bianco lungo lungo, avvicinò uno sgabello alla vecchia madia e mi mise fra le mani la prima palla di pasta per il pane. Quando le pagnotte erano pronte e riposte a lievitare, ci faceva sopra una piccola croce poi le ricopriva coi due grembiuloni candidi e si aspettava. Anche se mi piaceva fare per casa tante cose con lei, detestavo il grembiule ma non sono riuscita mai a farne a meno finché lei è vissuta. Mi meravigliavo  che mamma non lo usasse, questa era una delle cose a cui si era ribellata fin dall’inizio della sua vita in famiglia , ma lei era grande, io potevo solo ubbidire. Nonna teneva un vero rifornimento di grembiuli nel cassettone del ripostiglio; li confezionava a getto continuo con tutte le stoffe che le venivano a portata di mano. Quando ho potuto comandare io e cioè tardi e nella mia casa, ho bandito il grembiule dalle cose  necessarie in cucina. Mi accorgo di avere imparato da mia nonna, oltre tante utili cose, una più preziosa delle altre: ho imparato a ubbidire fidandomi, anche senza capire tutto. Quel pezzo di stoffa  arricciato sulle spalle ha accompagnato la mia infanzia mettendo alla prova il mio carattere che per sua natura, era  molto ribelle. Ho imparato ad ascoltare gli altri ed ad avere pazienza.

IL GREMBIULE DELLA NONNA – di Laura N.

Entrando nella grande cucina, sempre pulita, sempre all’ordine, si notava subito la piccola sedia impagliata vicino alla finestra e il grembiule bianco ripiegato che vi stava sopra con forbicine e occhiali. La nonna Isa i suoi lavori di ricamo li teneva lì ben involtati e quando apriva i lembi del rustico pacchetto  faceva stupire per la bellezza, la fantasia, le precisione di quel che aveva fatto.

Preferiva ricamare di bianco gli smerli e gli sfilati di lenzuola e federe, i centrini di lino e i trafori delle tende, ma quando si cimentava col colore riusciva a trasportare nelle tovaglie di bisso tutti i fiori del giardino, rose, mughetti,  papaveri.

Aveva le “mani d’oro” la nonna Isa, che sempre nonna non era stata  e anzi, a cinquant’anni, quando le nacque la prima nipote,  essendo ancora molto bella, rifiutò quel titolo asserendo che per la strada tutti la scambiavano per la mamma, ma poi, in rapida successione i nipoti divennero quattro e lei si dovette felicemente adattare e divenne nonna Isa. Di lei subivo il fascino: aveva la sicurezza di chi è nato in una affiatata famiglia patriarcale contadina con tanti zii e cugini, di chi ha vissuto una vita naturale nei ritmi delle stagioni e dei lavori nei campi, , nella considerazione che il cibo è una benedizione, senza tuttavia aver  mai sofferto per la fame.

Sapeva tante storie la nonna Isa, tramandate dalle generazioni che l’avevano preceduta: filastrocche, proverbi, novelle, poesiole  in cui si condensavano le esperienze umane, gli amori, le gelosie, le magie, la fame, le astuzie, le lotte per la vita; mi piaceva ascoltarla, le sue parole dispensavano saggezza e ora mi rammarico di non aver scritto niente per fermare il ricordo.

Il ricamo lo aveva imparato da bambina ed era stato per lei un alleato, un amico, un rifugio nelle inevitabili difficoltà dell’esistenza. Nel rincorrersi dei punti, sodo, ombra, erba, catenella, nel ritmo degli intervalli sulla tela, un pieno, un vuoto, un pieno, la sua anima trovava la sua cura. Con l’ago e il filo nelle mani aveva imparato la pazienza, un pacato distacco quando l’emozione era troppo forte, la fiducia che prima o poi le cose si sarebbero aggiustate e  anche la capacità di dire la sua nel modo giusto, al momento giusto.

Anche quando rimase sola trovò consolazione e forza nel  ricamo. Nel farsi del disegno, un punto dietro l’altro, la mente tornava ai giorni belli del passato, superava le piccole gelosie, progettava qualcosa per il domani: un buon pranzetto, una “girata” in macchina, un taglio di lino da “staccare” ai prossimi saldi di Mazzoni. Di più, ricamando lenzuola per i nipoti lasciò aperto un ponte che si attraversava volentieri.

Fu “nonna Isa” per quasi cinquant’anni, perché morì  a novantanove e al di là di qualche scaramuccia e di ciò che dicono i proverbi, ci siamo volute bene pur essendo suocera e nuora.

IL GREMBIULE DELLA NONNA – Maurizio Magistri

Ti ricordi del grembiule di tua Nonna ?

Il primo scopo del grembiule delle Nonna era di proteggere i vestiti sotto, ma, inoltre: serviva da guanto per ritirare la padella bruciante dal forno; era meraviglioso per asciugare le lacrime dei bambini ed, in certe occasioni, per pulire le faccine sporche; dal pollaio, il grembiule serviva a trasportare le uova e, talvolta, i pulcini!; quando i visitatori arrivavano, il grembiule serviva a proteggere i bambini timidi; quando faceva freddo, la Nonna se ne imbacuccava le braccia; questo buon vecchio grembiule faceva da soffietto, agitato sopra il fuoco a legna; era lui che trasportava le patate e la legna secca in cucina; dall’orto, esso serviva da paniere per molti ortaggi dopo che i piselli erano stati raccolti era il turno dei cavoli; a fine stagione, esso era utilizzato per raccogliere le mele cadute dell’albero; quando dei visitatori arrivavano in modo improvviso, era sorprendente vedere la rapidità con cui questo vecchio grembiule poteva dar giù la polvere; all’ora di servire i pasti, la Nonna andava sulla scala ad agitare il suo grembiule e gli uomini nei campi sapevano all’istante che dovevano andare a tavola; la Nonna l’utilizzava anche per posare la torta di mele appena uscita dal forno sul davanzale a raffreddare; ai nostri giorni sua nipote la mette là per scongelarla.

Occorrerà un bel po’ d’anni prima che qualche invenzione o qualche oggetto possa rimpiazzare questo vecchio buon grembiule.

Madama Dorè e il Porto

da Volta la carta: “Madama Dorè ha perso sei figlie, tra i bar del porto e le sue meraviglie, Madama Dorè sa puzza di gatto, volta la carta e paga il riscatto, paga il riscatto con le borse degli occhi, piene di foto di sogni interrotti…

Le borse di Madama Dorè – di Vanna Bigazzi

A Madama Dorè sono state rapite sei figlie, la frequentazione del Porto è responsabile della loro perdita… e pensare che Madama Dorè, voleva maritarne almeno una con un Conte od un Marchese:

“Ma quante belle figlie Madama Dorè, ma quante belle figlie…

Me ne dareste una Madama Dorè…?

Che cosa ne vuoi fare…?

La voglio maritare…

A chi la mariterete Madama Dorè, a chi la mariterete…

A un Conte od un Marchese…”.

Questa è un’altra versione, la ricordate? Ma tornando alla nostra Filastrocca: il Porto è anche pieno di meraviglie, non solo di brutte sorprese; si respira l’umanità in tutta la sua vitalità, anche nei contenuti più scabrosi. Nella notte, illuminata da pochi lampioni, si incontrano prostitute e marinai. Qualche osteria ancora aperta, ospita gli ultimi frequentatori ubriachi, dai volti abbrutiti e segnati dal sole. Tutte creature della vita e del dolore… Durante il giorno invece, brillano tinte vigorose, si respira movimento, si sentono scambi e contrattazioni mentre le barche ancorate oscillano sinuose al ritmo indolente delle onde. Madama Dorè vorrebbe pagare il riscatto per riabbracciare le figlie ma non ha i soldi e pensa… pensa cercando qualche espediente. Niente può sollevarla, capisce che non c’è soluzione. La sua mente allora, si allontana nell’evanescenza, tentando di lenire l’affanno, nell’illusione di pagare il riscatto. Paga il riscatto con le borse degli occhi, stanchi, gonfi, segnati: in quelle livide sacche sfiancate riaffiorano tutti i ricordi, come foto antiche, sogni, tanti sogni interrotti…

Il profumo delle zolle

da Volta la carta: “C’è una donna che semina il grano, volta la carta e si vede il villano, il villano che zappa la terra…..c’è un bambino che sale un cancello ruba ciliegie e piume d’uccello..”

Volta la carta – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

C’è una donna che semina il grano
Il villano che zappa la terra
e un bambino che ruba ciliegie…

Ecco… vedo tutto sento tutto
come allora
Sono piccola piccola
giro intorno a mio padre e mia madre
Mio padre zappa
la terra profuma di terra
Sento il taglio della vanga
Sento il profumo delle zolle
Le zolle perfettamente in fila
disegnano la terra
La mamma sorride e semina
Coccolati come bambini
i semi nel suo grembiule
Sorride e semina sulle zolle appena tagliate
profumate profumate profumate
Il ciliegio è lì
i suoi frutti sono maturi
Sono piccola piccola
Mi arrampico
Sono sopra il ciliegio
Mangio le ciliegie rosse
mature  dolcissime
Decoro le mie orecchie
Che orecchìni meravigliosi sono le ciliegie!
Voglio portare sempre orecchini
rosso ciliegia
Dall’alto del mio albero meraviglioso
la mamma semina e il babbo zappa


Nella foto io e mio padre
Mio padre con l’aratro sta arando la terra…
ricordo che mi faceva sedere in mezzo all’aratro su un cuscino fatto da una balla piegata , insieme si coltrava e io mi sentivo una principessa …

Incontro virtuale – 9 marzo 2021

con Cecilia Trinci

Il tema dei tarocchi si congeda lentamente con quello del “Volta la carta”, canzone di Fabrizio De André ispirata alla filastrocca di Angiolina.

Leggo il testo e ognuno sceglie un’immagine o una parola “guida” alle piccole storie scritte di getto insieme. L’argomento sarà protagonista nei prossimi giorni,intanto queste le figure della nostra Angiolina, disegnate di getto da Tina e da Lucia durante l’incontro:

Angiolina di Tina Conti:

Angiolina di Lucia Bettoni: