Dalle nostre pubblicazioni del 2016
Il grembiule di nonna – di Tina Conti
Nella tasca a mezzaluna del grembiule, grande e profonda, finivano dimenticati granelli di vita, segni del tempo e delle stagioni. Sul fondo, mischiati a terra e laniccio, c’erano due noccioli di ciliegia, le ultime rimaste a primavera e assaporate a occhi chiusi. C’erano anche semi di grano, vecce e granturco, resti del becchime dei polli rimasti impigliati fra le dita alla ricerca della pezzola.
Ormai sbriciolate e risecchite due foglie di salvia e alloro ricordavano l’arrosto di fegatelli e uccellini del Natale passato. Due margherite secche e stecchite erano state un regalo delle nipotine che aveva infilato nella tasca e c’era anche la corteccia della merenda per metterla nel pastone del cane. Dopo la fiera la nonna aveva indossato la nuova vestina, comprata con orgoglio con la sorella e molto di moda. Il grembiule era stato dimenticato sotto una giacca all’attaccapanni. Il cartoccino di semi del basilico erano rimasti nella tasca. Quanto li aveva cercati! Poi si era arresa, aveva accettato quelli dell’Elvira, che, però, sicuramente non avrebbero dato un basilico bello e profumato come il suo.
Il Grembiule della nonna – di Sandra De Maria
Ero seduta all’ombra del noce; il caldo era opprimente, anche uccelli, farfalle e mosche erano intorpiditi: non si muoveva foglia.
Non avevo voglia né di leggere né di ascoltare musica, per cui, come al solito, in questi frangenti, mi sono immersa nel passato insieme con i miei fantasmi: e in quel momento si affacciò la nonna.
Nonna Angelina era un bel donnino, come dicevano allora, piccola ma tutta proporzionata, dolce e mite, ma, quando doveva sostenere le sue ragioni, non demordeva mai.
Di lei fisicamente mi ricordo, in particolare, lo chignon appuntato con forcine di osso colorate e la gamma dei grembiuli, da quelli di lavoro, quelli bianchi per la sfoglia, e quelli della domenica, quando si metteva a tavola la tovaglia pulita, si mangiava un pasto più ricco e si rimaneva più a lungo seduti a chiacchierare, tranne me, che avevo la smania di correre fuori a giocare.
Nei grembiuli da lavoro portava a casa di tutto: reggendoli per le cocche, metteva sul tavolo di cucina patate o cipolle, o legna per il camino, o noci con ancora il mallo che mi era vietato di toccare, fagioli o piselli da sgranare, pannocchie da arrostire … a seconda della stagione; nelle tasche aveva spesso castagne secche, di cui andavo ghiotta, liquirizia … Quando andava a sedersi in cortile con le altre signore, allora si metteva in tasca l’uncinetto o i ferri per fare la maglia.
I grembiuli della domenica erano più colorati ed erano contornati da una rouche che li rendeva più graziosi; con quelli non trasportava nulla, non mi puliva la faccia , né mi soffiava il naso; erano sempre lindi e ben stirati.
Era buffa la nonna quando usciva con le sue amiche, si toglieva il grembiule, e rimaneva impacciata, perché non sapeva dove mettere le mani.
A volte, quando era seduta vicino al fuoco, mi arrampicavo sulla spalliera della sua sedia, mi mettevo sulla schiena e le disfacevo lo chignon, facendo cadere tutte le forcine per terra. Mi piaceva immergere le mani nei suoi capelli, che un tempo erano neri, ondulati e morbidi. La nonna fingeva di arrabbiarsi, si alzava, mi prendeva per una mano e con l’altra mi costringeva a raccogliere le forcine e, indicandomele, diceva: “Piegati tu, che io sono vecchia”. Allora mi sentivo in colpa, ma il pentimento mi passava assai presto.
Ho amato molto la mia nonna. Dei personaggi del passato è quella di cui ho il ricordo più vivo, come se l’avessi vista ieri.
La nonna e il grembiule – di Gigliola Franceschini
“Mettiti il grembiale” gridava nonna mentre tentavo di sgattaiolare fuori dalla sua cucina. Ma lei, veloce come una lepre, mi agguantava per una treccia ed io ubbidivo. Mi ero appena levata quello bianco della scuola e bisognava mettersene un altro per coprire il vestitino che non si doveva sciupare. Le sfuggiva il pensiero che di lì a poco sarei cresciuta ancora e il vestito, come i golfini che lei mi confezionava, le gonne e tutto il resto, sarebbero stati troppo stretti e corti. Il grembiule per nonna era un rito. Ne aveva per tutte le occasioni. Uno di fustagno blu, un po’ grossolano come i pantaloni degli operai, le serviva per andare nell’orto e nel pollaio. Nelle due tascone riponeva un po’ di tutto e quando rientrava in casa tirava fuori pomodorini ancora caldi di sole, uova e acini di uva spina. Lo appendeva ad un gancio sulla terrazza mentre quello che adoperava in casa, occupava il 3° posto nell’appendino a destra del lavello che allora si chiamava acquaio, accanto agli asciughini e all’asciugamano per le mani. Quando giudicò che fossi abbastanza grande per lavorare con lei, mi confezionò un grembiule bianco lungo lungo, avvicinò uno sgabello alla vecchia madia e mi mise fra le mani la prima palla di pasta per il pane. Quando le pagnotte erano pronte e riposte a lievitare, ci faceva sopra una piccola croce poi le ricopriva coi due grembiuloni candidi e si aspettava. Anche se mi piaceva fare per casa tante cose con lei, detestavo il grembiule ma non sono riuscita mai a farne a meno finché lei è vissuta. Mi meravigliavo che mamma non lo usasse, questa era una delle cose a cui si era ribellata fin dall’inizio della sua vita in famiglia , ma lei era grande, io potevo solo ubbidire. Nonna teneva un vero rifornimento di grembiuli nel cassettone del ripostiglio; li confezionava a getto continuo con tutte le stoffe che le venivano a portata di mano. Quando ho potuto comandare io e cioè tardi e nella mia casa, ho bandito il grembiule dalle cose necessarie in cucina. Mi accorgo di avere imparato da mia nonna, oltre tante utili cose, una più preziosa delle altre: ho imparato a ubbidire fidandomi, anche senza capire tutto. Quel pezzo di stoffa arricciato sulle spalle ha accompagnato la mia infanzia mettendo alla prova il mio carattere che per sua natura, era molto ribelle. Ho imparato ad ascoltare gli altri ed ad avere pazienza.
IL GREMBIULE DELLA NONNA – di Laura N.
Entrando nella grande cucina, sempre pulita, sempre all’ordine, si notava subito la piccola sedia impagliata vicino alla finestra e il grembiule bianco ripiegato che vi stava sopra con forbicine e occhiali. La nonna Isa i suoi lavori di ricamo li teneva lì ben involtati e quando apriva i lembi del rustico pacchetto faceva stupire per la bellezza, la fantasia, le precisione di quel che aveva fatto.
Preferiva ricamare di bianco gli smerli e gli sfilati di lenzuola e federe, i centrini di lino e i trafori delle tende, ma quando si cimentava col colore riusciva a trasportare nelle tovaglie di bisso tutti i fiori del giardino, rose, mughetti, papaveri.
Aveva le “mani d’oro” la nonna Isa, che sempre nonna non era stata e anzi, a cinquant’anni, quando le nacque la prima nipote, essendo ancora molto bella, rifiutò quel titolo asserendo che per la strada tutti la scambiavano per la mamma, ma poi, in rapida successione i nipoti divennero quattro e lei si dovette felicemente adattare e divenne nonna Isa. Di lei subivo il fascino: aveva la sicurezza di chi è nato in una affiatata famiglia patriarcale contadina con tanti zii e cugini, di chi ha vissuto una vita naturale nei ritmi delle stagioni e dei lavori nei campi, , nella considerazione che il cibo è una benedizione, senza tuttavia aver mai sofferto per la fame.
Sapeva tante storie la nonna Isa, tramandate dalle generazioni che l’avevano preceduta: filastrocche, proverbi, novelle, poesiole in cui si condensavano le esperienze umane, gli amori, le gelosie, le magie, la fame, le astuzie, le lotte per la vita; mi piaceva ascoltarla, le sue parole dispensavano saggezza e ora mi rammarico di non aver scritto niente per fermare il ricordo.
Il ricamo lo aveva imparato da bambina ed era stato per lei un alleato, un amico, un rifugio nelle inevitabili difficoltà dell’esistenza. Nel rincorrersi dei punti, sodo, ombra, erba, catenella, nel ritmo degli intervalli sulla tela, un pieno, un vuoto, un pieno, la sua anima trovava la sua cura. Con l’ago e il filo nelle mani aveva imparato la pazienza, un pacato distacco quando l’emozione era troppo forte, la fiducia che prima o poi le cose si sarebbero aggiustate e anche la capacità di dire la sua nel modo giusto, al momento giusto.
Anche quando rimase sola trovò consolazione e forza nel ricamo. Nel farsi del disegno, un punto dietro l’altro, la mente tornava ai giorni belli del passato, superava le piccole gelosie, progettava qualcosa per il domani: un buon pranzetto, una “girata” in macchina, un taglio di lino da “staccare” ai prossimi saldi di Mazzoni. Di più, ricamando lenzuola per i nipoti lasciò aperto un ponte che si attraversava volentieri.
Fu “nonna Isa” per quasi cinquant’anni, perché morì a novantanove e al di là di qualche scaramuccia e di ciò che dicono i proverbi, ci siamo volute bene pur essendo suocera e nuora.
IL GREMBIULE DELLA NONNA – Maurizio Magistri
Ti ricordi del grembiule di tua Nonna ?
Il primo scopo del grembiule delle Nonna era di proteggere i vestiti sotto, ma, inoltre: serviva da guanto per ritirare la padella bruciante dal forno; era meraviglioso per asciugare le lacrime dei bambini ed, in certe occasioni, per pulire le faccine sporche; dal pollaio, il grembiule serviva a trasportare le uova e, talvolta, i pulcini!; quando i visitatori arrivavano, il grembiule serviva a proteggere i bambini timidi; quando faceva freddo, la Nonna se ne imbacuccava le braccia; questo buon vecchio grembiule faceva da soffietto, agitato sopra il fuoco a legna; era lui che trasportava le patate e la legna secca in cucina; dall’orto, esso serviva da paniere per molti ortaggi dopo che i piselli erano stati raccolti era il turno dei cavoli; a fine stagione, esso era utilizzato per raccogliere le mele cadute dell’albero; quando dei visitatori arrivavano in modo improvviso, era sorprendente vedere la rapidità con cui questo vecchio grembiule poteva dar giù la polvere; all’ora di servire i pasti, la Nonna andava sulla scala ad agitare il suo grembiule e gli uomini nei campi sapevano all’istante che dovevano andare a tavola; la Nonna l’utilizzava anche per posare la torta di mele appena uscita dal forno sul davanzale a raffreddare; ai nostri giorni sua nipote la mette là per scongelarla.
Occorrerà un bel po’ d’anni prima che qualche invenzione o qualche oggetto possa rimpiazzare questo vecchio buon grembiule.