La pagina dedicata alla trasformazione di poesia in prosa – Sei

Il vuoto bianco – di Vanna Bigazzi

da:

Bianco gelido

Di Carmela De Pilla

Il pallore del tuo volto

si confondeva

con il bianco lenzuolo

che avvolgeva il corpo

e lo proteggeva

dal gelido alito della morte

appena giunta.

La tua anima gentile

ora vaga

nell’immenso.

E io sono piena di te.

Nel chiarore del lenzuolo non distinguo il tuo volto, eppure lo guardo, insistentemente voglio trovarlo ma i miei occhi non sanno vedere: confondono il tuo pallore col candore che avvolge il tuo corpo. Non voglio riconoscerti in queste sembianze dai confini incerti. Giunge un pensiero consolatore, forse sei protetto e il tuo sorriso non può sparire nel bianco del nulla. Così ti vedo, riconosco la tua anima gentile, etereo vaghi nello spazio infinito, parli col mistero, capisco che te ne sei andato lontano. Il vuoto,  solo il vuoto adesso ci circonda, miracolosa impronta di sogno…    Ma io sono piena di te

La pagina dedicata alla trasformazione di poesia in prosa – Cinque

Il viaggio – di Nadia Peruzzi

Itaca / Constantino Kavafis

Quando ti metterai in viaggio per Itaca 
devi augurarti che la strada sia lunga, 
fertile in avventure e in esperienze. 
I Lestrigoni e i Ciclopi 
o la furia di Nettuno non temere, 
non sarà questo il genere di incontri 
se il pensiero resta alto e un sentimento 
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. 
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, 
né nell’irato Nettuno incapperai 
se non li porti dentro 
se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga. 
Che i mattini d’estate siano tanti 
quando nei porti – finalmente e con che gioia – 
toccherai terra tu per la prima volta: 
negli empori fenici indugia e acquista 
madreperle coralli ebano e ambre 
tutta merce fina, anche profumi 
penetranti d’ogni sorta;
più profumi inebrianti che puoi, 
va in molte città egizie 
impara una quantità di cose dai dotti

Sempre devi avere in mente Itaca – 
raggiungerla sia il pensiero costante. 
Soprattutto, non affrettare il viaggio; 
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio 
metta piede sull’isola, tu, ricco 
dei tesori accumulati per strada 
senza aspettarti ricchezze da Itaca. 
Itaca ti ha dato il bel viaggio, 
senza di lei mai ti saresti messo 
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. 
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso 
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.


La nave era alla fonda in attesa di salpare. Di fronte a perdita d’occhio il blu cobalto del mare, dietro le rovine fumanti della città appena conquistata per mezzo dell’inganno di un cavallo di legno.
Opera sua la levata di ingegno che aveva permesso di rompere le ultime difese della città resistente. Sul terreno le spoglie degli eroi,amici e nemici accomunati dalla sorte avversa, erano li a testimoniare dello scontro all’ultimo sangue che aveva visto impegnati per anni eroi leggendari, dei e semidei.
Di Ilio non rimaneva che cenere.
Era ora di tornare a casa.
La tolda della nave appena sopra di lui, la prua orientata in direzione della sua terra, Itaca. Aveva lasciato là sua moglie e suo figlio e non vedeva l’ora di ricongiungersi a loro. Sperava in un mare calmo e si augurava che gli dei che lo avevano sostenuto in battaglia lo accompagnassero benevolenti anche sulla via del ritorno.
Aveva già messo piede sulla scaletta quando un vecchio lo raggiunse.
Sembrava affaticato, si trascinava reggendosi ad un bastone, ma il suo sguardo era saldo, come se le forze che lo stavano abbandonando si fossero concentrate in quegli occhi neri e ben aperti sul mondo circostante.
Il vecchio gli parlò in un soffio. Quello che gli disse lo lasciò turbato e al tempo stesso lo aprì ad altre prospettive.
“Punta diritto alla tua isola ma fai di tutto perché il tuo viaggio non sia breve. Non augurarti che lo sia. Di esperienze ne hai fatte tante, ma non privarti dell’occasione di fare di questo viaggio un’epopea nella quale misurare la tua anima e il tuo intelletto.
Non ti accontentare degli approdi facili, delle colline appena accennate, non temere i venti impetuosi, né la furia delle tempeste. Se guidi la nave con animo saldo, cuore sereno e mente ferma non avrai nulla da temere.
Quando la tempesta si diraderà vedrai terre che mai avresti immaginato di toccare nel tuo peregrinare. Incontrerai popoli che non hai mai pensato di incontrare prima e porterai con te le merci pregiate che producono, cederai ai loro profumi inebrianti , non resisterai al fascino delle madreperle, dell’ebano e al blu profondo del lapislazzulo.
In altre terre ti fermerai solo per il gusto di imparare dai sapienti e per conoscere usi e tradizioni a te sconosciuti.
Fai in modo di avere sempre in mente il tuo obbiettivo, la tua Itaca , ma non affrettarti , godi del lento fluire del tempo senza forzare in alcun modo. Puoi arrivarci anche col pelo canuto, e sarà ancora più bello il ritrovarla ricco dei tesori e delle esperienze accumulate.
Scoprirai man mano che Itaca non è solo la meta , è il viaggio. Il segreto che ti si rivelerà è questo.
Cerca e trova te stesso nel viaggio. Non smettere mai di cercare . Non porti limiti che possano piombare le ali del tuo ingegno o fiaccare la tua volontà. Tieni sempre alti gli obbiettivi. Non abbassare lo sguardo per guardare la polvere. Puntalo sempre in alto verso il cielo, il sole, la luna , le stelle e pensa a montagne sempre più alte da scalare una volta che ne hai già conquistate una.
Non farti fermare dal mito che vuole che oltre le Colonne d’Ercole ci sia un nulla fatto di precipizi, pericoli e mostri. Non c’è barriera che non possa essere superata. Osa anche l’impossibile, solo così potrai dire a te stesso che la tua vita ha avuto senso.
Voltati indietro solo per imparare dagli errori che hai potuto compiere nella prima parte del tuo cammino. Nel percorso che stai per intraprendere non temere di compierne altri, di nuovi. Anche gli errori sono una parte importante sulla via della consapevolezza di sé e della conoscenza del mondo attorno a noi e della sua immensa ricchezza.
La via della conoscenza la troverai più esaltante di qualunque altra impresa tu abbia già compiuto. Talora la scoprirai più ardua e faticosa di qualunque battaglia tu abbia combattuto fino ad ora. La storia che ti ha portato su questi lidi ti ha indotto ad usare l’inganno per una conquista che dietro di sé ha lasciato cenere e lutti.
Se gli dei saranno benevolenti , il nuovo percorso ti sarà più propizio. Costruirai più che distruggere. Metterai insieme un mosaico di pezzi talora minuti e scoprirai giorno dopo giorno che ogni cosa conta, ogni cosa serve nella ricerca infinita di dare un senso alla vita.
Che la curiosità e la voglia di conoscere il mondo degli uomini, delle loro opere e della natura non ti abbandonino mai è l’augurio che ti faccio.
Non temere, ritroverai la tua Itaca. Resta sempre lì ad aspettarti. È un puntino in mezzo al mare che è parte di te da sempre , le tue origini sono lì , a lei devi quello che sei stato e quello che sarai.
Qualunque cosa dovessi trovare al tuo ritorno non potrà mai deluderti. Anzi è sicuro che potrai comprenderne ancora meglio tutta la sua ricchezza e il suo significato .
Ragazzo punta al largo. Gli dei ti siano accanto nel lungo viaggio.
Nel viaggio, man mano, capirai le parole di questo vecchio sdentato che ha più vita dietro le spalle che davanti. Non cedere, ce la puoi fare. Continua il cammino, fallo anche per me.

Bianco sapone

Bianco sapone – di Tina Conti

Foto di Iin Wibisono da Pixabay

Certo la modernità ci fa vivere con più leggerezza e praticità la vita.

Non potremmo immaginare oggi azioni e pratiche che si facevano un tempo

Come cucinare con il fornello a carbonella, fare il bucato con la cenere, scaldare la casa con stufe e camini, prendere l’acqua alla fontana.

Io pero’ non riesco a fare a meno del vecchio pezzo di sapone  da bucato, con cui stropicciare, insaponare  oggetti e capi di vestiario .

Amo quello di Marsiglia  per il profumo e le sensazioni sulle mani, per quella schiuma bianca con la quale ho tanto giocato da bambina che piace ancora ai piccoli per quella  nuvola che scivola via, cambia consistenza, cresce, si modifica, sparisce. Incantati dai giochi, persi nella magia delle emozioni vedono la schiuma colare fra le piccole dita, spalmarsi  sulla pelle.

  Provano a raccoglierla nei palmi, appoggiarla sulle superfici  per poi essere cancellata  da spruzzi  di acqua.., la voglia di assaggiarla o leccarla si blocca ai primi tentativi, ma tutti prima o poi ci provano.

Soppiantato  ormai dal sapone liquido, molto più pratico che non  si appiccica e secca, ormai il vecchio pezzo di sapone  viene usato sempre meno.

Ma quanto è prezioso per un piccolo bucato delicato, per togliere  patacche di unto e di grasso, per fare un lavaggio poco aggressivo per la pelle.

E le storie che sono state inventate; come quella della povera bambina che lo faceva scivolare nel fiume per error, si ritrovava per la sua gentilezza colma di doni nella casa dei gatti e a differenza della sorella dispettosa, tornava a casa con una bella stella sulla fronte vestita come una regina.?

Insomma, il sapone da bucato ha animato la nostra vita, di  bambini e di adulti e come tutte le cose magiche, continuerà a emozionare anche quando sara’ un oggetto da museo o relegato in una scatola gioco?

Giallo audacia

Il giallo è un colore ardito, forse difficile da indossare, legato al sole e al caldo, ma anche all’acidità del limone. Un bel giallo solare rincuora.

foto di Carmela De Pilla

Il giallo del pulcino. Il becco giallo del merlo.

“Il giallo è una vibrazione molto favorevole per l’attività mentale o intellettuale, in quanto promuove un chiaro stato d’animo. Il giallo aumenta la consapevolezza e allevia la depressione, la tristezza, o qualsiasi tipo di sconforto”. (Tae Yun Kim).

“Il giallo è il colore più prossimo alla luce“. (Goethe)

Eppure…...

Il giallo delle rose è gelosia nel linguaggio dei fiori…. e guai a sbagliare il colore di un mazzo donato.

Foto di Daniele Violi

Giallo nell’ignobile marchio della stella ebraica, che a Rossella non piace (non regalatele niente di giallo!)

Le pagine o le stoffe ingiallite dal tempo.

I capelli sono biondi ma non gialli o ingialliti, altrimenti una bella immagine acquista un tono dispregiativo.

Gli occhi gialli di un gatto nero inquietano.

“Non superate la linea gialla“!!!! Oppure il cartellino giallo dell’arbitro

Il giallo del semaforo è attenzione!

Giallo può indicare malattia.

E il libro giallo!!! Un tipo specifico di letteratura……….

Foto di Peggy Choucair da Pixabay

La pagina dedicata alla trasformazione di poesia in prosa – Quattro

Non pensare a niente – di Stefania Bonanni

Foto di Ralf Kunze da Pixabay

Non sto pensando a niente. – F. Pessoa.

Non sto pensando a niente,

e questa cosa centrale, che a sua volta non è niente,

mi è gradita come l’aria notturna,

fresca in confronto all’estate calda del giorno.

Che bello, non sto pensando a niente!

Non pensare a niente

è avere l’anima propria e intera.

Non pensare a niente

è vivere intimamente il flusso e il riflusso della vita…

Non sto pensando a niente.

È come se fossi appoggiata male.

Un dolore nella schiena o sul fianco,

un sapore amaro nella bocca della mia anima:

perché,  in fin dei conti,

non sto pensando a niente,

ma proprio a niente,

a niente…

Di nuovo nel tubo bianco, coperta di bianco. Questa volta in silenzio,  Questa volta piu’ a lungo. Come un pulcino nel guscio, scaccio l’ansia di uscire. E provo lo spazio. Fuori di me,  Non ce n’è.  Sono stretta, per essere immobile. Cerco spazio di dentro: tra i denti e la gola,  tra i bronchi ed i polmoni. Senza prova: i sospiri profondi vietati. Alla bocca dello stomaco, dove mi inghiotto a pezzetti. Non è questa la strada. Questa volta è più  a lungo, ho bisogno di spazio,  di dentro. I pensieri si inseguono, si attorcigliano, diventano nodi. Nascono bianchi ma presto si incurvano, a chiedere,  si intrecciano, diventano scuri. Li giro su rocchetti di filo. Filo bianco, da imbastire. Quello che dà punti che basta allentare,  perché la trama sparisca. Lascio i rocchetti rotolare per terra. Si srotolano veloci, sembrano piccole serpi bianche,  sul pavimento bianco. Allora penso a palloncini bianchi.  Senza messggi all’interno. Li lascio  gonfiare, poi, quando sembrano nuvole, li guardo staccarsi, volare nel loro, di cieli. E mi svuoto. Svuoto la testa di idee, gli occhi di mondo, la gola di parole,  le labbra di baci, i polmoni di respiri, il cuore di battiti, le mani di carezze, le braccia di strette, le gambe di passi,  i piedi di terra. Ora c’è posto per non pensare a nulla. Ora c’è posto per cominciare di nuovo a riempire.

E mi viene incontro Pessoa. Un pensiero brillante di luce del mattino. Un mattino colorato di riflesso di sabbia lontana, in un’aria frizzante e saporita, per le strade di Lisbona. Davanti ad un locale, seduti ad un tavolino all’aperto, dove anche lui è seduto, da tanto tempo e per sempre.Come un’ancora, appena ho potuto, ho cercato le sue poesie,  e l’ho trovata, l’ho trovato, mi sono trovata.

La pagina dedicata alla trasformazione della poesia in prosa – Tre

La selva oscura – di Luca Di Volo

Da Dante Alighieri:

Nel mezzo del cammin di nostra vita

Mi ritrovai per una selva oscura

Chè la diritta via era smarrita

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

Esta selva selvaggia aspra e forte

Che nel pensier rinnova la paura

Come ho fatto a trovarmi qui?! Davanti al labirinto che mi annienta di paura..Circondato da un bosco selvaggio..lucidamente e assurdamente  consapevole che tutto questo nero mondo mi appare, reale e ferino, solo guardandomi dentro..Ma il labirinto è qui..proprio davanti..ed esige una scelta .. io non posso restare in mezzo..come la mia vita..col tempo che scorre e non fa sconti..

Tutte le sicurezze ..tutte le verità su cui riposavo..sono sparite ,dissolte..,questo mostruoso labirinto me le divorate tutte..

I miei simili…belve mostruose..e io sono anche loro..

Ma solo in fondo si riflette una figura di luce..mi dà le spalle..non la scorgo…e so che è la speranza..voltati figura bella..mostrati alla mia disperazione..mi avvicino.ma non si volta..come potrò riconoscerla…come potrò?! Mi sembra sorda ad ogni appello..si mantiene sdegnosa..e non mi sente..Al colmo del disperare..mi arrendo al buio..

Un sussurro..un fremito nelle brumose foglie del bosco..con le mani adunche afferro straziato la speranza..che ora si volta..lentamente…ed io attendo..attendo…e finalmente la vedo…è il mio ritratto..

La pagina dedicata alla trasformazione delle poesie in prosa – Due

Le foglie – di Simone Bellini

Foto di Briam Cute da Pixabay

tratta da:

SOLDATI   

di Giuseppe Ungaretti

Si sta come

D’autunno

Sugli alberi

Le foglie.

Raccoglimi e deponimi fra le pallide pagine di un libro. E quando, nel togliere la polvere del tempo, mi vedrai scivolare cadendo, raccattami insieme ai tuoi ricordi in bilico sui rami della vita.

La pagina dedicata alla trasformazione di poesie in prosa – UNO

La nostra “prima figlia di una poesia” è quella scritta da Rossella Gallori che in questo periodo sente il clima del “Giorno della Memoria” che spande il suo effetto potente su questi giorni, prima e dopo il 27 gennaio.

La poesia è infatti di Primo Levi dal titolo Shemà, una parola che in ebraico vuol dire ascolta. E’ stata pubblicata nel 1947 ma è datata 10 gennaio 1946, quindi poco meno di un anno dopo la liberazione da Auschwitz il 27 gennaio 1945.

Poesia di Primo Levi
Se questo è un uomo

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo,
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi:
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

***

 Questa che segue è la trasposizione di Rossella Gallori:

Se questo è un uomo, diventa una lettera che non ho mai ricevuto, una lettera che non è mai stata scritta, sarà che questo 27 gennaio incombe, sarà che piove, sarà che non l’ ho conosciuto, sarà che morendo giovane è rimasto bello come nella foto, io non lo vedevo tanto  “ giudeo” nelle foto, era mio nonno,  so di lui quello che mi raccontava mia madre omettendo la fine, uno belloccio, piacione “lihornese” nelle barbe , ironico, permaloso, uno che aveva fatto fino alla terza elementare e da apprendista orologiaio era diventato abile venditore di stoffe….sangue mio direbbe una mia amica, un sangue che non è diventato vecchio, un gruppo sanguigno, volato chi sa dove, mescolato a quello di politici, rom, omosessuali,  in un unico ultimo respiro, nudi dentro fuori…come si dovrebbe arrivare di fronte a un Dio, senza sofferenza, non per mano maledette, non per stupro, per razza…un uomo che è diventato un numero che non conosco, poco importa era mio nonno…

“Carissima, nipotina adorata

Anche stamani ti sei alzata presto, hai dormito male lo so, deh, sono arrabbiato un po’ con la tu mamma che ti ha sempre obbligata a veder documentari, film, su di noi, ma la mi figliola grande è sempre stata dura come le pine, con contento però, che per testardaggine sia diventata mamma presto ho fatto in tempo a vedere i bimbi, se non partivo ne vedevo tre, te no, eri sulla luna…sei nata l’ anno in cui hanno capito 7 anni dopo dove ero finito.

Qui fa tanto freddo, c’ è silenzio, ogni tanto, ogni sempre,  un cane abbaia, una smitragliata  , a volte da ritmo al nulla, sono contento di sapere che la tua casa sia ben riscaldata, che tu abbia la pentola “su i foco” che tu abbia amici sinceri *cibo caldo e visi amici*

Il viaggio è stato lungo, interminabile, sono arrivato stremato, affamato *Che lotta per un pezzo di pane*  ci hanno preso in  quattro , tutti un po’ parenti, ebrei poco convinti, le camice nere un son servite…appena sceso dal treno mi Han detto che qui * si muore per un si o per un no* sai che fo appena mi tolgo un po’ di fame ed un po’ di fango, glielo dico alla  kapò, che se mi rendon gli occhiali, so far l’ orologiaio, anche se ultimamente per seguir la tu nonna vendevo cenci…

A proposito oggi ho incrociato la Miriam non la riconoscevo, m ha chiamato: sor Ugo son la Miry di Castiglioncello *considerate se questa è una donna senza capelli, senza nome, senza più forza di ricordare* ma il mio nome lo ricordava mi ha quasi sorriso, come è ridotta, certo io non mi vedo ma un posso mica esser così, deh.

Non so mica come va a finire questa storia, me lo diceva ieri il 2779, che aveva un nome, ed ora è un numero, parecchi, gli mandan nelle camere, io non ho nemmen 50 anni, posso esser ancora utile, domani cerco un capo che capisca l’ italiano, se non c’ è gente in giro, un vorrei passar da ruffiano, glielo dico: ho un rene solo, un difetto di produzione, di famiglia, non da ebreo, normalmente ne abbiam due, come tutti. Magari lavori pesanti non  ne posso fare, ma qualche cu cù ve lo posso riparare,  per un boccon di cibo in più * che lotta per un pezzo di pane*

Ecco Rossellina, ma un ti dovevan chiamar Giordana? il tu babbo lo diceva sempre: sor Ugo, se è femmina la chiamo Giordana, ma la tu mamma dura, giù maschi!

Stamani ho parlato con Diemuth, non so se ha capito, ha detto solo, ya, che non so nemmen come si scrive, sorrideva nel dirmi in un italiano brutto brutto:  troveremo una soluzione!!

Mi ha anche suggerito di lavarmi bene, nell’acqua gelida mi son sentito come *una rana d’ inverno* ho gambe e braccia così magre Rossellina, ma oggi pomeriggio dopo il pasto, che rifiuto e do a Raoul, che sta peggio di me, vado là in fondo al campo, mi metto in coda, deh, un ci vorranno mica ammazzar tutti.

Anche se stanotte ho sentito bimbi piangere poi silenzio, un silenzio che mi son tappato le orecchie, per non sentirlo, ho chiuso gli occhi, per sognà  le mi bimbe, la tu mamma è grande, ma la Franchina ha 14 anni, l’ ho nascosta bene, spero….

* vuoti gli occhi*

Sono in coda, c’ è la neve e son senza scarpe, parlan di rifar la doccia,  mi scalda un fumo denso che sa, sa, di affumicato, non è gradevole, ma qui fa meno freddo, ho salutato i compagni lì a baracca dopo a dopo a dopo, ho detto pensando a tutti voi *voi che vivete sicuri*

In fila con me donne e bimbi, comincio, un po’ troppo tardi a capire, so che tu sei, nipotina mia,  come me credi a tutto e poi ci piangi, io non piango e chi ce le ha più le lacrime. …piangere poi perché…chi muore presto vive in eterno….ciao mi spiace, te lo ridico, di non averti conosciuta, da bimba, deh dovevi esser un articolo (per i livornesi  simpatica)

Mi spoglio, respiro, e torno nel fumo ad essere un uomo, da morto abbandono il mio maledetto numero, il gas cancella i tatuaggi….Non dimenticate, vi prego non per me, non scordare uno che è stato ucciso senza un apparente motivo,  non dimenticare, tuo nonno Rosselina, non dimenticare quel che è stato, non ascoltare chi dice che non è vero, io c’ ero,  per tutti i morti di tutte le persecuzioni…ti abbraccio Ugo, nonno Ugo”

  • Vi comando queste parole, scolpitele nel vostro cuore, stando in casa andando per via…..ripetetele ai vostri figli*

PS: Dedicata a chi non è tornato, a mio nonno Ugo Cassuto   e a Primo Levi…..se questo è un uomo….

Bianco abbraccio

Bianco – di Maura Corazzi

Foto di Free-Photos da Pixabay

Un abito da sposa bianco, una rosa bianca dal giardino della casa dai mille ricordi.   Ora guardo un soffitto bianco,  non ho  dame e cavalieri che mi girano intorno, non ci sono rose bianche, ma tante divise bianche, garze bianche e ogni mattina alle 8. 00 entrano loro, con tono deciso, guardando male le colleghe.

Sono le lenzuola che vengono cambiate, che mi avvolgono ogni minuto della giornata è difficile farci amicizia perché ogni mattina se ne vanno.

Sono circondata da questo colore: bianco.

Ora lo grido, il bianco i miei occhi faticano molto a vederlo!

Ma la mente ripensa a quella camicetta bianca che indossavo per uscire con lui; penso e sogno la panna montata  in un bel gelato.

 Il bianco, prima gioia e ora dolore.

Ma quando quelle garze bianche vengono usate con cura su di me   il bianco prende colore vero, un bianco magico !

In me il bianco   non  riesce a trovare una collocazione, si sposta dal cassetto della gioia e dal cassetto del dolore forse il bianco è proprio questo:   tutto e niente.

Sono troppi anni che mi circonda  e ha perso la sua leggerezza!

Vestito bianco di fiori

Un vestito bianco di fiori – di Lucia Bettoni

foto di Lucia Bettoni

Avete mai indossato un vestito di fiori bianchi?
Io l’ho indossato.
Aspettavo la primavera, quando fiorisce la vitalba: lunghi tralci flessibili e resistenti coperti da fiorellini bianchi come piccole stelle.
Staccavo dalle siepi questo rampicante stellato e profumato e mi “cucivo addosso”il mio vestito di fiori.
Con il tralcio più forte mi cingevo la vita e a questa cintura fiorita appendevo altri tralci che scendevano a terra.
Il mio era sempre un vestito lungo.
La vestizione era completa quando indossavo la corona fatta con il tralcio più bello,quello più ricco di fiori.
Non ho un ricordo più dolce, non ho un ricordo più leggero.
Vestita di fiori io potevo volare.
Un lieve sorriso sulle labbra, la consapevolezza di essere una parte del tutto e il desiderio gioioso di ringraziare.

L’Assoluto Bianco

 L’ ASSOLUTO – di Simone Bellini

Foto di pasja1000 da Pixabay

Il silenzio; era l’unica cosa che lo faceva star bene !

L’unico posto intimo che lo isolava da tutto e da tutti, anche da se stesso.

Un’assenza profonda, immerso nel nulla, nella pace pura di uno spazio bianco accecante.

Quando arrivò al centro di quella energia capì che non avrebbe mai più parlato, non ce ne era bisogno, perché faceva parte del tutto ed il tutto era radicato in lui, fuso con gli atomi dell’universo.

Autismo ! Sentenziarono i dottoroni, insigni scienziati che non capirono la profondità di quell’astrazione, attiva nella sua immobilità.

Ma questo non lo tangeva, era felice in questa sua condizione. Era connesso con il mondo più di chiunque altro.

Lo capiva Toby, il suo cane, che accovacciato ai suoi piedi dialogava con lui con lo sguardo, proteggendolo da ogni negatività del mondo esterno che si adoprava in ogni maniera, con ogni tentativo per riportarlo nella falsità della realtà quotidiana.

L’insistenza, seppur amorevole, di riportarlo a quello stadio ( per lui ) primordiale era inutile.

 Era troppo avanti !

 Il suo sapere sconfinava dalla logica terrena.

La sua mente era energia pura, totale, immensa.

Toby questo lo aveva capito e con tristezza lo sentiva allontanarsi ogni giorno di più.

Non era una persona, era un’entità !

Fu quando le vibrazioni, come un terremoto, scossero le sue cellule disintegrandosi, inondando il creato, che Toby lo salutò con un ultimo lacerante latrato.

Quando spalancarono la porta della stanza, non era rimasto altro che un grande bianco abbagliante !

Un attimo dopo tutti i cellulari del mondo squillarono all’unisono !

Era nato l’assoluto !

Bianco luna

Bianca luna – di Anna Meli

Bianca luna

Falce di luna bianca nella notte buia.

Gelida luce, non scalda, rischiara soltanto.

Dà forma alle cose, a ricordi lontani persi

nel tempo; tempo passato,

fatto di pagine bianche dipinte di vari colori;

leggeri o forti, vividi o smorti, tristi o felici.

E ancora, le pagine bianche del tempo a venire

da scrivere e colorare…

Passa veloce una nube fugace.

La luna si copre e per un attimo traspare

dietro una leggera, bianca tela di ragno,

e si veste di un velo da sposa.

Bianco depressione

Le melanzane aliene – di Gabriella Crisafulli

foto di Gabriella Crisafulli

  • Dai, cosa fai lì nascosta sotto le coperte?
  • Oh, lascia fare, non mi voglio svegliare
  • Su, vieni fuori di lì
  • No, non posso, ci sono i sogni, le angosce e la depressione che mi tengono legata
  • Ma qua sei sola, fuori c’è il mondo fatto di persone depresse e angosciate come te che girano intorno, mascherate, ma vive: tu, in quel letto, sei morta

Esci, vai fuori, guardati intorno …

  • E i sogni? La consapevolezza?
  • Lasciali nel cassetto: la vita batte alla porta
  • Ma mi rivelano tutto quello che avevo sotterrato, che non volevo affrontare
  • Va bene, portateli dietro, fai la cometa dalla lunga coda, ma esci: fuori qualcuno ti chiama

E qualcuno ho trovato: una bella signora che davanti al mio stupore per delle strane melanzane che non avevo mai visto prima mi ha detto che erano ottime e che lei le cucinava con aglio e pomodorini.

A proposito di Amore ambiguo

“Sangue mio” – di Gabriella Crisafulli

Si sono mescolate le pedine

nell’alfabeto dell’amore

Le mosse

degli affetti

segnano a fuoco

le tappe

della dipendenza

Il marchio

“Sangue mio”

genera automi

viscerali

di fedeltà assoluta

Un coltello

ha tagliato a fondo

là dove il legame

sa di tenerezza, di compassione

di empatia

Guai a chi si allontana

dalla strada segnata:

è un infame

che tra equivoci e fraintendimenti

si sente colpevole

“Sangue mio”

è una passione

ambigua

di amore malato:

amare da morire

“Sangue mio”

a poco a poco

spegne e divora

Chi riparte

procede a tentoni

Fra mille dubbi

c’è da dire addio

a un porto

di affetti

per andare verso l’ignoto

Pesano

fragilità

e incoerenze,

seduzioni

e ammiccamenti malati

Non c’è più spazio

per lo struzzo

che nasconde

la testa

nella sabbia

Adesso basta:

m’innamoro di me

I tasti bianchi delle parole

Spartito di parole – di Stefania Bonanni

Poi c’e il bianco che dà senso al nero, quello che da’ aria alle parole,  le fa respirare e cantare, quando il rigo scritto è riempito solo in parte, quando una virgola fa tirare il fiato e le parole tornano nel rigo di sotto, dove a volte il margine rientra, come per farsi desiderare,  lasciando capire che ci si può mettere l’accento, nella lettura, che vale la pena farci un po’ più attenzione.

Quelle righe diventano spartiti, le parole note, il bianco ed il nero come tasti di un pianoforte, suonano parole ritmate dagli spazi lasciati in bianco, componendo melodie che nascono da penne speciali, ma ci accompagnano per effetto di quegli spazi bianchi. Così, sempre e per sempre, sapremo che “passata è la tempesta”, anche se forse non sempre sentiremo “uccelli far festa”.

Il bianco dei marmi di Firenze

L’odore degli scampoli – di Lorenzo Salsi

Foto di andbalboni da Pixabay

Ogni tanto con la mamma si partiva, magari quando non c’era scuola o più spesso nel periodo in cui andavo all’asilo e si andava a comprar scampoli di stoffa per farci camice, alla famiglia, ai parenti ed amici nonché ai clienti abituali che si fidavano ciecamente dei gusti classici della mamma .

Il tragitto era sempre il medesimo: Via Datini fermata dell’autobus 23 fino a Piazza del Duomo o a Via Panzani, secondo le giornate . La fermata di via Panzani era la più vicina perchè il negozio di scampoli e stoffe era proprio sull’angolo opposto in Via de’ Pecori nel palazzo dell’Arcivescovado di fronte al Battistero che con le sue belle porte in bronzo mi affascinava sempre.

Il negozio si chiamava semplicemente “Bianzino”.

Dunque due opzioni per scendere dal tram, in effetti avevano il suo perchè: se si scendeva alla fermata d’angolo con Via Ricasoli si attraversava Piazza S. Giovanni in diagonale e si arrivava da “Bianzino” in un attimo ma era un po’ più lunga e non molto interessante; se la discesa era in Via Panzani il tragitto prevedeva un mirabile passaggio davanti alla pasticceria Scudieri, una delle migliori della città dove alla mamma e al figlio veniva un principio di soffocamento per eccesso di saliva prodotta dalla visione delle vetrine di Scudieri che erano piene di piramidi di cioccolato, caramelle, pasticcini e quanto di più goloso si potesse pensare.

La mamma era un’ infaticabile divoratrice di tutto ciò che poteva contenere zucchero, seguiva le 2 o 3, ma forse erano di più, vetrine della pasticceria con crescente cupidigia facendo finta di niente, poi con non chalance, mi chiedeva se avevo sete o se per caso mi fosse venuta un po’ di fame; domande cariche di aspettative che attendevano con speranza una mia risposta affermativa, la quale non tardava, ferma e sicura, perché come dice un vecchio adagio “le querce non fanno i limoni “.

Risultato finale di tutta questa manfrina: un dito alla crema ( detto anche cannolo ma non a Firenze) a me ed un bignè a lei, una spumina a me credo da 25 lire ed un cappuccino a lei …..

Finita questa goduria si usciva e fatti 20 mt si entrava da “Bianzino”.

Piazza S. Giovanni allora era molto trafficata, passava tutto di là, dal cuore di Firenze, quindi autobus, filovia, macchine, lambrette, barrocci, biciclette, gente insomma, venditori di mais per turisti e piccioni. Su un lato c’era anche il punto di sosta, mi pare alla Loggia del Bigallo, per i fiaccherai con le loro carrozzelle e i cavalli, che in certi casi da come erano vecchi non si capiva se erano i cavalli che tiravano le carrozzelle o erano le carrozzelle che spingevano i cavalli.

La piazza era il fulcro della vita cittadina quindi sempre piuttosto rumorosa e brulicante.

Entrati nel negozio di scampoli tutti i rumori erano attutiti, anzi a volte c’era un silenzio irreale dovuto alla quantità di rotoli di stoffe che dal pavimento arrivavano fino al soffitto e seguivano tutti i muri perimetrali. Stoffe di tutti i tipi, lane pesanti per fare cappotti, leggere per gonne e pantaloni, cotoni per camice e camicette da donna, lini per far vestiti da uomo, ghinee per lenzuoli insomma quello che poteva servire a confezionare abiti e non, lì c’era.

Il reparto che riguardava tessuti per camice era vastissimo, coloratissimo, con una scelta di tessuti incredibile e la mamma li conosceva tutti. Ricordo quelli che mi piacevano più di tutti era l’ Oxford e l’Oxford martellato di colore rosa , un bel rosa molto maschile, morbidissimo al tatto e profumatissimo di buono, di nuovo e di pulito. Pensandoci adesso ho sempre avuto una camicia a maniche lunghe con i bottoncini al collo e cannoncino sulla schiena di color rosa.

Tutti i commessi conoscevano la mamma ed erano veramente molto gentili, premurosi e se la mamma era indecisa , prendendoli dagli scaffali, le mostravano diverse pezze srotolandole per 2 o 3 mt .

I banconi su cui venivano poggiate le pezze erano in legno massello di un colore caldo, sempre profumati di cera per mobili ; anche i metri che usavano era in legno con le punte rinforzate in ottone mi piacevano da impazzire.

Silenzio e profumo erano le caratteristiche di quel negozio ed il profumo era dato come ho detto da le stoffe, dal legno ed i prodotti per tenerlo pulito ma anche dai dopo barba dei commessi sempre inappuntabili e ben vestiti anche se a volte indossavano una gabbanella grigia.

Fra silenzio e odori quasi ti veniva fatto di parlar sotto voce. In tante volte che la mamma mi portò mai sentii rumori molesti o fuori posto. Il rumore più classico era la pezza, che srotolata dal commesso, dava un tonfo morbido e quasi rassicurante sul bancone e come erano bravi i commessi ad aprire la pezza, con un colpo di mano e polso ben assestato facevano roteare in aria lo scampolo avvolto quasi sempre su di un’anima di cartone schiacciata, o, ora i ricordi si confondono, ma mi pare che queste ”anime” rigide fossero anche in legno, altri tipi di stoffa erano arrotolati per lo più su tubi di cartone ben rigido.

Dicevo dello scampolo fatto volare che poi poggiavano sul bancone, lo misuravano, lo tagliavano e lo impacchettavano in una carta azzurrognola a quadrettini piccolissimi col logo Bianzino e la consegnavano al cliente, parevano giocolieri agili, veloci ed appassionati.

Avuto il pacchetto si andava alla porta ed appena la si apriva per uscire il mondo esterno si presentava immediatamente con il suo rumore ed il suo odore , i cavalli dei fiaccherai avevano la parte da protagonisti per gli effluvi, vista la copiosa quantità di prodotti intestinali, ogni tanto uno spazzino appariva col suo barroccio a 2 o un bidone , la scopa e la pala per raccogliere le fatte degli equini.

Girando intorno al Battistero e al Duomo si arrivava al Canto de’ Bischeri e da lì in Via del Proconsolo per la fermata dell’autobus, in realtà ce n’erano 2 prima, una alla Misericordia ed un’ altra dopo 150 mt , ma la mamma preferiva far “du’ passi” per guardare il Duomo “anche da dietro” diceva .

Testimonianza di Federico Benadì

Ripropongo questo giorno di due anni fa (gennaio 2019) perché non dobbiamo mai dimenticare. La giornata si intitolava: “La notte fa ancora molto freddo” perché il vento dell’intolleranza non smette ancora di soffiare gelidamente

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L’importanza delle testimonianze viventi, di chi ha vissuto sulla propria pelle persecuzione e ingiustizia, per ricordare che è sottile il filo che ci divide dalla tragedia, dalla perdita di identità. Ricordare per non ripetere mai più.

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