Giallo tramonto sull’Arno – di Stefania Bonanni
foto di Paolo Lemmi

Giallo è l’inizio, e gialla la fine, come rincorrersi allegorico del giorno e della notte, come scandire ore e giorni della vita, come iniziare con impeto, forza passione, ed avere un pensiero latente e giallo, di rischio, paura, insicurezza. Come avvertire anche il senso della fine, di progetti che hanno senso proprio perché finiscono, cambiano, si riversano in altri. Nello stesso tempo, quando finiscono lasciano segni gialli, di parti portati a termine felicemente e con dolore, di vita mescolata tra fatti e persone, e sogni e ricordi. Tra sogni nitidi e brillanti, e ricordi che piano di impolverano, ma per magia attirano polvere che conserva, anziché annebbiare.
foto sull’Arno di Rossella Gallori

Ho visto nascere il giorno, su una spiaggia d’Abruzzo, e il mare era nero, il cielo era nero, la spiaggia era nera, gli alberi nere presenze incombenti. Non c’erano stelle in cielo, non c’era piu’ la luna. Un attimo. Come qualcuno che fa clic sull ‘nterruttore (cosa che non escludo possibile) e una lama brillante come un diamante ha spaccato il buio. È bastato un secondo, e niente era più come prima. Non era giallo, era bianco abbagliante. È diventato giallo quando si è mescolato al mare, alla sabbia, alle nostre orme sulla riva, quando ha coperto di se’ carne e materia. Quando, anche per quel giorno, ha vinto l’Alba.
foto di Stefania Bonanni: alba in Abruzzo

Cecilia ha detto che ognuno ha negli occhi un privato tramonto giallo. Ed io ce l’ho. Il mio tramonto più languido, davanti a quella solita pescaia sull’Arno, nel momento in cui i raggi del sole si fanno lunghi ed obliqui, ed illuminano uno specchio d’acqua che sembra inclinarsi, o forse inchinarsi , per assecondare i raggi.
Il giallo in mezzo alla tela ha il potere di allargarsi negli occhi, fin quasi a far vedere tutto giallo. Il sole del tramonto, sull’Arno, non è quasi mai rosso, più morbido e vintage, sembra somigliare a quei colori sfumati che assumonoi le vecchie foto in bianco e nero, che poi ad un certo punto, credo per la magia dei ricordi, si colorano di dolce.
Al tramonto, dalla riva verde, la pozza nel cielo si riflette e si affoga nell’acqua. Si tuffa e viaggia, fino alla corrente, illumina l’acqua che passa sulla pescaia cone se avessero messo un lampione. I raggi continuano ad inclinarsi, arrivano al Ponte della ferrovia. Un brutto agglomerato di metallo scuro, con le sponde formate da sbarre di ferro che si intersecano formando una specie di grosso reticolato. Al tramonto, trafitti dai raggi, riflettono sull’acqua un disegno di intrecci inconsapevoli e casuali, come dire che un tramonto rende grazia anche a quello che di suo, grazia non ha.
Il tramonto dei raggi gialli sull’Arno si è moltiplicato nel giallo dell’acqua che trasporta fango durante le piene, nelle foglie gialle venute dopo quelle verdi, quelle rosse, quelle marroni, nel momento del loro autunno. Certe sere, l’Arno sembrava una pista di marmo tirato a lucido, in attesa di ballerini di liscio, gli alberi con le foglie gialle illuminate, simili a quelli carichi di lampadine che festeggiano il Natale.
Bisogna stringere gli occhi, e portarselo dentro, l’Arno illuminato.
Ci sarà il momento in cui non se ne potrà fare a meno.



