I tasti bianchi delle parole

Spartito di parole – di Stefania Bonanni

Poi c’e il bianco che dà senso al nero, quello che da’ aria alle parole,  le fa respirare e cantare, quando il rigo scritto è riempito solo in parte, quando una virgola fa tirare il fiato e le parole tornano nel rigo di sotto, dove a volte il margine rientra, come per farsi desiderare,  lasciando capire che ci si può mettere l’accento, nella lettura, che vale la pena farci un po’ più attenzione.

Quelle righe diventano spartiti, le parole note, il bianco ed il nero come tasti di un pianoforte, suonano parole ritmate dagli spazi lasciati in bianco, componendo melodie che nascono da penne speciali, ma ci accompagnano per effetto di quegli spazi bianchi. Così, sempre e per sempre, sapremo che “passata è la tempesta”, anche se forse non sempre sentiremo “uccelli far festa”.

Il bianco dei marmi di Firenze

L’odore degli scampoli – di Lorenzo Salsi

Foto di andbalboni da Pixabay

Ogni tanto con la mamma si partiva, magari quando non c’era scuola o più spesso nel periodo in cui andavo all’asilo e si andava a comprar scampoli di stoffa per farci camice, alla famiglia, ai parenti ed amici nonché ai clienti abituali che si fidavano ciecamente dei gusti classici della mamma .

Il tragitto era sempre il medesimo: Via Datini fermata dell’autobus 23 fino a Piazza del Duomo o a Via Panzani, secondo le giornate . La fermata di via Panzani era la più vicina perchè il negozio di scampoli e stoffe era proprio sull’angolo opposto in Via de’ Pecori nel palazzo dell’Arcivescovado di fronte al Battistero che con le sue belle porte in bronzo mi affascinava sempre.

Il negozio si chiamava semplicemente “Bianzino”.

Dunque due opzioni per scendere dal tram, in effetti avevano il suo perchè: se si scendeva alla fermata d’angolo con Via Ricasoli si attraversava Piazza S. Giovanni in diagonale e si arrivava da “Bianzino” in un attimo ma era un po’ più lunga e non molto interessante; se la discesa era in Via Panzani il tragitto prevedeva un mirabile passaggio davanti alla pasticceria Scudieri, una delle migliori della città dove alla mamma e al figlio veniva un principio di soffocamento per eccesso di saliva prodotta dalla visione delle vetrine di Scudieri che erano piene di piramidi di cioccolato, caramelle, pasticcini e quanto di più goloso si potesse pensare.

La mamma era un’ infaticabile divoratrice di tutto ciò che poteva contenere zucchero, seguiva le 2 o 3, ma forse erano di più, vetrine della pasticceria con crescente cupidigia facendo finta di niente, poi con non chalance, mi chiedeva se avevo sete o se per caso mi fosse venuta un po’ di fame; domande cariche di aspettative che attendevano con speranza una mia risposta affermativa, la quale non tardava, ferma e sicura, perché come dice un vecchio adagio “le querce non fanno i limoni “.

Risultato finale di tutta questa manfrina: un dito alla crema ( detto anche cannolo ma non a Firenze) a me ed un bignè a lei, una spumina a me credo da 25 lire ed un cappuccino a lei …..

Finita questa goduria si usciva e fatti 20 mt si entrava da “Bianzino”.

Piazza S. Giovanni allora era molto trafficata, passava tutto di là, dal cuore di Firenze, quindi autobus, filovia, macchine, lambrette, barrocci, biciclette, gente insomma, venditori di mais per turisti e piccioni. Su un lato c’era anche il punto di sosta, mi pare alla Loggia del Bigallo, per i fiaccherai con le loro carrozzelle e i cavalli, che in certi casi da come erano vecchi non si capiva se erano i cavalli che tiravano le carrozzelle o erano le carrozzelle che spingevano i cavalli.

La piazza era il fulcro della vita cittadina quindi sempre piuttosto rumorosa e brulicante.

Entrati nel negozio di scampoli tutti i rumori erano attutiti, anzi a volte c’era un silenzio irreale dovuto alla quantità di rotoli di stoffe che dal pavimento arrivavano fino al soffitto e seguivano tutti i muri perimetrali. Stoffe di tutti i tipi, lane pesanti per fare cappotti, leggere per gonne e pantaloni, cotoni per camice e camicette da donna, lini per far vestiti da uomo, ghinee per lenzuoli insomma quello che poteva servire a confezionare abiti e non, lì c’era.

Il reparto che riguardava tessuti per camice era vastissimo, coloratissimo, con una scelta di tessuti incredibile e la mamma li conosceva tutti. Ricordo quelli che mi piacevano più di tutti era l’ Oxford e l’Oxford martellato di colore rosa , un bel rosa molto maschile, morbidissimo al tatto e profumatissimo di buono, di nuovo e di pulito. Pensandoci adesso ho sempre avuto una camicia a maniche lunghe con i bottoncini al collo e cannoncino sulla schiena di color rosa.

Tutti i commessi conoscevano la mamma ed erano veramente molto gentili, premurosi e se la mamma era indecisa , prendendoli dagli scaffali, le mostravano diverse pezze srotolandole per 2 o 3 mt .

I banconi su cui venivano poggiate le pezze erano in legno massello di un colore caldo, sempre profumati di cera per mobili ; anche i metri che usavano era in legno con le punte rinforzate in ottone mi piacevano da impazzire.

Silenzio e profumo erano le caratteristiche di quel negozio ed il profumo era dato come ho detto da le stoffe, dal legno ed i prodotti per tenerlo pulito ma anche dai dopo barba dei commessi sempre inappuntabili e ben vestiti anche se a volte indossavano una gabbanella grigia.

Fra silenzio e odori quasi ti veniva fatto di parlar sotto voce. In tante volte che la mamma mi portò mai sentii rumori molesti o fuori posto. Il rumore più classico era la pezza, che srotolata dal commesso, dava un tonfo morbido e quasi rassicurante sul bancone e come erano bravi i commessi ad aprire la pezza, con un colpo di mano e polso ben assestato facevano roteare in aria lo scampolo avvolto quasi sempre su di un’anima di cartone schiacciata, o, ora i ricordi si confondono, ma mi pare che queste ”anime” rigide fossero anche in legno, altri tipi di stoffa erano arrotolati per lo più su tubi di cartone ben rigido.

Dicevo dello scampolo fatto volare che poi poggiavano sul bancone, lo misuravano, lo tagliavano e lo impacchettavano in una carta azzurrognola a quadrettini piccolissimi col logo Bianzino e la consegnavano al cliente, parevano giocolieri agili, veloci ed appassionati.

Avuto il pacchetto si andava alla porta ed appena la si apriva per uscire il mondo esterno si presentava immediatamente con il suo rumore ed il suo odore , i cavalli dei fiaccherai avevano la parte da protagonisti per gli effluvi, vista la copiosa quantità di prodotti intestinali, ogni tanto uno spazzino appariva col suo barroccio a 2 o un bidone , la scopa e la pala per raccogliere le fatte degli equini.

Girando intorno al Battistero e al Duomo si arrivava al Canto de’ Bischeri e da lì in Via del Proconsolo per la fermata dell’autobus, in realtà ce n’erano 2 prima, una alla Misericordia ed un’ altra dopo 150 mt , ma la mamma preferiva far “du’ passi” per guardare il Duomo “anche da dietro” diceva .

Testimonianza di Federico Benadì

Ripropongo questo giorno di due anni fa (gennaio 2019) perché non dobbiamo mai dimenticare. La giornata si intitolava: “La notte fa ancora molto freddo” perché il vento dell’intolleranza non smette ancora di soffiare gelidamente

Avatar di lamatitaperscrivereilcieloMATITAECIELO

L’importanza delle testimonianze viventi, di chi ha vissuto sulla propria pelle persecuzione e ingiustizia, per ricordare che è sottile il filo che ci divide dalla tragedia, dalla perdita di identità. Ricordare per non ripetere mai più.

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Scatola bianca

SCATOLA BIANCA – di Laura Galgani

Foto di Anna Larin da Pixabay


Una pagina bianca cos’è, se non una stanza dalle pareti vuote, candide, immacolate, imbottite di morbido cotone per attutire il suono di quelle parole che ancora nemmeno sai?
Ci puoi entrare quando vuoi: nei momenti più bui, quando qualcosa ti stringe la gola e vuole uscire e ti graffia con gli artigli su per la trachea e tu cerchi di ricacciarla giù, perché no, non adesso, non ancora, anche se sanguina e fa male. Ma appena raggiungi il tuo spazio e varchi la soglia di quella scatola bianca che
è la pagina, ecco che l’urlo può uscire ed essere forte, rosso, spietato, tanto acuto da tagliare la pagina in due, se potesse prendere la forma di una lama. E nessuno se ne accorge, finché non vi posa gli occhi sopra.
Ma tu non lo permetti a nessuno. Hai questa libertà e questo potere. Lasciare che altri entrino in quella stanza è solo una tua scelta.
Oggi no, hai ancora bisogno di pareti imbottite su cui gettarti senza farti troppo male, di un soffitto a cui appenderti e camminare a testa in giù per vedere le cose da un punto di vista diverso, di sapere che la porta è chiusa e nessun suono, lettera o frammento di parola potrà uscire da lì, dalla tua scatola imbottita.
Chissà, magari un giorno sarà diverso, arriverà la primavera e deciderai di aprire la porta di quella scatola bianca.
Una nuvola di farfalle colorate ne uscirà e con leggeri battiti d’ali andrà a dipingere il mondo con le tue parole piene d’amore.

Incontro virtuale – 19 gennaio 2021

con Cecilia Trinci

La discussione è partita, in entrambi i gruppi, dal video volutamente provocatorio di Messer Bianconiglio, messo nel blog proprio la stessa mattina.

L’attenzione è stata monopolizzata dal tema “amore”, che è stato definito in più modi e con varie parole. Molta parte dell’attenzione è stata attirata dalla espressione “non posso amarti” rivolta ad Alice che non ama abbastanza se stessa e quindi non potrebbe affrontare il dolore di certe inevitabili ferite legate ad un rapporto interpersonale.

Vari i punti di vista di tutti. Ne ricordo uno, di Vanna, che fa pensare molto: il Bianconiglio direbbe queste parole proprio perché, contrariamente alla sua affermazione (Io non posso amarti), dimostrerebbe proprio il contrario.

L’essenziale comunque, in ogni caso, è raggiungere CONSAPEVOLEZZA DI SE’ per poter amare ed essere amati.

Molte sono le parole con cui tutti hanno descritto un amore maturo e capace di esistere.

Si è parlato della necessità di aver avuto amore da piccoli e del “saperlo riconoscere” quando si incontra.

Si è parlato della necessità degli altri e della grande importanza della RELAZIONE

Si è parlato di SICUREZZA, di CONSAPEVOLEZZA, di CORRISPONDENZA, di CONQUISTA, di OSTACOLI, di TIMIDEZZA, e anche di EQUIVOCI, alcuni anche pericolosi. Di Gabriella è l’accenno all’amore malato o all’uso dell’espressione “SANGUE MIO”.

Si è parlato di CENTRALITA’ della persona che deve sentirsi padrona del proprio essere e di come questo sia capace di ATTRARRE amore a sua volta.

Si è parlato della FIDUCIA che si deve avere, ma anche della CAPACITA’ DI DIRE DI NO, di SCELTA e di DIFESA, della necessità di riconoscere SEGNALI.

Si è parlato di RISPETTO, verso se stessi e verso gli altri, di LIMITE e di LIMITI da rispettare.

Si è parlato di RELAZIONE NON STRUMENTALE, di capacità di SVELARSI.

Dopo la discussione generale ho illustrato come tutti questi concetti si attagliano perfettamente alla SCRITTURA che ha appunto bisogno, per essere piacevole e benefica di:

  • relazione
  • consapevolezza di sé
  • rispetto
  • riconoscersi
  • svelarsi
  • fiducia
  • ostacoli da superare
  • scelta delle emozioni da RIVELARE
  • senso del limite
  • volersi bene e voler bene alle proprie idee….
  • ……tanto da saper accettare serenamente anche chi non è d’accordo con noi