Ritrovarsi a fine anno

Gino e Michele si incontrano di nuovo – di Nadia Peruzzi

foto di Nadia Peruzzi

M. “Gino, allora, come va? L’è un po’ di tempo che un ci si vede”.

G. “ Oh , Michele. Altro che un po’, l’è un secol0. Ti ricordi quel giorno sulla panchina al giardino della Resistenza?. Mi sa che è stato l’ultimo. La sera il governo ci ha sigillato in casa, poi fra paure e altro non ci siamo più visti. Da allora mi son sentito sempre più panda e meno persona.”

M. “Eh, già. Fino al giorno prima pubblicità in cui quelli come noi correvano e saltavano come grilli dopo aver bevuto quei bicchieroni di roba marroncina, Mer.. Meri..un mi ricordo nemmeno come la si chiama. E da i’ giorno dopo eccoci ritrovati a interpretare la specie protetta, quella fragile e in pericolo. Di colpo precipitati fra gli anziani e le categorie a rischio, da proteggere. Anche se, diciamocelo, mi sa che se si fa un po’ di pulizia di vecchi son tutti più contenti. E io vecchio come ora non mi sono mai sentito!”

G. “O come tu mi s’è diventato pessimista. La prigionia la t’ha cambiato di molto!”

M: “O icché ttu voi. Stacci te tutto i’ santo giorno chiuso in casa con l’Argia che ogni tre per due la si lamenta e se la un rompe le scatole non è contenta e fa venire pure il dubbio che non stia bene del tutto. Che vita, nini!. Qui oltretutto continua ad essere un gran bailamme. Si va a ondate una peggio dell’altra. Ora sperano nel vaccino ma ancora bene bene un lo sanno nemmeno loro che pesci pigliare. Mi sa che per ora sono i pesci che piglian noi, altro che!”

G. “Michele, dimmi. A casa tua, tutti bene?”

M. ”Si, si per ora tutto a posto. I nipoti son sempre più agitati. Da quando sono più a casa che a scuola ,oltre a non imparare nulla, non compicciano nemmeno nulla. Passano dai video di quei cosi dove si incontrano con i professori e i compagni di scuola alla tv in un battibaleno. Poche letture, parecchi giochi elettronici e telefilm spesso raccapriccianti e popolati di gente strana. Vampiri, zombi, streghe e stregoni.”

G.” T’ha ragione Michele. Ci riflettevo anche io. Che brutte cose trasmettono in tv su alcuni canali. Tutta roba violenta dove scorre sangue a bizzeffe, popolata da creature spaventose . Lo sai che nocchini si sarebbe preso dalle nostre mamme se ci trovavano a guardare roba così ai nostri tempi. Ora l’è tutto normale invece. Poi se la pigliano e ci scrivan paginate sopra se gruppi di ragazzetti annoiati decidono di mettere in pratica le bravate che vedono fare in tv”!

M.” Ascolta Gino. Ma che te lo chiedi mai se e come ne usciremo?”

G. ”Spesso, Michele .Ma cerco di tenerle a bada le domande in modo che non prendano il sopravvento .Cerco di vivere alla giornata. Meno domande mi fo, meno paturnie mi vengono. Per fortuna che c’ho i nipoti piccolini e quando mi viene la malinconia e mi prende il malessere penso a loro e trovo il verso di ritrovare un po’ di serenità.”

Mondo strano

Space oddity – di Gabriella Crisafulli

I giorni erano scivolati via, tra uno stupore ed un altro, in un succedersi di eventi.

Il trauma era pari all’incredulità: pandemia e quindi confinamento.

Gli amici erano ridotti a mera voce o a file video: nel migliore dei casi a pixel che vagavano sullo schermo. Tutto intorno, in un carnevale senza fine, vagava un popolo di mascherati i cui sguardi si affacciavano spenti al di sopra della protezione.

Per fortuna la mattina, al risveglio, c’era sempre una poesia, la foto di un fiore, di un paesaggio, qualche battuta tenera, dolceamara o surreale a dare un coraggio tutto da costruire.

Intanto Radio Covid emanava bollettini che attivavano il timore e la preoccupazione di nuocere agli altri.

La vita di tutti i giorni viaggiava in un limbo di emozioni sospese tra speranze e illusioni, mentre l’incredulità e lo scoraggiamento si trasformavano in rabbia.

Quegli sguardi sperduti covavano sotto la mascherina disappunto e collera in un mondo stravolto che non aveva mai preso in considerazione la precarietà.

E così apparivano sulla scena fenomeni quali ragazzi che si davano appuntamento in punti condivisi di una città per darsele di santa ragione.

Oppure tranquilli abitanti di un quartiere di periferia che attrezzavano in modo sempre più completo il loro giardino come una palestra per pugili dove allenarsi per ore.

Ma anche folle pilotate che si divertivano a profanare le loro istituzioni incuranti delle conseguenze.

Prima eravamo che ognuno stava solo sul cuor della terra e dopo era che ognuno era ancor più solo.

Rimaneva il pensiero a sostenere esistenze precarie che puntavano a difendersi.

Rimaneva il desiderio che i più giovani non pagassero un prezzo troppo alto.

Rimaneva la speranza che il tonfo economico non avrebbe stravolto la vita dei cittadini.

Rimaneva la fiducia di sottrarsi ad un’idea fobica di alienazione.

Rimaneva l’aspettativa di comportamenti solidali.

Ma era un film mentale, robotico, asettico in cui la colonna sonora erano angoscia e depressione.

Mancavano i baci, gli abbracci, l’empatia, l’accarezzarsi, il tenersi per mano, la tenerezza.

Mancava una visione di futuro.

C’era da costruire un nuovo codice di affetti per trasmettere il tatto perduto in un profumo di calore e in un vortice di sensualità per un tam tam di rinascita erotica.

Emozioni d’inverno

Emozioni sul fiume – di Gabriella Crisafulli

Foto di Rossella Gallori


Torno all’Arno

alla vita che lo anima

Alberi uccelli cani

persone di tutte le età

canottieri corridori

ciclisti bambini

due vigili a cavallo

In lontananza

le macchine sfilano

in eterna corsa

Sono venuta a cercare

le parole

che non ho

Quando arrivo

a casa

mi faccio un caffè.

***

Lungo il fiume

sfilano veloci

i canottieri

nel vento che soffia

fra il grigio

di acqua e cielo

I colori

di skiff

e mute

fanno allegria

***

Penetra

sospinge

attraversa

scompiglia

abbraccia

cancella

Mi prende

un brivido:

vento

amore mio