Il tesoro nel labirinto

Labirinto – di Nadia Peruzzi


La soluzione era li’, al centro del labirinto. Vi riposava da quasi 300 anni senza che nessuno se ne fosse accorto. A portata di mano ma sapientemente celato alla vista di chi non aveva strumenti per vedere, cuore e pazienza per cercare.
La grande casa osservava sorniona il parco e quell’intreccio tortuoso delimitato da alte siepi di bosso e di evonimo con i loro giochi di colore . Dal verde brillante tendente allo smeraldo, al rosso porpora con apostrofi color fucsia.
A Sara capitava spesso, quando si rifugiava in biblioteca, di perdere la cognizione del tempo mentre seguiva i giochi magistrali e le volute tortuose dell’immenso labirinto che, a quanto era dato sapere aveva preceduto la costruzione della villa padronale. Di solito succedeva il contrario, ma in quel caso si era voluto che fosse il labirinto il centro vero e il punto di origine di tutto.
In tempi remoti in quella stessa area un antico popolo vi aveva tenuto le sue adunanze e vi aveva svolto i suoi riti propiziatori in onore di Dioniso.
Se ne conservava memoria in vari documenti, mentre nel racconto collettivo si tramandava da secoli la possibilità che vi fosse sepolto addirittura un tesoro.
Nessuno dei suoi predecessori si era posto il problema di fare una ricerca approfondita. Si erano accontentati di ricevere in dono la tenuta e tutto era finito lì fra manutenzioni, restauri, aggiustamenti e risistemazioni che non avevano toccato in alcun modo l’impianto originario che voleva il labirinto come centro e riferimento per tutto quanto il resto.
Una forza irresistibile sembrava attrarre, verso quei vialetti con le loro alte mura vegetali a parare ogni vista chi lo vedeva per la prima volta. Molti si erano persi in quei meandri dove era la natura a dettare legge e il piano del suo ideatore a creare impicci per l’incauto esploratore.
Sara aveva trovato nella cavità di un libro il progetto originario. Un documento polveroso e ammuffito in molte sue parti vergato con la scrittura tipica del 600 . Era quasi trasparente per il tempo trascorso, ma ancora ben leggibile. Vi si faceva riferimento alle qualità necessarie per poterlo percorrere tutto senza smarrire la rotta. Curiosità, istinto, osservazione e ingegno.
All’inizio gli strani segni e i ghirigori che segnavano inizio e fine di ogni paragrafo le sembrarono un modo per impreziosire quel documento con simboli che richiamavano, talora in veste astratta, la natura, il mondo animale e oggetti dell’epoca.
Non le ci volle molto a capire che erano invece indizi ben precisi e indicazioni probabili di un percorso .
Decise di seguirli e una mattina alle luci dell’alba si ritrovò al limitare del labirinto proprio di fronte al punto di ingresso. Il varco era invitante ma induceva anche un sentimento di panico.
di Eccitazione e voglia di sapere si mischiarono a paura dell’ignoto e di non ritrovare, una volta entrata né ciò che vi era custodito da secoli, almeno secondo la leggenda, né la strada per tornare indietro.
Trasse un gran respiro come se si dovesse tuffare nell’acqua fonda e si immerse sentendo su di sé tutto il peso delle mura vegetali che la circondavano, mentre i rami più lunghi le sfioravano gambe e braccia.
Nell’’idea che si era fatta, i simboli presenti sul documento li avrebbe dovuti trovare a segnare il percorso.  Il primo, a forma di lepre, lo scorse dopo un tempo che le sembrò infinito e ad un incrocio che indirizzava da tutt’altra parte. Man mano, seguendo il documento scoprì gli altri che l’aiutarono a procedere verso il centro del labirinto.
Le ore erano passate senza che se ne accorgesse. Era entrata in una dimensione che teneva fuori qualsiasi riferimento allo spazio e al tempo. Se ne accorse dalla fame più che dalla fatica. Era troppo eccitata per la fatica, ma fame e sete ad un certo punto cominciarono a farsi sentire.
Era stata previdente e nel suo zaino aveva portato un po’ di cibo e molta acqua. Si rifocillò mentre il sole del mezzogiorno fece un accenno di presenza in alto, su quel muro vegetale che lo schermava quasi del tutto.
Da quel punto arrivò in breve al centro del labirinto. Si trovò di fronte un cubo fatto di arbusti e piante di vari colori. Gli girò intorno fino a che non trovò quello che cercava: i simboli erano tre in quel punto. Un bicchiere in alto, delle cesoie al centro, il sole in basso.
Nell’intrico di rami non scorse nulla . Valutò che forse sarebbe stato meglio provare a scavare sotto il simbolo del sole. Fu la scelta giusta. La teca di vetro era sotto uno spesso strato di terra.
La ripulì e la vide occupata da un drappo di broccato purpureo su cui era adagiato un tralcio di vite completo delle sue radici.
Le foglie rilucevano pure in quella penombra. Il verde era di quelli teneri, da virgulto giovane . Le radici pulsavano di vita.
Un insieme prodigioso considerato che la teca era rimasta lì sotto per oltre 300 anni.
Si affacciò una punta di delusione. Aveva fantasticato tanto sul tesoro la cui esistenza si era sedimentata nei racconti e nei ricordi di generazioni e generazioni, che si aspettava un tesoro vero luccicante di oro, gioielli e pietre preziose.
Quasi quasi voleva rimettere tutto al suo posto, ma ci ripensò e portò con sé lo scrigno di vetro e il suo contenuto.
La via del ritorno fu più agevole. I simboli messi a segnare il percorso li ricordava uno ad uno.
La teca di vetro fu messa in bella vista su un mobile nella biblioteca.
Ci girò attorno per diversi giorni prima di decidersi a chiamare il vecchio Giovanni.  Per anni aveva curato il podere attorno al palazzo avrebbe saputo darle qualche buon consiglio.
Fu lui a dirle che probabilmente si trattava di un vitigno antichissimo e molto pregiato che gli antenati di Sara avevano coltivato per lunghi anni producendone un ottimo vino.
Avevano smesso quando la vigna aveva preso fuoco all’improvviso.  Il terreno da allora in poi sembrò sottoposto ad un sortilegio negativo che guastava tutto quanto vi si provava a coltivare.
Andarono male tutti i tentativi di ricreare una vigna e peggio quelli di provare altre coltivazioni.  Avevano deciso, si raccontava, di lasciarlo a maggese per sempre.
Veder riapparire nella teca il tralcio di quell’antico e prestigioso vitigno Giovanni lo considerò un vero miracolo.
I simboli, sole, cesoie e bicchiere di cui Sara gli aveva parlato,  li considerò un segno,  forse messo da chi aveva salvato quel virgulto, perché si provasse di nuovo a far nascere una vigna nello stesso luogo di quella abbandonata ormai da secoli perché qualunque cosa vi si piantasse, andava in malora.
Sara ci mise i suoi studi, la sua caparbietà, la sua costanza. Giovanni la sua esperienza e la somma delle storie scritte e narrate e di quelle che lui stesso aveva attraversato.
Quel tralcio di vite e quel terreno si sposarono alla perfezione. Erano fatti uno per l’altro.
Prosperò rapidamente e la vigna ebbe modo di ingrandirsi tornando a produrre un vino dal gusto raffinato e dall’aroma intenso e speziato.  Il Labirynthus.

Avatar di Sconosciuto

Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

5 pensieri riguardo “Il tesoro nel labirinto”

  1. Un racconto leggero e delicato che affonda le radici nella nostra civiltà contadina . Fatta di lavoro duro e di creatività, ma anche di danni, disastri e calamità che solo la natura in tanto splendore può regalare e dannare. La tenacia e la forza può ristabilire un equilibrio. Grazie Nadia

    "Mi piace"

Lascia un commento