Luce arancione

Luce arancione – di Cecilia Trinci

Dopo 6 ore di lezione al liceo il primo e più grande desiderio era entrare in cucina, al caldo, trovare la tavola apparecchiata e un piatto caldo ghiotto. Ogni volta ci cascavo in quella speranza e le delusioni erano costanti. Aprivo la porta schiacciata dai libroni (perché non si sa come la cultura ha sempre il suo peso) e  trovavo lei appesa a qualche scala, barattoli di vernice che colavano colori e il pennello in mano.

“Ma che ore sono?” diceva sobbalzando, guardandomi con un terrore che subito scatenava il mio.

“Le due” rispondevo affranta

“Oddio!!” e balzava giù dallo scaleo a rischio di fratturarsi tutta, zompando sul fornello irrimediabilmente spento.

“Pasta a burro?”

E come no? Certo! Una bella tristissima pasta a burro, molto ma molto “al dente” per non scollinare alle tre con la tavola apparecchiata.

La cucina calda dei sogni era un frigorifero di finestre spalancate, perché le vernici, specialmente allora, erano pure parecchio tossiche.

“Come è andata?” diceva mascherando i sensi di colpa correndo frettolosa dall’acquaio al fornello, ciancicando fagottini oscuri tolti dal frigo, forse più caldo della stessa cucina dove rassegavo i miei tremiti scolastici confondendoli con quelli climatici.

Un “Bene” laconico copriva ogni sfumatura di pensiero, la via più corta per raggiungere senza troppi danni il pomeriggio, in cui  un’amica stufetta  mi avrebbe riscaldato le mani sulla versione di latino.

Lei a quel punto sazia delle sue scorribande colorate sulle pareti di casa, un po’ in colpa per l’allergia  verso la prodezze alimentari, mi avrebbe fatto compagnia dalla stanza accanto, fingendo di fare la calza. A farmi compagnia era il rumore dei ferri che cadevano, tintinnando, che mi dicevano che c’era, era di là, a pochi passi di distanza e di sicuro mi pensava e si faceva domande che poi si riassumevano in una unica, confusa e ansiosa, appena riemergevo dai vocabolari.

“Come hai dipinto oggi il salotto?” chiedevo allora e lei scopriva i teli e diceva radiosa un colore sempre diverso.

L’ultimo, il più longevo, quello che durò fino alla fine, fu un arancio rovente spalmato a gran pennellate.

“Vedi, la sera, con la luce accesa, vista da fuori, la stanza sembrerà un faro e voi la vedrete da lontano e vi guiderà”.

Infatti, girando in certe sere la curva dietro Via Atto Vannucci, alzando gli occhi in su, la luce era di un faro arancione al secondo piano, almeno quando c’era dentro lei, con il suo finto lavoro a maglia e i ferri che continuavano a cadere.

Poi si è spenta. La luce arancione insieme a lei.

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

6 pensieri riguardo “Luce arancione”

  1. Un faro che parte da un interno ma non brilla di meno.Calda luce ristoratrice per qualsiasi viandante alla ricerca della via di casa e di se stesso.Bel quadro di vita !

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  2. ..e se il pranzo fosse stato speciale e la stanza triste? Se lei non fosse stata li ? Via Atto Vannucci sarebbe stata al buio per sempre!! Non ci sarebbero stati i tuoi ricordi…di ” fino a quando c’era lei”

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  3. Davvero tenero e divertente il tuo arancio, Cecilia!
    E poi estremamente reale perché mi sembra qualcosa che ho vissuto.

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  4. Una mamma non convenzionale che vive le giornate nei colori dell’arcobaleno… Anche di questo si nutrono i figli! Quel faro ti è rimasto dentro! Bel tocco lieve e delicato del narrare… In fondo non gliene vuoi per tutte quelle paste al burro!

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