Arancione a Parigi – di Nadia Peruzzi

Foto di Please Don’t sell My Artwork AS IS da Pixabay
Sulla tavola campeggiava un cesto che mandava riflessi aranciati. Quasi una natura morta su cui aveva la meglio la scorza rugosa di una zucca,sulle corazze lucide della corte di diosperi che avevano bisogno di una piccola spinta per maturare del tutto.
Fuori era il grigio ad avere la meglio.
Il cielo era compatto, come una lamina senza la più piccola venatura di azzurro. Quasi un mare capovolto e privo di ogni sua carica benefica ed energizzante.
Tutto il contrario. Quella cappa fiaccava anche gli spiriti più allegri e ben disposti verso la vita.
E non era il suo caso.
Tanto meno in quel giorno. Di fronte aveva solo un porta che si era chiusa definitivamente.
Sentì una morsa stringerle il petto. Cercò conforto nelle vecchie foto e nelle cose di lui.
Sfiorò più volte la giacca che aveva indosso nelle sue ultime ore. Ne aspirò il profumo e pianse.
Pianse, come non aveva mai pianto prima.
La scatola delle foto a cui teneva come un tesoro giaceva sulle sue gambe. Si decise ad aprirla scorrendo alcune foto senza vera convinzione, fino a che non trovò quella che cercava .

Le note di arancione che stavano incendiando la sua tavola quella mattina l’avevano indirizzata a quella foto e a quel preciso fermo immagine.
Davanti aveva uno scorcio di Parigi. Colorato e vitale malgrado il pallido cielo autunnale stendesse la sua fredda coperta su tutto.
La cupola di Montmartre svettava sui tetti delle case riuscendo a malapena a battere il colore biancastro e compatto del cielo.
Due giovani stavano percorrendo in discesa la strada luccicante per la pioggia recente. Si tengono per mano e parlano fra loro. Sembrano preoccuparsi solo di questo, al resto non danno la minima attenzione.
Non è un problema né la strada resa sdrucciolevole dalla tipica pioggerellina parigina, né quella lastra compatta e grigia del cielo che incombe sulle loro teste.
Non sembrano accorgersi nemmeno del vero tripudio di colori che l’autunno era in grado di regalare.
Persi, uno negli occhi dell’altra. Il resto non esisteva.
Né la vite americana che bordava le facciate delle case lasciando libere solo le finestre e le porte, con i toni cangianti del suo rosso violaceo fino all’arancione più sfavillante.
Né le fronde degli alberi appena scalfite, ma non ancora dome del tutto, dalla caducità delle foglie.
E’ tutto un gioco di verdi che resistono ancora e si rincorrono con giallo, arancio, ruggine e i primi accenni di marrone.
I letti di foglie al limitare della strada già raccontano di un inverno che sta preparando giorno dopo giorno il suo ingresso in scena .
Loro son troppo presi per badarci.
Sfiorò la foto con una carezza tremula, quasi avesse timore di spezzare quell’incanto e con esso i ricordi che erano tornati ad affastellarsi.
Un tempo lontano. Lontanissimo, anzi.
I suoi studi a Parigi. Il suo incontro con Philippe. Un viaggio iniziato per se stessa che era diventato ben presto un viaggio per due.
Viaggio, che pensiero eccessivo per l’oggi così pieno di dolori e di anni e di una perdita che l’aveva lasciata sfiancata e fiaccata come mai avrebbe potuto immaginare.
Fin troppo spesso e da tempo, il mondo esterno lo scrutava, anzi lo percepiva attraverso la finestra di casa, più che viverlo realmente.
Viaggiava sull’onda dei ricordi.
Si aggrappava a quelli belli, quelli che riaccendevano i sentimenti .
Quella foto, riconobbe, in quel giorno era un vero toccasana. Curava l’anima.
Solo lei era in grado di sapere quanto ne avesse bisogno.
La nostalgia scese come un velo.
Si fece sentire di più ad ogni passaggio della sua mano sulla foto.
Ne trasse conforto. Sentì che il calore di quella scena ravvivava un po’ anche il suo essere.
Rivide ciò che i suoi occhi avevano visto allora.
I ciottoli luccicanti del pavé, la casa della nonna quasi coperta per intero dalla vite americana di un arancione brillante. La porta di ingresso a far contrasto, col suo blu elettrico, quasi spicchio di mare fuori contesto. La nonna Céline dietro alla finestra del salotto che li scrutava attraverso l’obbiettivo della sua macchina fotografica e scattava quella insieme ad altre foto .
La nostalgia si tinse di tristezza, anche se solo per un attimo. Fu la gioia a riprendere il sopravvento e a cullarla.
Rivide le sue guance arrossate per il primo freddo e per l’eccitazione mista ad ansia. Presentava Philippe alla nonna proprio quel giorno.
Sperava così tanto nella sua approvazione.
Lo conosceva da poco tempo, eppure era riuscito a diventare da subito tutto il suo mondo. Sperava davvero che sua nonna lo apprezzasse.
Nel bagliore rosso arancio del camino le sue guance erano diventate tizzoni. Lo specchio che aveva di fronte non mentiva.
Come non mentivano i suoi occhi neri, lucidi e vividi mentre cercavano risposte in quelli di sua nonna.
Bastò un cenno per riempirla di felicità.
Aveva percorso una vita intera quell’amore da ragazzi.
Intenso e solido aveva attraversato bonacce e tempeste e anche i giorni insidiosi del tran tran e dell’abitudine che avevano minato più di una unione delle sue amiche .
Sembrava avesse tratto forza proprio dalla stagione in cui era nato. Calda, a tinte forti, con l’arancio a farla da padrone in tutte le sue sfumature, a infondere ottimismo e gioia di vivere le proprie emozioni, a rinnovare la passione giorno dopo giorno tenendo a bada i pensieri negativi.
Era durato tutta una vita.
L’addio in una gelida giornata di gennaio. Appena il giorno prima. Definitivo, di quelli che pesano come non mai dopo oltre 60 anni di vita in comune.
L’uomo scarno, pallido e con gli occhi infossati, non era più il suo Philippe .Quello che aveva incontrato in quei giorni infuocati di arancione non c’era più da molto tempo.
Si era spento a poco a poco perdendo lucidità e la vitalità che erano state sue compagne da sempre.
Le sue mani sempre più scheletriche sotto le sue carezze, erano fredde da giorni. Come prive di linfa vitale già prima che la vita le lasciasse del tutto.
Sentì una fitta al cuore.
Philippe se n’era andato senza mai aprire gli occhi nemmeno per un ultimo istante.
Avrebbe voluto tanto mostrargli quella foto nella speranza di veder riaccendersi un guizzo di arancione prima che si spengessero del tutto.
Strinse al cuore la foto, chiuse gli occhi.
La voce di Philippe tornò a risuonare per un momento. Le sembrò un concerto mentre su quella via parigina le parole si mischiavano al parlottio delle foglie degli alberi scosse dal vento .
Anche loro cercavano in ogni modo di sconfiggere la legge della loro caducità inevitabile. Si abbandonò al suono dell’una e delle altre cercando pace.
Favola o verità…..dolcemente sognanti sulle rive della Senna
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Diciamo ,Cecilia un po’ dell’una e un po’dell’altra.
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Si capisce nel giusto modo gentile
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Un ritmo lento ed intenso che racconta una vita, chissà di che colore è l’ amore? Credo che sia il colore degli occhi di chi si ama…
Parigi sembra essere solo un piccolo chiodo che regge un bellissimo quadro.
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È la vita, che può cadere come le foglie alla fine della loro stagione. L’amore resta, e se così non fosse non ci sarebbero parole così piene di sentimento, per raccontarlo.
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