La bimba dentro la foto

La bimba dentro la foto – di Lorenzo Salsi

” Guardi qualcuno che scatta la foto. Tu bambina, sfrontata, forse di 6 o 7 anni, occhi luminosi, sorriso di gioia, abbracci Mino un canino a te simile perchè vispo, pimpante, vivace, energico che è attratto a tua differenza da altro , non da chi scatta . La stampa pare più antica dell’epoca dell’istantanea. Qualcosa in te, bambina bellissima, attira il sentimento non solo per il bella che sei ; il sentimento viene rapito dal futuro nei tuoi occhi, dall’avvenire che ti avvolge, da ciò che troverai, dallo sguardo che va oltre, oltre le mie spalle mentre ti guardo in foto. Mi vien naturale pensare che tu abbia avuto una vita piena, anche non bella, si sa le vite nostre non posson esser solo belle, anche da bambini abbiamo i nostri ossi da rosicchiare, come Mino. Vorrei sapere se i tuoi amori son stati gioiosi, se le tue paure ti hanno bloccata, se la stanchezza a volte ti ha vinto, vorrei sapere tutto di te ma non importa se non arriverò a conoscere il futuro che ti vedo negli occhi e che oggi è passato. Conosco altro di te, so che sei stata capace di amare perchè l’abbraccio a Mino parla da solo. Dio mio quanto sei bella con quei due dentini evidenti, l’anellino all’anulare destro, vestita dal cane e del cane, capelli biondi, setosi, tanti, dietro di te forse un arazzo od un tappeto, qualcosa che rimanda all’antico, ai tuoi avi ad altri occhi che ti han passato la luminosità, la naturalezza, il futuro. Chissà subito dopo la posa ti sarai alzata,il caldo estivo ti avrà fatto sudare e col palmo della piccola mano ti sarai tolta il sudore ed i capelli appiccicati sulla fronte, Mino ti avrà guardata adorante anche se avrai avuto proprio sulla tua luminosa fronte quell’alone di sporco, di manine sporche di polvere e gioco, quello sporco che a volte le mamme di un tempo pulivano col fazzoletto bagnato della loro saliva o della tua quando eri un po’ più grandicello. Avrai bevuto a grandi sorsi tenendo a due mani il bicchiere di acqua fresca , non gelata e l’avidità della sete ti avrà fatto perdere dei rivoli di acqua sugli angoli della bocca troppo piccola rispetto al bicchiere. “Bevi piano, fai piano” qualcuno avrà detto per proteggerti. E la sera a buio sarai rimasta sullo scalino più basso del portoncino, ad immaginare chissà cosa o chissà chi, provando forse un piccolo batticuore che fino ad allora era stato solo per Mino. Seduta su quello scalino avrai guardato le lucciole tutte attorno, nella bella notte di piccoli lampi, nella bella notte di lucciole e stelle, nella bella notte, mai bella quanto te.”

Un giorno qualunque

Non sono buona…di Rossella Gallori

Stamani, come sempre, sveglia all’alba, dormito poco e male, chiamo “ la Mile”  che abita vicino a me, mattiniera anche lei, lo xanax ci fa un piffero a tutte e due, la invito a prendere un caffè, cammina maluccio, ma la distanza è poca, per fortuna…un po’ si appoggia un po’ no..

Mi soffermo per una foto bruttacchiola, all’angolo dello “stradone” che poi è una stradina,  la mando al gruppone delle Matite, più per sorridere, che altro…

La Mile ha una vita incasinata, moltomolto, un po’ tanto, dico io, per una persona così buona…Non come me, che mi incazzo per nulla e son sempre in guerra con qualcosa e qualcuno, che poi son più che altro IO

Decido di farla ridere, ci riesco, specialmente, quando mi cade il caffè sul pantalone bianco fresco di bucato, non un goccio, tutto….faccio finta di fregarmene mangiamo le sfogliatelle e ridiamo…sono contenta, per lei, per me, un po’ meno per i miei pantaloni…

Ci salutiamo, lei zoppicando io cincischiando. Lei mi ringrazia, io non so di che, ho quasi dimenticato le macchie marroncine.

All’ angolo, dello stradonstradella un giovane alto fruga nei cassonetti, è un po’ sporchino, ma ha un’aria dignitosa, i nostri sguardi si incrociano, quasi un miracolo per me, che son distante…

Ha due occhi azzurri, come il cielo di qualche giorno fa, i riccioli biondi escono da un cappelluccio rosso, sdruciti ma pulito.

Hai fame? Grido

Annuisce

Aspettami torno!

Non mi capisce, faccio un cenno di stop con le mani, essere italiani aiuta sempre, gesticolatori, noi si nasce..

Corro a casa, non ho fatto la spesa, accidenti al non sprecare…prendo una busta…2 mele, tre nespole, una pera, una banana, ci caccio un pezzo di cioccolato fondente anche troppo, una merendina, un succo. Tutto in fretta,  sono pessimista nel correre all’ angolo, penso, forse  se ne è andato..

Invece è li, cavolo come è bello, avrà al massimo trenta anni, lo zaino militare, la camicia a quadrettoni non abbronzato, cotto  dal sole…

Porgo il sacchetto giustificandomi: non avevo altro scusa..

Lui sorride non capisce, ma gli occhi brillano..

Da dove vieni?

Risponde un’altra cosa: vado casa Polonia…va ok ..ed alza la mano verso destra..

Io so solo che a destra c’è il Girone, l’ Anchetta… farfuglio: forse…

Lo guardo, ci guardiamo, siamo a forse 2 metri uno dall’ altro…abbiamo imparato da poco le distanze…

Ci salutiamo senza parole mettendo ognuno sul proprio cuore la mano destra…quella che indicava la Polonia…

Torno a casa, ho anche  lasciato la porta aperta, mi cadono le lacrime…e se fosse stato mio figlio, mio nipote, il figlio di un’ amica, uno che si è perso, uno che scappa, uno che muore…uno che uccide…uno che polacco non è.

Ed io ho saputo solo preparare un sacchetto di frutta un po’ matura a fine settimana…e porgerla senza parlare..

E se poi fosse malato… e se poi stanotte lo picchiano…cavolo avevo del pane da toast…e se  fosse stato ferito ed io non me ne sono accorta…e se la Polonia è a sinistra invece che a destra…

No, non sono buona ci provo ma faccio casino, come sempre.

Mi tolgo la colpa, mi perdono, asciugandomi le lacrime, colpa del DNA  troppa immaginazione, troppe parole…. Poi i miei, le ville, i soldi, da lasciare “ uncelavevano” quindi mi han lasciato quel che avevano…la vita…

Temporale di giugno

Il temporale – di Cecilia Trinci

Comincia con un brontolio lontano e lampi bianchi che accendono la notte. Il mare non si vede più, avvolto in un grumo nero. I marinai in viaggio devono pregare già e mi sveglio pensando a grandi onde nere. L’albero ondeggia e sembra perdere l’equilibrio ad ogni sventagliata. Poi arriva il rumore di fiume in piena: una cascata d’acqua si scaraventa sul tetto, sulle pareti, contro i vetri. L’acqua si rovescia, si contorce , sbudella piante e terra allagando tutto quello che incontra in pozze tormentose, punteggiate di schizzi malvagi. I lampi illuminano a giorno accompagnati da rimbombi che fanno eco nello stomaco, proprio vicino al cuore. La vallata verso il mare raccoglie e amplifica echi esplosivi. I rami secchi cadono, lo scroscio accompagna i lamenti delle foglie verdi che non vogliono morire. I gatti tacciono, nascosti. Le coperte non bastano a tenere a freno il terrore e neppure il freddo. E se la pioggia entrasse? Se il vento scoperchiasse il tetto? Se entrasse la notte come il lupo dei tre porcellini? Il gatto arriva e si nasconde ma resta vicino. Protegge e si fa proteggere. La pioggia aumenta…sembra un aereo a reazione, un tornado…cresce il vento e ululano anche i muri. Nella notte, fuori, come mille lampioni accesi per attimi infiniti si rischiarano terra e cielo contemporaneamente. Non si regge l’ansia che cresce…anche se sotto sotto si capisce la bellezza della tempesta. Mi affaccio, attraverso i vetri leggeri, su tutte le sfumature di un nero infuriato. Scommetto su quanto potrà durare e per fortuna perdo. All’improvviso, un attimo prima che la paura raggiunga il massimo, mentre un chiarore rosa sale dai monti, il vento smette di colpo e il tuono più forte è anche incredibilmente l’ultimo. La pioggia si fa leggera, diventa piano piano un ticchettio sommesso. Qualche tuono rimbomba ancora in lontananza , ma piano, come un saluto. Sale una fioca luce che sembra dire “buongiorno, nonostante tutto!” . Il ticchettio ora è una ninna nanna sul tetto, che fa compagnia che consola…che dice dormi…dormi…dormi. E piano piano si torna a dormire, cullati, abbracciati dai fiori che bevono.

È una farfalla gialla

È una farfalla gialla – di Cecilia Trinci

È una farfalla gialla come l’elicriso, che vola intorno… mi tocca appena, leggera sul ginocchio mentre leggo un libro bellissimo di Saramago: Le intermittenze della Morte.

Appare spesso così, nostro babbo, quando sto sul mare con la mia sorella, ma di solito è un papiglione a strisce gialle e nere, grande, con grandi ali a punta, con una codina nera.

Oggi sono sola. Leggo questa scrittura magica, che scivola giù come burro aromatico e lui, la farfalla, appare dietro l”elicriso…poi sparisce contro il cielo blu. Forse non è lui, penso leggendo e una parola dietro l’altra arrivo in fondo, quando la Morte si innamora del violoncellista e smette di uccidere perché l’amore è più forte.

Penso che è un libro bellissimo scritto da premio Nobel da un premio Nobel vero e guardo il cielo con le nuvole blu.

La farfalla gialla appare, di nuovo, improvvisa. Gialla dietro l’elicriso d’oro. Mi sfiora appena il ginocchio saltella….si avvicina, si allontana….. e scompare. Nel blu.