Il ritmo della pausa

Pausa – di Laura Galgani

Una parola fatta apposta per me

Pausa. Già la parola di per sé mi piace.

Sono quelle vocali contigue, le stesse del mio nome, a farmi provare qualcosa di gradevole nel pronunciarla.

Le vocali danno apertura: prima la A, poi la U, se la pronuncio a voce alta ho la sensazione di provocare prima un piccolo scoppio, subito fuori dalle labbra, poi l’evasione di un suono che si allunga e si estende via via allontanandosi da me, finché scompare nel nulla.

Pausa è ciò che sta dentro due parentesi tonde. Uno spazio vuoto, indefinito, una sospensione elegante e consentita. Ognuno lo può riempire come preferisce. Ma può anche decidere di non riempirlo affatto.

Pausa è il silenzio fra una nota e l’altra. E’ l’orecchio che si tende nell’attesa del prossimo suono. Come sarà?

Pausa è l’istante in cui il direttore d’orchestra è sul podio, davanti a sé gli orchestrali tesi, vibranti di energia pronta ad esplodere in musica, ma ancora no. Il direttore non ha sollevato la bacchetta.

Pausa è tutto ciò che era, ma non è ancora ciò che sarà. E’ un’eterna attesa, la perfezione del nulla, del possibile e di ciò che non sarà mai.

Pausa è l’intervallo fra una goccia di pioggia e l’altra sul tetto mentre scrivo.

La pausa dà il ritmo, crea il movimento, spezza l’uniforme e grigio divenire delle cose.

Pausa è assenza, anche assenza di respiro fra un “in” e un “es”. E’ il momento in cui mi è consentito scendere dentro di me, nei miei cantucci più nascosti e farmi un saluto. Ma è solo un istante. Poi devo riprendere aria e vengo risucchiata su, in superficie. Fino alla prossima pausa.

Anche il cuore ha bisogno della giusta pausa fra un battito e l’altro. Né troppo lunga, né troppo breve. A volte la pausa si sacrifica, se c’è da fare una corsa o se un’emozione intensa richiede più sangue. Ma poi si riprende i suoi spazi, torna a segnare quel ritmo perfetto che mi fa stare bene.

Dicevo del suono “AU” che mi piace. Sì, lo so, anche in paura il suono è lo stesso, in fondo fra pausa e paura cosa cambia, solo una consonante! Sì, ma cambia anche l’accento, che in paura è sulla “U” e questo rende la parola molto, molto più minacciosa. Le due parole però sono collegate: che cos’è la paura se non una pausa fra due certezze? E come farei a riconoscere una certezza se non ci fosse una pausa, un vuoto fra l’una e l’altra a metterle in dubbio?

Pausa caffè, pausa pranzo, mi prendo una pausa… mi fa tutto pensare al riposo, al buon cibo, ad un momento per me dopo e prima momenti non miei. Pausa e silenzio, pausa e quiete, pausa e un foglio bianco, il suono AU come in aureo o in aurora. Un vuoto apparente in cui si manifesta l’oro, la luce.

E a grandi pennellate ci dipingo il mondo.

Una pausa

 Il valore della pausa – di Vanna Bigazzi

Non è facile il compito di chi segue, indirizza, fa crescere un gruppo. Potrebbe apparire semplice trovare “scintille,” seminarle e poi raccoglierne i frutti.

“Ma guarda che belle idee sono venute fuori” oppure: “Ma come abbiamo spaziato!” Ancora: “Non credevamo avremmo potuto arrivare a questi livelli…” Non è solo così. Un lavoro di crescita, va pensato, organizzato, vanno create le condizioni per avere partecipazione, non è tanto semplice. Chi guida un gruppo deve essere lungimirante. Favorire la comunicazione di più persone, è senz’altro cosa complessa. I gruppi sono soggetti spesso a contrasti, incompatibilità e l’emotività fa sentire il suo peso. I concetti vanno intervallati, a volte è necessario dare pause di riflessione. E’ giusto, corretto e umano, provare questa esigenza. Ci si può trovare nella condizione di essere “registi” affidando  però l’iniziativa anche agli “attori”. Questo non è facile, perché spesso il punto di vista dell’”altro” può essere ignorato e si può pensare che il “nostro” sia l’unico che possa aprire un varco. Questa situazione, non può essere imputata alla “Guida” che per quanto competente, organizzata e capace di guardare lontano, non può del tutto ovviare alla poca autodisciplina del gruppo. Io credo, quindi, che in questi contesti, in cui si può essere creato smarrimento, come quello che stiamo vivendo relativo al coronavirus, “la Pausa” divenga elemento essenziale e che si autoproponga, giungendo in modo del tutto spontaneo. Dopo una pausa “sentita” è naturale ricominciare, con migliori energie e forze nuove, in vista di cambiamenti, con una maggiore predisposizione a collaborare. Le riflessioni aiutano il cambiamento e fanno chiarezza sulle nostre scelte: su cosa sacrificare e cosa portare avanti con uno sguardo concreto su ciò che abbiamo realizzato. Ciò può essere, più o meno, conforme ai nostri progetti, comunque è una verità, tangibile, un dato di fatto che rappresenta le fondamenta sulle quali poter continuare a costruire.