Terzo aprilante

Riflessioni d’aprile – di Elisabetta Brunelleschi

Siamo in casa da cinquanta circa giorni, usciamo solo per la spesa.

L’ultimo giorno di vita che definisco normale, è stato per me sabato 7 marzo e ora l’aprile sta volgendo al termine.

Come tutti sto aspettando quella che hanno chiamato fase due: andremo fuori, i negozi apriranno, potremo ricominciare a fare escursioni in gruppo, vedremo qualche amico, parente … ? Lo spero!

Io mi sento già al traguardo, qualcosa dovrà cambiare, c’è il sole, la luce del giorno continua fino a sera, è questa la stagione giusta per uscire e gustare il profumo dei glicini.  

Ma tutto questo tempo che ci ha visti in casa cosa mi ha portato?

Inizio da alcune fondamentali considerazioni:

– noi ( io e la mia famiglia ) non ci siamo ammalati, il virus non ci ha contaminato,

– non siamo stati colpiti neppure da altre malattie, che in questa emergenza non so come saremmo stati accolti da un medico di base, un pronto soccorso, un’ambulanza, …

– nessuno tra i parenti è stato contagiato,

– gli amici e conoscenti colpiti dal virus, ad oggi tutti guariti o in via di guarigione, li conto sulla dita di una sola mano;

– gli spazi delle mia casa sono stati sufficienti per il nostro agire quotidiano, abbiamo anche un piccolo giardino e due cantine, una per me e una per mio marito,

– la figlia ha il suo appartamento, ma in questa emergenza spesso ha pranzato e cenato con noi, alla fine siamo stati insieme più ora che nei tempi che io definisco ‘normali’,

– tra condomini ci siamo ritrovati in reciproca sintonia, abbiamo dialogato dalle finestre, appeso tra i balconi dell’ultimo piano un grande striscione con l’arcobaleno, e poi ci sono stati il brindisi di auguri pasquali e il coro del 25 aprile, con la promessa di un incontro dai balconi anche il primo maggio,

Quindi non mi devo non mi devo lamentare, i miei affetti sono qui e tutto quello che mi circonda è importante e ha valore.

Mi sono accorta che sono stata capace di vivere con poco e anche in queste quattro mura mi sono arricchita.

Evidentemente dovevo riscoprirlo con l’obbligo di clausura a cui ci ha costretti una malattia sconosciuta e invisibile che all’improvviso e inaspettatamente ha assalito un popolo intero.

Il silenzio che in questi 57 giorni ci ha coinvolto è stato per me come un sogno. Una pace improvvisa e insperata. Non so immaginare il caos che prima o poi tornerà. Ma veramente è indispensabile, alle nostre vite, correre da una parte all’altra, pigiare sull’acceleratore per raggiungere qualsiasi meta e in poco tempo?

Quasi quasi vorrei che questa lentezza, questo silenzio continuassero ancora per un po’ per starmene qui ad ascoltare solo i fievoli mormorii che per pochi attimi vengono a interrompere la quiete.

Agogno anch’io la fine della clausura, ma in maniera morbida, leggera, con uno sguardo agli affetti vicini e lontani. Solo l’idea di poter rivedere  nel reale i tanti amici e conoscenti mi riempie di emozione.

E sono certa che in tanti hanno riscoperto questi semplici ma irrinunciabili valori, magari solo guardandosi dentro e sentendo presenti le persone della famiglia.

Le cose desidererei subito sono: 

– poter fare una grande passeggiata insieme al mio gruppo, mi mancano i boschi, i prati dei crinali appenninici, le valli strette solcate dai torrenti gorgoglianti, i mille fiori che sbocciano in primavera e il nostro dialogare tra il serio e il faceto,

– andare in biblioteca, ho in testa libri da consultare, da prendere in prestito e altri da riportare,

– sedermi sulla panca di una chiesa in raccoglimento, e ritrovare nei miei luoghi sacri di Paterno e Ruballa, i volti noti del sabato e della domenica.

– poi un po’ di cura di me stessa: il dentista, un bel taglio ai capelli, qualcosa in una merceria ( ho già l’elenco ),

– e una visitina al vivaio, ora bisogna mettere a dimora le aromatiche, le piante da fiore per le aiuole e i balconi.

Ecco nella luce di questi giorni pochi piccoli passi con nel cuore la sicurezza di un respiro un po’ più ampio.

Incontri sotto tono

Il lockdown era finito – di Nadia Peruzzi

Se ne stava lì ad una ventina di metri sotto l’acqua.

Il lockdown era finito solo da poche ore ma si era talmente abituato al silenzio e allo star da solo che il bagno di folla dello sciogliete le righe aveva deciso di non viverlo proprio.

L’angolo di pace era un po’ insolito, lo sapeva.

Ma lui era sempre stato un tipo un po’ fuori dagli schemi. Il mare era una delle poche cose che lo faceva star bene. Ancor più quel silenzio irreale che trovava appena si immergeva.

Anche quel giorno era così. Ascoltava il silenzio e osservava i giochi di luce che i raggi del sole gli regalavano. Talora lampi, talora migliaia di lucciole che si rincorrevano, intrecci di un caleidoscopio con forme infinite e tutte magiche.

Ogni tanto vedeva passare un pesce che gli dava un’occhiata distratta, poi un colpo di pinna e via. Era un estraneo a quelle profondità e un estraneo cui si poteva prestare interesse uguale a zero.

Meno male, si diceva in quei momenti, che da estraneo aveva fatto in quei luoghi sempre incontri pacifici.

Il colpo d’occhio indifferente lo considerava un successo, visto che non era venato di sospetto o aggressività.

Quel giorno stava appoggiato ad uno scoglio, pensieroso. Si immaginava il gran can can dopo i giorni della quarantena collettiva.

Sentì una pressione alla schiena. Prima impercettibile, poi più forte. Un vero colpo lo costrinse a farsi da parte.

Vide uscire da una fessura nella roccia un tentacolo, seguito via via da tutti gli altri. Fu così che si trovò a tu per tu con un polpo grande quasi quanto lui.

Sentì il suo cuore che batteva all’unisono con i cuori del polpo. Battiti accelerati come se l’incontro inatteso avesse fatto agitare anche il polpo, non solo lui.

I tentacoli erano tutti in gran movimento. Dopo esser rimasto dentro l’angusto pertugio da cui era uscito, era chiaro che aveva bisogno di distendere ogni sua fibra. Era quasi un balletto vestito di eleganza.

Gli occhi si incrociarono per un attimo. Sorpresa mista a curiosità sembrarono attraversarli. Era già qualcosa di più rispetto all’indifferenza del pescetto che era passato lì davanti poco tempo prima.

Giulio era tentato di risalire. Non trovò il coraggio, né la forza di darsi la spinta. Rimase lì a osservare imbambolato il polpo che si stava ancora stiracchiando vicino a lui.

Era così vivo e vero dentro al suo ambiente liquido che quasi si aspettava che parlasse.

Quasi si aspettava di veder uscire dalla bocca persa in mezzo ai suoi tentacoli, una bolla fumetto in cui fosse scritto qualcosa su cui poter avviare una conversazione qualsiasi. Invece nulla. In un nuovo balletto il polpo si allontanò perdendosi nel buio.

Non gli sarebbe dispiaciuto, pensò Giulio, poter intavolare una chiacchierata con qualcuno di così diverso da sé.

Tuttavia pensò anche che se si era costretto a 20 metri sotto il pelo dell’acqua in un momento di parziale liberazione e di recupero di spazi di contatto con gli altri esseri umani un motivo c’era.

Preferiva il suo guscio da solitario. Era questo il motivo.

Degli altri, in fondo, non gli fregava nulla di nulla e da molto molto tempo. Se valeva per gli umani, figurarsi per un polpo. 

Viveva appartato, distante da tutto e da tutti.

Le cose attorno a lui lasciava che accadessero più che decidere di farle accadere.

Tutto nella sua vita era andato diversamente da come se lo era sognato, ma non aveva fatto nulla per cambiare lo stato delle cose.

Un po’ grigio e senza qualità lo era sempre stato. Fino da piccolo aveva inseguito gli altri qualunque cosa facessero, mai si era fatto inseguire.

Privo di slanci, privo di vere passioni si era imbarcato in storie e amicizie cercate dagli altri più che da lui e che non erano durate. Non avrebbero potuto.

Si barcamenava in tutto, senza eccellere in niente.

Uomo senza interessi, senza qualità, senza curiosità

La curiosità la giudicava pure malsana e faticosa. Troppe idee, troppe domande a cui cercare in vario modo risposte in una rincorsa infinita e per lui senza senso.

Non aveva voglia di domande.

Aveva voglia di lasciarsi andare. La vita era il flusso che muoveva gli altri attorno a lui, ma lui si era sempre guardato bene di entrare in quel flusso.

La quarantena l’aveva accolta con gioia.

Poteva tenersi a distanza da tutto e da tutti, camuffarsi dietro alle mascherine protettive che nascondevano sorrisi e espressioni malevole, evitare di salutare anche i vicini di casa fingendo che, dietro la barriera, nemmeno lo riconoscessero.

 La tv, occhio parossistico su un mondo in ebollizione  dal quale lui non si aspettava niente di buono, spenta da molto tempo, da prima che la pandemia la invadesse!

I libri, banditi ! Rischiavano di allargare l’orizzonte mettendogli in testa strane idee.

Il suo era un guscio legnoso nel quale finire di rinsecchirsi.

Risalì di malavoglia in superficie. Si accorse che la sera era calata e che fortunatamente non c’era nessuno in quel tratto di costa.

Il polpo lo aveva già dimenticato.

Anche i ricordi, in lui, non duravano quasi niente