E se invece io fossi un polpo – di Rossella Gallori
…quella canzone mi ronzava in testa, mi sembrava di averla sentita in un tempo molto lontano, così lontano da sembrare solo un piccolo specchio rotto, abbandonato in una borsa sdrucita di cuoio una volta chiaro….sentivo il ritmo incalzante in ogni centimetro di pelle, la cantina in piazza Pitti, con le candele che grondavano cera, mani audaci, bocche disponibili, vino da poco o forse usava la tequila, il limone…quel leccare il dorso della mano, quel bere per esserci, quel fumare per sembrare più grandi…ricordo tutto bene, la storia si era ripetuta…non avevo più i calzettoni, ma parigine nere, il medico era lo stesso, quando perdevo la bussola mi riportavano li.
Esordì con un: ti trovo cambiata…
Risposi con mezzo sorriso imbronciato, dietro di lui un quadro immenso una notte stellata, una luna immensa, un contrasto così netto che mi affascinava, avrei voluto chiedere, se era stato messo lì per accelerare le sue diagnosi, non lo feci…
Che animale vorresti essere?
Risposi un cane morbido senza guinzaglio..
Avrei potuto rispondere, un gatto, un’oca, un lupo, un serpente… tanto sapevo già come andava a finire…
Ricordo bene, anche le cento lire in tasca, pronte per il caffè…il barretto in Santa Felicità…la voglia di urlare….lui che mi aspettava, la macchina in moto…e quell’ inchiostro nero che era il mio pensare…il pensare di allora, che ritrovo oggi, in questi giorni che Dio non sa gestire, con la scienza che fornisce dispense complicate, numeri come spilli senza capocchia, algoritmi cupi come pozzi d’ acqua non potabile…
Se ritrovassi quel medico, se riuscissi a contattarlo frugando nell’agenda dei miei pensieri, certo con passati più di cinquanta anni, tanti, ma mai troppi…vorrei rispondere senza veli alla sua domanda…senza quella luna, senza quelle stelle…senza quel quadro…Sono un polpo dottore, posso diventare invisibile, ho perso il guscio da quasi sempre, sono preda di foche, delfini, gabbiani…esseri umani, mi sono riprodotta tante, tante volte senza rischio, ma ho tre cuori, che battono all’unisono, ho otto tentacoli, una intelligenza che mi permette di scegliere….se uscire o entrare in uno spazio…e “ MANDO MESSAGGI DI INCHIOSTRO NERO, NERO….TENTACOLI SENZA TENTAZIONI….TROPPE BRACCIA PER NON ABBRACCIARTI”
Quella sera, all’imbrunire, e nonostante il freddo pungente e il vento che ululava gelido, volli salire sulla terrazza del Pincio. A quell’epoca lavoravo a Roma e dopo una giornata di lavoro “Romana” avevo bisogno di aria, anche se sottozero.
In effetti quel tipo di tempo era abbastanza inconsueto per la capitale, nota per il suo clima mite.
Non era sempre stato così. . la Roma dei Cesari era notevolmente più fredda di oggi, il che aveva fatto pronunciare al Duce nel terribile inverno del ’42 la famosa frase sul clima e gli Italiani…. Sorrisi. . e gli Italiani gli avevano creduto.
Con questi pensieri sbucai sulla famosa terrazza. Nessuno. Proprio come avevo immaginato. Ed era anche quello che desideravo: solitudine e un panorama, a dir poco, insolito.
Già. . il sole, tristemente invernale, ma ancora fulgido, stava riaffacciandosi dalle nuvole nere che ricoprivano il resto del cielo. Gettava una luce giallo sanguigna sulla visione dei tetti e dei colli.
E io mi beavo di quel panorama fine di mondo…
Certo però che il vento fischiava forte. Girai lo sguardo per individuare una panchina tra tutte le altre, ovviamente deserte, e riuscii a trovarla.
Però, con grande stupore vidi che era occupata.
Quindi c’era qualcun altro che come me era d’umore nero.
Fu giocoforza, chiedendo scusa e permesso, sedersi accanto al mio compagno.
Questi era assorto non so in quali pensieri e fece appena un gesto cortese e accondiscendente spostandosi leggermente, per poi tornare a fissare un punto lontano, immerso ancora in imperscrutabili pensieri.
Lo guardai di sottecchi perché il suo aspetto, ma ancor di più il suo abbigliamento, mi avevano abbastanza colpito da suscitare la mia curiosità.
Capelli nerissimi, quasi violacei, naso leggermente aquilino. Lineamenti decisamente aristocratici, anche un po’ sdegnosi. Il colorito: leggermente abbronzato, con sfumature color rame che il sole sanguigno faceva risaltare.
Ma gli occhi, completamente neri, ma lucidissimi, parevano esplodere di luce propria, suggerivano l’idea di un’energia straripante ma contenuta. . e tuttavia pronta ad esplodere al minimo tocco.
Non potei resistere alla tentazione di saperne di più. . e cercai goffamente di imbastire una conversazione.
“Ehm”esordii”vedo che anche lei non si fa impressionare da questo tempaccio. . forse anche lei ama la solitudine che solo questo vento può regalarci in un posto tanto famoso… ”
Si voltò leggermente verso di me, dardeggiando quei suoi occhi fumosi.
Lo guardai meglio. . un principe (non ebbi mai dubbi su questa attribuzione. . doveva essere un principe). . un principe orientale?!Un cadetto esule e spodestato?!IL Vicino Oriente era abituato alle lotte dinastiche ereditarie. .
Ci fu un breve silenzio. Ma alla fine parlò. Una voce morbida, virile ma non troppo, dolce ma severa. Una voce d’angelo, pensai, e ne fui incantato.
“Sì, ha indovinato, mi piace la solitudine. . l’essere solo…mi fa sentire sicuro. . ”
Che risposta strana. Mi feci più audace. ”Scusi l’impertinenza. . ma. . posso chiederle come mai è qui a Roma?!”
“Oh” rispose”per me tutto il mondo è paese. Ma Roma ha un ché di speciale, per me. . mille e mille ricordi. . non tutti piacevoli”
Allora mi autorizzava a continuare. .
“Eh sì… ”solidarizzai” Eh sì… tutti abbiamo ricordi, alcuni tristi, alcuni lieti…. ma alla fine tutti troviamo il nostro equilibrio. ”
“Io no!” era un sussurro e un grido.
Rimasi bloccato, quale mai punto sensibile avevo toccato?!
Ma il personaggio si ricompose subito. E fu come se le parole troppo a lungo trattenute gli uscissero fuori contro la sua volontà.
“Ma sì…le dirò della mia vita. Tanto anche se andasse a dirlo in giro non le crederebbe nessuno. ”
Rimase un momento silenzioso, forse raccogliendo i pensieri.
“Immagini” cominciò ”immagini un regno. .. un regno felice, immensamente esteso e fuori del tempo. Ecco ”immortale “, come si dice qui.
“Ma l’ambizione… la sete di potere covavano anche in quel regno beato.
“Ci fu una rivolta. La guidava mio fratello. E vinse. Io e la mia fazione fummo scacciati, inseguiti. . maledetti.
“Non abbiamo riposo, e nessuno, in tutta la Galassia, vuol aver niente a che fare con noi…. eterni Olandesi Volanti…”
Non seppi che dire… il vento sembrava fare da contrappunto alla sua disperazione.
Però osai dire: ”Ma davvero non può far nulla. . ?! Lei a quanto mi dice era potente…un principe. . e suo fratello, un usurpatore. Davvero non può difendersi?!
Per la prima volta sorrise…
“E come. . ? Mio fratello ha il pieno controllo della propaganda. Ha convinto tutti, ma proprio tutti che io sia il “male” assoluto. Ed è per questo che non le dirò il mio nome. . Lo faccio per lei. Non deve saperlo. . e non lo sappia mai. . ”
Ma ormai ero stravolta dalla curiosità.
Lo pregai, lo implorai. . giunsi ad insultarlo.
Si mosse a pietà.
Sollevandosi verso il sole morente mi fece il dono.
“Saa. . taa. . naaa”
Ma forse era il vento terribile, non posso giurarci.
Non andai più al Pincio e poco dopo fui trasferito a Firenze.
Se guardo l’anello che stringo nella mano destra – luminoso, d’oro bianco, un cerchio perfetto – vedo che si intreccia con altri due, uno a destra ed uno a sinistra. Non sono uguali al “mio”, nient’affatto: quello di destra è trasparente e scompone la luce nei colori dell’arcobaleno; quello di sinistra è di giada, freddo sulla pelle ma vivo e antico.
Ognuno di questi anelli – perché ce ne sono infiniti, agganciati gli uni agli altri – è un pezzetto di me che va in giro a conoscere il mondo. In questo momento uno è sulla cima del cedro del libano nel giardino dei miei fratelli, qui vicino, e sente il vento forte passare fra i rami protesi sulle case; uno è sulla spiaggia di Castiglione della Pescaia a caccia della luna, un altro ancora è stretto fra le mani di un malato all’Ospedale del Ponte a Niccheri, un altro ancora nella tasca del camice della mia giovane cugina Benedetta, medico di terapia intensiva a Siena. Questi sono solo alcuni. Di molti so esattamente dove sono, di altri so solo che sono in viaggio e ogni tanto mi mandano notizie. Altri ancora sono così lontani nell’Universo che per sentire i loro messaggi devo mettermi in silenzio e ascoltare attentamente. Dopo un po’ li vedo, viaggiano a tutta velocità fra un pianeta e una stella, incontrano esseri di luce con i quali scambiano bagliori intermittenti. Di sicuro usano un linguaggio segreto che la mia mente terrestre non è in grado di capire, ma il mio anello d’oro bianco sì. E allora il messaggio arriva anche a me. Quando questo accade stringo la mano e piango di gioia.
Non m’importa di non avere un “io” tutto intero. Non saprei cosa farmene. Non mi piace sentirmi reclusa in questo stesso mio corpo, che oggi c’è, domani chissà. La felicità è conoscere attraverso tutto ciò che esiste. Essere un pezzetto di tutto ciò che è.
Stringo un sasso, ne sento il calore, se è stato al sole; o la freddezza, se siamo in inverno. Dentro quella materia, apparentemente muta e immobile, c’è uno dei miei infiniti anelli, a suo modo unico, prezioso, e mi racconta la vita del sasso. O meglio, la racconta al mio anello d’oro bianco, che trova sempre il modo di farmi arrivare l’essenza del messaggio. Certo, non tutti sono facili da comprendere; quelli che mi arrivano più facilmente sono quelli che provengono dai fiori. I miei anelli – tutti colorati delle sfumature più ricche – si divertono moltissimo a piazzarsi dentro un bocciolo di rosa antica profumata, o sul centro scuro di un girasole della Maremma, sulla fresia viola del terrazzo di casa o sul papavero rosso fuoco che spunta dal muro di pietra di Via Fortini. E mi raccontano un sacco di cose. In questo modo, io divento un po’ papavero, girasole, fresia, ma anche ape, calabrone, passerotto. Sono dappertutto, vivo e sento attraverso tutto ciò che è. E non ho nostalgia di me.