Solitudine matrigna

Quando finalmente “sarà un altro giorno” – di Nadia Peruzzi

Il quadro era appeso sulla sinistra in una sala immensa che ne conteneva tanti altri.

Lo aveva visto tradotto su carta più o meno patinata ma trovarselo li davanti era tutta un’altra storia. Ne aveva già visti molti quella mattina,  in quel tempio che concentrava  testimonianze altissime dell’arte pittorica di tutti i tempi.  Ci arrivò che era anche un po’ stanca. I sensi appannati,  come la volontà di procedere oltre. Il torpore che sentiva prender campo dentro di sé,   dovuto anche al caldo,  stava rischiando di avere la meglio volgendosi in disinteresse.

“Questi grandi musei,  si disse,  a volte si traducono in vera faticaccia da gara di resistenza. Si parte bene,  con i sensi al massimo per finire stremati e confusi per la quantità di suggestioni,  emozioni,  stili,  nomi,   storie da immagazzinare e catalogare nel proprio archivio personale. ”

Se lo trovò davanti quasi per caso. Aveva sbagliato a girare a destra e si era trovata in un secolo che era uno scarto rispetto a quello che aveva appena lasciato.  Ecco lì “Bagnanti ad Asnières” di Georges Seurat!

Lo vedeva per la prima volta e ne fu conquistata. Non sapeva nemmeno dire perché . Forse per la tranquillità che riusciva a trasmettere o forse per la luce di quel pomeriggio assolato che scolpiva figure e paesaggio e si rifletteva sull’acqua del fiume.  Forse per l’insieme di natura,  operosità umana scandita dalle fabbriche in lontananza e la sensazione di imprevedibile necessità di fermarsi e prender fiato di fronte al bello,  arrivando a spogliarsi per godere di ciò che la natura offre e spesso trascuriamo.

Non riusciva a staccarsene.

Girò per la sala e finì per tornare a fermarsi lì davanti.  Entrò nella sala successiva ma sentendosi come il polo di una calamita che in cerca di quiete aveva bisogno di ricongiungersi col signore e padrone dei suoi movimenti. Ogni riferimento era perso. L’amica che era con lei,  sparita in chissà quale sala. Ad ogni giro le sembrava che anche le persone attorno a lei diminuissero di numero.

Eccolo l’attimo magico in cui cuore e mente si prendono per mano e ci si ritrova,   in perfetta solitudine,   a tu per tu con l’infinito.  Anche la luce sembrò smorzarsi dietro le sue spalle per concentrarsi a illuminare solo ciò che i suoi occhi stavano guardando. Una mano invisibile sembrava la stesse per trascinare su quel greto erboso dando concretezza al sogno ad occhi aperti che stava vivendo.

La riscosse il brusio di una famigliola che le passò accanto senza dedicare grande attenzione al quadro.

Se ne dispiacque quasi. Si voltò di scatto trovandosi immersa in una folla che non aveva percepito. Dovette sedersi per vincere il senso di lieve vertigine. Con calma si riprese mentre ripensava alle altre volte che aveva provato una simile sensazione. Che fosse in compagnia o meno,  quel click era scattato in contesti diversi,  per suggestioni e stimoli  che erano riusciti a unire ragione e sentimento in un tutt’uno che l’aveva trasportata per un attimo più o meno lungo a superare la barriera dello spazio e del tempo.

Con commozione e un gran peso sul cuore si era immaginata vestita di stoffe grezze e pelli insieme i Druidi che si aggiravano per i loro riti in mezzo alle pietre di Stonehenge,  in un piovigginoso e brumoso pomeriggio trascorso nella campagna inglese.

Divisa per abiti e atteggiamenti si era vista di fronte alla incombente facciata del duomo medioevale di Bamberga e a passeggio nel giardino della Residenza cinquecentesca  dei Vescovi principi a meno di cento passi di distanza sulla gran piazza che le ospitava entrambe. Dal belvedere sulla città aveva visto scolorire i palazzi del presente e affiorare le casupole e le costruzione di allora che avrebbero dovuto indurre a limitare il raggio del pensiero e dell’azione e invece era chiaro che l’intenzione era stata quella di voler parlare al mondo e in chiave universale.

L’aveva provata ad Urbino in quel palazzo così grande da ricomprendere tutto il  territorio della Signoria,   di fronte alla Città ideale di Laurana.

Più spesso nella sua città ogni volta che si trovava a passare in quell’intreccio incredibile di meraviglie che era Piazza del Duomo.  Gli artisti che le avevano costruite e adornate avevano menti eccelse,  come i loro committenti. Avessero dovuto progettare e programmare per l’accrocchio di casupole e vicoli malsani non avrebbero osato varcare la linea del possibile per osare di giungere a realizzare,  provando e riprovando,   addirittura l’impossibile.

A volte la capacità di astrazione dal presente la portava a mettersi in dosso gli abiti di quella storia per aggirarsi in quei luoghi riuscendo a scorgere le impalcature e la miriade di maestranze al lavoro. Se chiudeva gli occhi le pareva di sentire le loro voci. e gli ordini  che veniva dati di volta in volta.

Qualche volta il rapimento era capitato di fronte a fenomeni naturali .  Era con suo marito  e sua figlia a Mont Saint Michel . La marea era arrivata con la sua forza sconvolgente e aveva messo in discussione ogni suo pensiero e ogni sua certezza.  In quella forza,  in quella potenza pacifica ci si era perduta per un lungo momento.  Sia che la vedesse arrivare scivolando luccicante dalla linea dell’orizzonte per riconquistare man mano lo spazio perduto,  sia che fissasse un punto in basso,  non distante dai suoi piedi.  Era schiacciata,  intimorita da quella inesorabilità che risvegliava paure ancestrali . La fragilità della condizione umana messa a nudo,  da consapevolezza era diventata un artiglio che stringeva la gola e toglieva il fiato.  Per fortuna erano arrivate la mano di sua figlia a sfiorare le sue e le parole stupefatte di suo marito a farle recuperare tutta la lucidità che per un attimo si era smarrita.  

Il dopo l’aveva lasciato sempre sconcertata e per un bel po’.  L’astrazione la portava via da chi le  stava accanto. C’erano emozioni che viveva e aveva vissuto in solitudine.  Era un dato di fatto. Lo era sempre stato.  Era un moto del suo essere a condurla in quella dimensione,  ma la solitudine non la considerava lo stesso una compagna.

Ci si immerge volentieri adesso dopo una giornata passata con i nipoti,  ovviamente esigenti e desiderosi di tutte le attenzioni.

Ci si era immersa ai tempi dello studio,   quando non ce n’era per nessuno,  perché la sua cifra era sempre stata la costanza e la fatica più che il prendere le cose al volo,  lasciandosele anche scorrere un po’ dietro le spalle. Aveva sempre preso di petto il mondo,  lei. Forse sbagliando,  ma era andata così e tutto sommato non le era dispiaciuto.   

Le piaceva rincorrerla quando sentiva il bisogno di ritrovarsi perché aveva smarrito un po’ delle sue coordinate abituali e si scopriva spiazzata e più fragile.  Era una condizione naturale quando si voleva dedicare alla lettura e alla scrittura

Andava bene se la sceglieva e quando la sceglieva le era capitato di coccolarla pure per un momento.

“Ma l’ode alla solitudine no. Non ho nessuna voglia di cantarla. Devo esser sincera con me stessa. Anche adesso che sono qui e sto scrivendo e sento che mi piace e mi fa bene, ” si disse.

Avrebbe voluto sentire suo marito muoversi in una delle altre stanze,  magari mentre in sottofondo arrivavano le notizie del TG. Avrebbe voluto far l’elenco mentalmente di quelle da commentare con lui preparando la colazione e prima di  immaginare e organizzare le cose da fare nel pomeriggio.

Invece sapeva di dover fare i conti con le tenerezze che le mancavano,   come le mancavano gli sguardi che avrebbe voluto su di sé come donna e non come nonna,  madre,  suocera o amica.

Su tutti questi ruoli contava,   sapeva che avevano un senso e una grandissima importanza,   erano il suo tutto in quello scorcio di vita.

Ma ci si doveva aggrappare per la sua gran voglia di andare avanti senza lasciarsi piegare da ciò che la riportava dritta dentro un passato che non poteva tornare.

L’essere umano vive bene se può giocarsela insieme agli altri questa partita affascinante e faticosa,   irta di ostacoli che è la vita. Là fuori c’e’ un intero mondo da riconoscere e da cui esser riconosciuti. Può bastare a volte una battuta,  un sorriso,   un semplice saluto. La morsa che stringe la gola si allenta insieme all’ansia che destabilizza con le sue mille domande.

Anche a lei bastava poco,  in fondo,  per ritrovarsi come Rossella O’Hara a lanciare via nel vento,   anche urlando se necessario,   quel “Domani è un altro giorno” liberatorio.

Se si fosse crogiolata nella sua solitudine,   se avesse deciso di vestirsene come organza di seta trasparente e morbida,   non sarebbe  riuscita a scrollarsi di dosso i cattivi pensieri e a quella conclusione,  certo da film,  ma in totale sintonia con il suo carpe diem attuale,  non ci sarebbe mai arrivata.

“Si,   domani è un altro giorno”,   si disse! “Si,   dopo  un altro e un altro ancora tornerò ad abbracciare e sbaciucchiare i miei nipoti,  mia figlia,   mio genero e tutti i miei amici . Se volge benissimo anche quelli che incontrerò la prima volta che andrò a fare la spesa sicura che il peggio ce lo siamo lasciati dietro le spalle”.

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

9 pensieri riguardo “Solitudine matrigna”

  1. Si,certi quadri stregano , a me è successo con l”La Pietà “ di Van Gogh,nemmeno uno dei più noti,anzi considerato minore ma che lo mette al pari dei grandi del passato da Mantegna a Piero della Francesca,secondo me.Stessa potenza disperata.

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  2. L’arte è potente ma conta anche il momento, il luogo, il tempo ma principalmente la sensibilità di chi ne fruisce. Belli, tristi ma anche colmi di speranza i tuoi pensieri.

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  3. Ci si innamora …semplicemente, di immagini, di colori, tramonti, albe, è la voglia di far parte di un sogno in cornice, che ci rende umani e fragili

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  4. Immergersi in altre epoche, sentire e “vedere” chi ha popolato strade e piazze prima di noi, essere nel tempo senza fermarlo, rubare una scintilla di eternità… È bellissimo! Grazie Nadia per il tuo lasciarti guardare dentro

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  5. Rileggendo effettivamente era possibile sfrondare la prima parte e limitarmi alla seconda…ma mi piaceva provare anche a descrivere quelle sensazioni di rapimento .

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  6. Scocca la scintilla. Magari guardando un quadro e sentendoti parte integrante di esso. Tutto il resto arriva a trecentosessanta gradi.
    Bellissimo Nadia. Grazie

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