SOLITUDINE IN BIANCO E NERO – di Laura Galgani

La neve aveva iniziato a cadere copiosa appena era scesa dal treno. Si accumulava già sui finestrini appannati del bussino che si arrampicava su per i tornanti, che dalla stazione di Camucia e dalla piana del Valdarno conducevano a Cortona. Era scesa proprio in cima al paese, alla fermata davanti alla chiesa di Santa Margherita, dove solo pochi mesi prima aveva assistito con tanta commozione alla cerimonia di consacrazione della sua amica Cristina, che ora si chiamava Suor Chiara. Le aveva fatto una certa impressione vederla lì, sdraiata sul pavimento della chiesa, a faccia in giù, davanti all’altare, nel momento culminante del rito. Avrebbe voluto stendersi con lei, in quel momento, tenerle la mano o sussurrarle qualcosa all’orecchio, per tranquillizzarla. Sapeva che l’emozione sarebbe stata fortissima, nonostante la sua incrollabile fede.
Si ricordò la sorpresa che aveva provato quando, sedute sugli scalini della chiesa del quartiere, in un pomeriggio di ritrovo del gruppo, dopo la maturità, le aveva chiesto quale facoltà universitaria avrebbe scelto: “Io mi iscrivo a Lingue, non so ancora quali sceglierò, forse tedesco e inglese, tu ci hai pensato”? E lei, che era seduta un gradino più sotto, girò la testa, spostò di lato la treccia rossiccia e con quegli occhi grandi e azzurri come il cielo, mentre le guance le prendevano colore disse, con semplicità: “Sai, Laura, non farò l’università. Per me è chiaro, da tanto tempo. Seguo il cammino di Cristo, mi consacro alla preghiera. Entro in clausura.” “Come, in clausura?” “Sì, ti ricordi quel monastero a Cortona, dove siamo state per gli esercizi spirituali con don Icilio … ci sono tornata, ho parlato con la Madre superiora, ho passato qualche giorno insieme alle sorelle, mi sono sentita a casa, con loro. Voglio consacrare la mia vita alla preghiera, perché anche così si aiuta l’umanità a crescere, a guarire, a migliorare. Anche così si può essere vicini, anzi, ancora più vicini, perché non ci sono distrazioni o interessi individuali, si può entrare in comunione attraverso Cristo, ed essere uniti in maniera autentica. O almeno, ci voglio provare, a farne la mia vita. Ti ho sconvolta? Non te l’aspettavi?” No, Laura non se l’aspettava, proprio per niente. Non vedeva, fino a cinque minuti prima, cosa ci fosse di diverso fra la propria fede, che comunque la proiettava nel mondo, dove voleva studiare, trovare un lavoro, farsi una famiglia, e quella di Cristina, che invece dal mondo voleva apparentemente isolarsi. Le sembrava che i loro cammini spirituali fino a quel momento fossero paralleli, vicini, destinati a sorreggerle nel cammino della vita, affiancandolo. E invece no. Per Laura fu come scoprire la faccia nascosta di una persona che pensava di conoscere bene. Un po’ come quando si scopre che l’altro, che credevi provasse le tue identiche emozioni, invece ha un’amante.
Nemmeno un paio d’anni erano passati da quel momento. Le sue scarpe lasciavano un’impronta evidente mentre percorreva le stradine deserte di Cortona, coperte di neve. Non c’era nessuno in giro. La luce si faceva via via più debole, lasciando il cielo sempre più grigio, uniforme, triste. Laura arrivò davanti alla porta del Monastero di Santa Chiara avvolto dal silenzio. Sentiva solo il battito del suo cuore e il rumore del suo respiro un po’affaticato per la salita e il peso della piccola valigia. Il bianco della neve rifletteva quel poco di luce che ancora proveniva dal cielo, quasi la volesse assorbire avidamente per l’ultima volta. Si fermò un attimo prima di tirare la cordicella della campana, che avrebbe annunciato il suo arrivo. Aveva bisogno di concentrarsi su sé stessa, di ricompattare quei frammenti di sé che da mesi vagavano disordinatamente dentro di lei e non la facevano sentire serena. Anzi, molto confusa e a tratti angosciata, persa. Non aveva ancora vent’anni e la fine di quella storia d’amore proprio non le andava giù. Aveva pensato di arrampicarsi fin lassù, al Monastero, per rimanere qualche giorno e andare fino in fondo a quella nuova solitudine, che non voleva né sapeva accettare. “In un luogo così, dove il silenzio e la solitudine sono l’essenza, devo riuscire per forza a capire!”-aveva pensato risoluta. Ma mentre tendeva la mano alla cordicella provava solo un senso di vuoto nello stomaco e un groppo alla gola mentre le lacrime erano pronte a sgorgare. Tuttavia fece un bel respiro e lasciò che il peso del suo braccio facesse il resto. Il suono argentino della campana le fece rialzare la testa e proprio mentre la porta si socchiudeva e una voce gentile la invitava ad entrare, un delicato sorriso le illuminò il volto. “Venga, lei deve essere Laura” – le disse una voce dolcissima, senza riuscire a vedere da chi provenisse. “Cristina La sta aspettando nel parlatorio.” “Cristina, non suor Chiara” – pensò Laura istintivamente. E’ ancora la mia amica. E si sentì anche lei un po’ a casa.
Una pagina di pace
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un sereno ricordo
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Solo il suono argentino della campana interrompe il silenzio…in alto, molto più in alto….la fede
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Quadro di pace e serenità anche nella scelta di vita .Il suono argentino della campana ha risvegliato anche me.
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Tutti noi in un qualche momento della nostra vita abbiamo bisogno di clausura. Sono i momenti in cui non abbiamo nome
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