Solitudine misteriosa

Paesaggio e solitudine,

ovvero un viale misterioso – di Luca Di Volo

Nell’estrema periferia Est di Firenze scorre una strada che costeggia l’Arno per un discreto tratto. Una strada nuova, realizzata di recente, forse per venire incontro agli amanti del footing o cose del genere. Scorre avendo da un lato il fiume, separata da lui solo per un piccolo argine di erba e argilla. Dall’altro lato la fiancheggia un muro di pietra serena lucida e grigia.

Ma la caratteristica che la  rende insolita è il fatto che si prolunga diritta. . diritta come una spada tra gli olivi che traboccano con le loro chiome dal muro e i pochi alberi che sorgono dall’argine.

Il fondo della via è chiaro, quasi bianco, un bianco che sotto il sole estivo evoca paesaggi e sentimenti che portano a visioni di mondi anche molto distanti dai nostri consueti dintorni.

Ed era proprio in uno splendente mattino d’estate che la vidi la prima volta.

Lunga, diritta, bianca, splendente sotto il sole spietato. Non c’era in giro anima viva.

Ma l’occhio vide e l’anima rispose:   un nome come un lampo:  ”Il viale dei morti”…

Non mi rimane nulla di questa dirompente associazione se non il senso dell’immensità senza tempo che mi travolse.

Già…infatti “Il viale dei morti” esiste davvero. In Messico. E’ il viale che, anche lui diritto come una spada, costeggia le piramidi del Sole e della Luna nell’antichissima città di Tehotihuacan, culla dei Toltechi, antica civiltà mesoamericana. Una civiltà crudele. . iniziatrice e diffonditrice dei sacrifici umani, per esempio.

Ma anche, a suo modo, dotata di grande e creativa grandezza.

Ed ecco la domanda angosciosa che ogni tanto mi tormenta, come una ferita aperta.

Perché. . perché mai quell’associazione incongrua e allucinante?!

Ricordo che la strada mi si parò davanti, mentre sbucavo da una curva che me la nascondeva.

Il silenzio e la solitudine mi assordarono, come il cielo rovente. E il paesaggio. . quella striscia diritta, immensa e abbagliante crearono un trinomio irresistibile. . il muro, lungo e pietroso divenne le due immense piramidi e il cielo d’un azzurro incendiario poteva benissimo essere quello di un Messico tropicale, crudele e misterico.

Non me lo sono mai dimenticato.

Ma la domanda resta, insoluta. . :  PERCHE’?!

Solitudine da soli

Solitudinedi Patrizia Fusi

La vita nel suo scorrere ti mette davanti diverse solitudini.

Non mi piace la solitudine, alcune volte cerco di adattarla alla mio vivere.

Ricordo la solitudine che provavo da bambina, nel tardo pomeriggio quando il sole era per tramontare e gli alberi disegnavano la propria immagine in maniera allungata, nel mio cuoricino era il momento in cui mi mancavano i miei cari, la mia casa, gli odori aspri di cucina semplici ma a me tanto cari.

Questa solitudine che io chiamavo “delle ombre lunghe” l’ho provata per tonto tempo anche quando ero già mamma ma poi piano piano è sparita e rimasto solo il timbro.

Ricordo la solitudine emozionante che per diversi anni provai davanti all’immensità di quel solito tratto di mare. Ricordo la prima volta che passai la duna: era abbastanza in alto in paragone alla spiaggia, davanti a me la lunga conca di spiaggia con questa distesa d’acqua che in lontananza si congiungeva al cielo formando un unico. Il sole era già tramontato il colore prevalente nel mare e su tutto quello che mi circondava era un nocciola chiaro, piccole onde si alternavano dolcemente, un leggero rumore di risacca,  richiami striduli di gabbiani, l’odore della salsedine mi pungeva gradevolmente le narici, non c’era nessuno.

Tutto questo mi procurò una forte emozione che mi invase tutta, facendomi stringere lo stomaco che mi pervase tutto il corpo dandomi un senso solitudine e di pace.

 Credevo che fosse un’emozione costante che avrei continuato a provare per sempre, ma non fu cosi: dopo diversi anni non provai più quel turbamento nel vedere e assaporare il paesaggio marino.

Solitudine di una Pasqua e Pasquetta da sola, sensazione di vuoto, vecchie paure provate da bambina si riaffacciano alla mente irrazionalmente, un senso di abbandono, di non essere amata. In questo giorno sto male da sola, una telefonata rompe questo stato di malessere: l’invito di mio genero ad andare da loro, accetto per il caffè, passo il pomeriggio piacevolmente.

Il giorno dopo nel primo pomeriggio riprovo un forte disagio, neppure le video chiamate del mio compagno né dei miei nipoti mi bastano a farmi passare il dolore. Indosso un vecchio toni e scappo di casa. Attraverso la strada e vado dietro alle fabbriche, non c’è nessuno, inizio a camminare avanti e indietro in questo piccolo tratto di strada, come un topo in gabbia, le ossa delle ginocchia si fanno sentire, inizio a guardare con attenzione , mi abbandono a quello che mi circonda, un leggero vento fa muovere gli alberi che sono sul balzo , producono un fruscio costante e formano una sinfonia musicale, gli uccelli cantano tranquilli nel silenzio che circonda il tutto, i primi papaveri rossi e i fiori di tarassaco giallo rendono più allegro quel bel balzo ricoperto da una lunga sterpaglia incolta,  il vento mi arruffa i capelli incolti anche loro per mancanza delle mani esperte del parrucchiere. Mi fermo, mi sento meglio.

Io posso stare sola, questo non mi fa paura, ma non mi devo sentire sola.

Mi piace la solitudine e il buio della notte nella campagna, mi sembra che il buio mi abbracci e mi nasconda e mi protegga. Mi piace stare da sola nelle mie passeggiate, farmi rapire dai suoni, odori, colori che mi circondano che cambiano a seconda delle stagioni.   

Sogni di solitudine

BICOCCA – di Simone Bellini

Il fuoco, ormai spento, dimorava debole negli ultimi resti di brace di un ceppo che aveva scaldato la notte della piccola bicocca.

Il corpo, rintanato in un caldo piumone, lottava con il gelo che gli mordeva la fronte ed usciva fumante dalla bocca, mentre il bianco accecante della neve entrava di prepotenza riflettendosi sui vetri delle finestre.

Era ora di alzarsi, lavarsi e bere un caffè bollente davanti al  fuoco del caminetto ravvivato da nuove fascine e legname.

Una vita da eremita !

L’aveva scelta lui, fuggendo dal mondo, dove si sentiva inadeguato, incapace di proteggere gli altri e se stesso dalla sua stoltezza.

Solo, isolato, era nel suo mondo, nell’epicentro della sua essenza.

Il tempo aveva perso ogni riferimento, se non quello della luce naturale del giorno.

Tutto era regolato dalle esigenze del momento.

Cancellare il passato, che si riproponeva insistente, diventava in quel posto una lotta vincente per vivere il presente.

Una nuova vita, nuove esperienze, la mente libera, aperta per accogliere con curiosità ciò che il futuro gli offriva nel presente lasciandogli nuovi buoni ricordi.

E’ con questa esaltante energia che aprì quella porta alla ricerca della Vita, la sua vita !