Ferite tatuate – di Stefania Bonanni

Non la riconobbe subito.
Era contratta, nervosa, sembrava una zampa, la zampa di un animale feroce. Era la sua mano, e nello stesso tempo era tutto quello che non si poteva fermare. Quando acchiappo’ il manico del coltello seppe che non poteva fare nulla per scansare il dolore. Che arrivò violento e veloce, come un lampo senza tuono. Uno strappo, e la certezza che da quel momento niente sarebbe più stato come prima.
Aveva sempre pensato che da quando finisce l’infanzia non ci sono più pagine bianche. Tutti sentieri gia’ segnati. Tutti percorsi da affrontare con zaini sulle spalle. Pesavano parole dette, parole non dette. Pesavano le tristezze , pesavano anche le gioie, perché conoscerle voleva anche dire capirne le assenze. Poi aveva sviluppato delle sensibilità dolorose, dipendenti dalle atmosfere, non dai fatti. Per esempio, non dimentico’ mai più il monento nel quale conobbe con certezza il dolore che le si sarebbe rovesciato addosso.
Fu un pomeriggio qualunque. Era inizio inverno, un giorno di fine ottobre, nemmeno così grigio. C’erano ancora le finestre aperte. Leggeva in poltrona, in soggiorno, la televisione accesa spandeva inutili parole . Fu come se entrasse dalla finestra una nuvola nera, spessa, soffocante. Restò senza respiro, e seppe che era tutto dolore. Le nacquero in testa parole che non sono uscite mai più. “Saranno morti, l’inverno prossimo”. Non fu una previsione, né una magia, fu attenzione all’atmosfera.
E fu così, né più, ne meno. Dolore, paura, tristezza, affondare, soffocare, tremare, chiudere gli occhi, scivolare, ingrigire, essere ossessivi, provare a difendere, alzare ripari, poi buttare giù tutto, aprire, riempire di amore, compassione, tenerezza, poi ripararsi. Troppo male fece capire che più nulla serviva.
Quella mattina era rimasta a letto. Già. Era rimasta a letto. Aveva detto di stare male, ma non era vero, stava male come sempre, da un pezzo. Però era stanca, stanchissima. Voleva una giornata normale, stare nella sua casa chiara, piena di mobili chiari, di giochi di bambino, voleva rimanere in quel letto, dove restavano tra le lenzuola baci e abbracci.
Fu lì che suonò il telefono. Una coltellata violenta, tra il cuore e le costole. Rimase piantato lì il coltello. Ogni volta ci si aggrappasse, ricominciava tutto daccapo, non uguale, no, sempre più doloroso, scendeva sempre più in profondità la lama. Non ci fu altro da fare che vivere con il coltello, e ripassare la coltellata, ripensare, rivedere, come una pellicola che ripropone lo stesso frammento di immagine, e si blocca quando dovrebbe andare avanti.
Certo, tutto andava avanti. Per lei, tutto continuava, camminando, lavorando, giocando, facendo l’amore, mangiando, bevendo, leggendo, parlando, sognando, guidando, andando al mare, tutto continuava con un coltello nel petto, in mezzo al petto.
Poi le cose cambiarono. Arrivò il momento in cui cominciò a fare compagnia, quella lama.
A volte sembrava di essere asciugati, inariditi, insensibili? Bastava girare la lama, ed il dolore violento rassicurava. Faceva molto male, ma faceva male ad un vivo.
Passava il tempo, o forse no. Come ci fosse una bolla, uno spazio temporale immobile dove tutto restava uguale, non si sbiadiva nemmeno.
Aveva capito che la differenza tra una ferita e la cicatrice, è l’estrazione del coltello. Che la ferita diventa piaga, che ci si infetta, se non comincia a rinchiudersi.
Un giorno, aggrappata ad occhi profondi , seppe di poter provare. Le disse: “lascia andare” Forse, poco più. Capì, tutto quel dolore era parte di lei, come i suoi occhi, o i capelli, o i piedi, come la mano rattrappita di quella mattina, come i suoi amori, come ridere, fantasticare, nuotare, scrivere, disegnare. Come vestirsi, truccarsi, parlare di politica, coltivare fiori. Era diventata grande, da allora in poi. Quella grossa cicatrice era cambiata di colore, era diventata d’oro, piena di ricordi d’amore, perché la vita che ricorda era prima di tutto amore, dolcezza, generosita’. Poi dolore, ma forse, conoscere il dolore fa splendere la gioia. Fa sembrare gioia la quiete, la serenità, l’accordo. Le cicatrici possono essere ricami, vita tatuata, storie sulla pelle.
Potente.Molto bello.
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Condivido pienamente, molto ben scritto, molto incisivo, brava Stefania!
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Non trovo più parole per te…per i tuoi messaggi, per il tuo stupendo modo di porgere vita, sentimenti…gioia e dolore…
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Come sempre il tuo scritto risplende, proprio come una cicatrice dorata
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Ho provato tanta emozione nel leggerlo,la fatica nel l’affrontare il dolore. Riuscire ad apprezzare il bello di quello che si ha ,senza farsi sopraffare. Brava in tutti i sensi
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E’ difficile commentare, Stefania, trovare le parole. Le altre hanno fatto i commenti che volevo fare io. Mi sento il dolore addosso, la sofferenza e la difficile accettazione. E’ raro trovare una così forte empatia in uno scritto. Brava
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Denso di significati forti che ti senti addosso e che riscopri nella vita vissuta. Mi piace profondamente
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