La paura di Pasqua – di Cecilia Trinci

Era la festa che preferiva. Le piaceva l’uovo di cioccolata, colorato, con la carta che scrocchiava a lungo quando lo scartava, con tutti quei colori luccicanti. Cercava la sorpresa come una bambina e non le importava il valore di quello che trovava. Poteva essere uno stupido portachiavi senza bellezza o un giochino da dondolare tra le dita due secondi o un ciondolo di latta. Mia mamma aspettava la Pasqua come una liberazione. La fine dell’inverno, la fuga al mare sulla spiaggia col vento e le prime nuvole a rincorrersi. “Lo vedi, diceva, è la nascita della natura, guarda come tutto si riempie di verde e di fiori”. Lo guardavo, quel mondo, ma di certo non lo vedevo come lo guardava lei. Vedevo fiori acerbi e aria ancora troppo fredda, in quegli anni lontani in cui la primavera cominciava con l’equinozio. “E poi l’uovo, è un simbolo grandioso, è la vita, è l’inizio, è la maternità”. A me in quegli anni, e poi anche dopo, piaceva il Natale, il buio e le lucine tenui, i pacchetti misteriosi, le piccole sorprese, i gingilli e gli alberi addobbati. Le cene insieme quando ancora c’eravamo tutti. A lei invece piaceva il panino sulla coperta, la solitudine della felicità, non sentirsi obbligata, legata, imbrigliata dai riti. Libera. La sentivo come vibrava di impazienza, come si metteva in sintonia con la natura e come sapeva diventare l’albero che si riempiva di linfa esplosiva. Mi faceva paura. Pensavo di non riuscire a contenerla, di non saperla trattenere e avevo paura di poterla perdere, che cominciasse a correre verso un punto invisibile senza più tornare indietro. Mi faceva paura e mi faceva paura la Pasqua. Ho avuto poi, anche senza di lei, sempre timore di questa festa, impegnativa, così legata al clima e agli spostamenti obbligati. Abbiamo continuato ad andare al mare. La prima vera uscita allo scoperto: il panino sulla coperta, l’ansia che fosse tempo bello altrimenti…..il piano “b” al camino con l’arrosto, mia sorella a proteggere salda le nostre Pasque.
Ogni Pasqua me la sono sempre goduta il giorno dopo, quando le cose erano andate bene, quando c’era stato il sole improvviso dopo i venerdì santi di pioggia, o l’avevamo passata al camino con la quasi neve fuori ed eravamo stati sereni ugualmente, tutti insieme, con l’uovo colorato e scrocchiante e il pensiero mai detto dell’assenza di lei, che continuava a dirci, dentro, silenziosamente, in un punto indistinto dell’anima “vedete come è bella questa festa, con la rinascita della vita che promette”?
Poi sono arrivati i bambini e le Pasque si sono trasformate in feste. Allora davvero la gioia è diventata la potenza dei bambini felici al primo sole sul mare. Ho smesso piano piano di avere paura e all’improvviso, quella Pasqua senza paura dell’anno scorso, così bella e così piena di sole, è stata l’ultima. Oggi si volta pagina e non sappiamo più che capitoli leggeremo.