Ferite ma non per sempre

Nessuna ferita è per sempre – di Nadia Peruzzi

Nessuna ferita è per sempre e direi che lo sto sperimentando in questi giorni di forzata prigionia.

Avrei preferito coccolarmele, però, le mie ferite andandole a cercare nei cassetti dei ricordi dove sono custodite sotto strati , man mano più spessi,  di panni soffici e profumati.  Avrei voluto tornare a sfiorarle per ritrovarmele nel cuore sapendo che ogni volta fanno sempre un po’ meno male, che non sono mai solo i segni dei dolori sordi e strazianti che si è provato, ma anche i guizzi delle vite che abbiamo attraversato e i momenti di gioia che quelle vite hanno segnato.

Gli interessi comuni, le scoperte fatte insieme, i viaggi, ogni ora spensierata , ogni risata tornano a galla senza provocare scossoni, destabilizzazione, panico e nemmeno più quel senso di solitudine e di fragilità ipocondriaca propria di una età che pone ormai nel segmento di popolazione a rischio.

Quando è morta mia mamma, l’ho sentita scendere fino nelle mie gambe e tradursi quasi in difficoltà a muoverle in avanti senza provare affanno. Come se mancando anche quest’ultima mano, procedere fosse diventato meno semplice e lineare, quasi impossibile.

Eppure, anche se la commozione sale mentre scrivo, sono costretta ad ammettere con me stessa che di fronte all’immane ferita della situazione presente, le altre è come se avessero fatto un passo indietro.

In qualche caso le ho spinte io. ”Cara mamma, mi sono detta, meglio che tu questa prova te la sia risparmiata”

Ci eravamo organizzate un badantato domestico a tre, con convivenza non semplice ma il punto ero riuscita a tenerlo. Fin dai tempi in cui c’era ancora la nonna e io ero una ragazza che doveva farsi donna.

Mi tornano in mente le nostre baruffe sui “ricoveri”, si chiamavano così allora.

Lei spesso mi diceva:”Visto che fai politica , diglielo al sindaco che faccia un bel ricovero proprio qui ad Antella”

La risposta arrivava in un fiat.  “ Nonna  io glielo dico di sicuro, ma te li dentro mai e poi mai!”

Chissa’ cosa potrebbe mai dire oggi di fronte alla vera e propria ecatombe di anziani in quelle strutture che dovrebbero essere di cura e di protezione .

E’ il senso di tragedia che pesa sull’oggi a fare il resto. Un meccanismo quasi normale direi.

E’ accaduto che una guerra guerreggiata di forte impatto sulle coscienze e sulle vite delle persone, la prima veramente mondiale, con le sue distruzioni e i suoi 16 milioni di morti, abbia messo in sordina e fatto sparire dai libri della grande storia la famigerata epidemia di “Spagnola” che fra il 1918 e il 1920 di morti ne ha fatti 50 milioni su 500 milioni di infettati.

Così’ nella propria vita può accadere di trovarsi in una strana situazione nella quale è come se  enorme mano fosse intervenuta a spingere il mio vissuto precedente nella quinta più lontana, quella dello sfondo.

La tragedia collettiva che stiamo vivendo sembra rimpicciolire e relativizzare tutte le nostre ferite più o meno lontane nel tempo.  Non ci posso far nulla. Sento che è così.

Nel canovaccio intriso e infettato dal virus è una rincorsa di ferite che bruciano ora e ora fanno un gran male in una rincorsa e in un rilancio perverso che non lascia spazio ad altro.  Come se il mondo si fosse trasformato in una immensa bisca fumosa, tetra e fetida e tutto dipendesse da una partita a poker con il baro, il virus,  che al momento sembra avere pressoché tutti gli assi in mano!

Non è un gioco, ce lo stiamo dicendo e lo stiamo sentendo ogni giorno di questa quarantena che ci vede spettatori e attori spaesati e straniti di fronte ad un fenomeno inatteso , da albori della vita dell’uomo sulla terra quando anche un fulmine era vissuto come evento terrificante.

Noi siamo tornati li. E’ come se stessimo affacciati all’imbocco di una caverna, con la bocca spalancata e gli occhi pieni di terrore e lo stesso esatto stupore.

Abitiamo case e non caverne, possiamo chiuderci ma ci sentiamo braccati.

Usciamo di rado e sempre guardinghi e insicuri. Ridotti a misurare le distanze dagli altri. Anche nelle cose essenziali della normalità come il fare la spesa che era solo poco tempo fa un momento di incontro, di scambi, di chiacchiere, di battute e di qualche risata.

Cento metri di distanza dai tuoi cari sono diventati quasi spazi siderali da colmare in una spedizione che avrà il sapore di una avventura una volta che potremo di nuovo percorrerli tutti. Tornare a salire quelle scale avrà il valore del primo passo di un essere umano sulla luna.

La passeggiata in solitaria è molto meno attrattiva di quanto non lo siano quegli occhietti buffi , quei nuovi gesti e parole che hai perso tutti mentre nascevano e prendevano forma, quelle panciotte con cellulite bambina che vorresti sbaciucchiare a più non posso. Per l’anima non c’e’ carburante migliore di questo.

Il futuro sembra addirittura parola faticosa da declinare. Se lo fai, lo fai sottovoce, come per non disturbare. Hai visto mai che si incavoli, giri male e si allontani ancora un po’!

Ce la faremo e andrà tutto bene. Forse torneremo al mare. Il futuro si è pure ristretto geograficamente. Roba da giocarsi, se va di lusso,  a 100 chilometri da casa considerandola pure più di una vincita milionaria al superenalotto.

Dietro l’angolo come le vacanze dei vacanzieri degli anni 60, quelli del Sorpasso, della Versilia senza se e senza ma, del lido di Ostia se eri romano.

Le Maldive, Reunion , Mauritius se volevi te le andavi a cercare seguendo alcuni dei tanti puntini su un atlante geografico di quelli buoni.

Le strategie per dare concretezza a quel ce la faremo,  sperimentate più o meno tutte.

“Va pensiero” a volume sostenuto,  per quel più di un pizzico di orgoglio nazionale che serve attivare quando questa nave a forma di stivale è in netta difficoltà e si trova a traballare dentro una tempesta imperfetta e pure con gli alleati che si divertono a spararti addosso.

“Nessun dorma”, con il suo “all’alba vincerò”cantato a squarciagola con Pavarotti a dar man forte.

Puntare lo sguardo come prima cosa ogni mattina arrivando in cucina sulle orchidee, dato che  col loro rigoglio sono una vera sferzata di vitalità .

Quando poi la vedi un po’ più buia del solito ci vuole il rock.

I 6000 passi avanti e indietro nel corridoio quando proprio sei al limite fra canna del gas e 44 Magnum, ma senza l’Ispettore Callaghan.

Cosa non ci si inventa per sopravvivere e cercare di non farsi piegare dalle ferite e dalle difficoltà del presente.

Poi però, ecco lì il momento in cui la gola si chiude, vorresti piangere ma non esce nulla di nulla, il respiro si fa corto e devi prender fiato per allentare quella fastidiosa sensazione che può se non bloccata subito diventare una morsa capace di travolgere qualsiasi strategia difensiva, anche la migliore.

Quando riemergeremo ci rimarrà un po’ di amaro in bocca per questo tempo sospeso nel limbo di una protezione necessitata.

Proveremo anche rabbia, molta rabbia, perché sarà il tempo di pensare a tutto quello che non ha fuzionato, ai troppi mandati allo sbaraglio a mani nude  contro un nemico subdolo e potente.

La compassione per i morti , i morti in solitudine, le povere persone andate via senza nemmeno una carezza e un saluto amorevole su quei camion militari, non sarà mai abbastanza.  Ci sarà molto da elaborare e rielaborare anche collettivamente.

Immagino, anzi lo sento, che per molto tempo vivremo la fragile condizione umana e psicologica dei sopravvissuti.

Se avremo attraversato indenni questa immane catastrofe, ci sentiremo per una volta  un po’ più Gastone che Paperino lo sfigatissimo, anche se il cugino fortunato ci è sempre rimasto sulle scatole mentre lo leggevamo da bambini.

Dovremo ricostruirci  e ricostruire. Una sommatoria di piccoli passi, incerti all’inizio poi via via più sicuri, decisi e meno traballanti.

La strada forse da impervia tornerà a farsi più agevole da percorrere.

Anche se non si riapriranno tutte insieme le porte delle case ci lasceranno uscire senza essere la barriera che separa dal mondo esterno che sono diventate in questi lunghi giorni.

Riconquistare lo spazio sociale e tutto quello che ci è mancato in questo periodo varrà come aver raggiunto la vetta dell’Everest.  Chissà che una volta arrivati lassù, in quell’aria tersa come non mai , non ci torni anche la voglia matta di spiccare il volo.           

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

5 pensieri riguardo “Ferite ma non per sempre”

  1. Molto molto belle le descrizioni degli stati d’animo,e interessantissima la storicizzazione dei virus!Complimenti!

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  2. Veramente molto bello, Nadia. A momenti commuove, in altri ti monta la rabbia. È molto vero e sentito. Complimenti

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