Ferite e ricordi

La testimonianza delle ferite – di Maria Laura Tripodi

Oggi si parla di ferite. Mi guardo allo specchio e le vedo nelle mie rughe. Mi sposto per casa e capisco che non sono agile, che le giunture scricchiolano e se provo a cantare la voce mi esce non limpida e un po’ stonata. Forse semplicemente è una voce stanca.

Eppure fuori c’è il sole. Provo a mettere su un CD di quelli vecchi con Cocciante che mi ricorda la disperazione e Battisti che mi istiga al rimpianto.

Mamma mia. Ho proprio bisogno di star male e mentre me lo confesso sorrido. Allora cerco il silenzio. Non quello intorno perché negli ultimi tempi di quello ce n’è in abbondanza. Ma no. Ho sbagliato. Quello non è silenzio, quello è pace, pacatezza, armonia. Quello che serve per l’ascolto.

No, parlavo di un altro silenzio, quello difficilissimo da trovare perché sta proprio in fondo in fondo, dove spesso è troppo scomodo  frugare.

Chiudo le finestre, faccio tacere la musica. Mi sistemo nel mio angolino preferito e chiudo gli occhi.

Cerco lo spazio dei ricordi, proprio quelli più cattivi che continuano a graffiare nonostante la pelle sia diventata come di plastica.

E lì che devo cercare. All’origine dei dolori ci sono ferite forse insanabili, ma io ci sono affezionata. Sono il mio trascorso, sono tagli che hanno sanguinato e proprio per questo mi hanno costretta a guardare. E poi a cercare di fermare il sangue, disinfettare la ferita, curare giorno per giorno con amorevoli medicazioni.

 Oddio, non sempre amorevoli.

A volte con stizza ho strappato le bende perché sentivo che sotto sotto la ferita produceva ancora e che le fasciature servivano solo a nascondere.

Quando si cade le ginocchia sono le prime a toccare terra.
Prima sono state ginocchia di bambina poi di adolescente, poi di giovane donna.

Sempre sbucciature dolorose sullo stesso punto, prima che la ferita precedente si fosse risarcita.

Ma tutte le volte mi sono rialzata adattando la cura a seconda degli strumenti che avevo a disposizione.

Nel mio oggi, in questo silenzio che però contiene i piccoli, semplici rumori della quotidianità, io so che le mie ferite non sanguinano più, ma restano le cicatrici, testimoni sornione di quello che sono stata e di quello che mi hanno insegnato ad essere.

Ora e qui.

Ferite di primavera

Emozioni – di Sandra Conticini

Sono anni che non veniva una primavera così , con un sole splendido e caldo, nel cielo non si vede una nuvola nel raggio di chilometri. Diverse volte nei giorni di Pasqua o nei ponti di fine aprile sono andata a fare girate al mare o in montagna e pioveva, era freddo, a volte ho trovato anche la neve!

Quest’anno, che dobbiamo stare chiusi nelle nostre case,  di acqua, nuvole e freddo non vi è traccia.

Da un mese sono chiusa in casa, non pensavo di farcela. I primi giorni volevo uscire, poi quando era il momento di aprire la porta rinunciavo, perchè mi accorgevo che avrei sbagliato e una volta fuori  mi sarei sentita  fuori posto.  I giorni passano, alcuni meglio altri non troppo bene, e siamo  a sperare che questa situazione passi in fretta, pensando che tutto torni come prima, ma non credo sia tanto facile.

Eravamo sempre in giro, cinema, teatri, concerti, ristoranti, cene, viaggi, aerei, treni, ora nessuno si fida dell’altro,  ci evitiamo. Quando siamo fuori con le mascherine non si respira,le mani dentro i guanti sudano, e chissà ancora per quanto tempo dobbiamo continuare ad uscire in questa maniera.

Nessuno  poteva immaginare una cosa così devastante da mettere in ginocchio  il mondo.

Tutto dorme in questo periodo, è tutto ovattato, ogni tanto si sente passare qualche macchina, l’abbaiare di un cane o il cinguettio di qualche uccellino, ma quando piano piano tutto si risveglierà riusciremo  a vedere la vita in un’altra maniera, meno affannata e di corsa, o ritorneremo come eravamo? Io penso che, dopo un primo periodo, tutto sarà come prima perché l’uomo, purtroppo, si scorda quello che non vuole ricordare e ritornerà a fare gli stessi errori.