Il pescatore

Il pescatore – di Nadia Peruzzi

L’aria era tiepida.  Il salice spargeva la sua ombra benefica.  L’attrezzatura c’era tutta, si trattava solo di mettersi a pescare.  Era stato faticoso arrivare fino a li, quel giorno, con tutta quella roba addosso e dopo quella fin troppo lunga limitazione di esercizio fisico che lo aveva infiacchito . 

Quell’angolo di paradiso ripagava dei chilometri fatti per arrivarci,  se lo diceva ogni volta, da anni,  appena poggiava tutto sul manto erboso e si metteva a guardare il fiume. 

L’acqua scorreva incedendo maestosa al centro del suo letto.   A riva,  nei punti in cui i rami del salice sembravano far tutt’uno con l’acqua la si sentiva gargottare placida mentre rilanciava lampi di verde smeraldo ogni volta che un refolo di vento spostava le fronde per lasciar passare i raggi del sole di maggio!

Era una giornata magnifica.  Nessuna nuvola, solo una brezza tesa su cui scivolavano profumi di fiori misti a quelli delle infiorescenze degli alberi non troppo distanti dal punto in cui si trovava. 

Quel giorno l’acqua era più pulita del solito.  Quasi cristallina.  Anche i pesci sembrava se ne fossero accorti.  Giocavano a rincorrersi divertendosi a far capolino di tanto in tanto. 

Non ne aveva visti mai così tanti in quel punto.   

Come se la lunga quarantena avesse fatto bene anche a loro.  Meno pescatori in giro, meno pericolo di esser catturati e di finire in padella, più possibilità di riprodursi e moltiplicarsi. 

Guardava la canna che avrebbe dovuto assemblare.  Era appoggiata sull’erba in attesa dei soliti gesti.  Amo, esca, lenza,  lancio.  Quasi un rito che aveva termine con lo zac del filo che si tendeva appena l’uncino cattivello si agganciava nella bocca dell’incauto pesce che sarebbe finito dopo non molto in bella mostra su una tavola imbandita. 

Si sentiva intorpidito nei gesti e nella volontà, quel giorno. 

La canna continuò a restare a terra. 

Dall’erba saliva un tepore che invitava a lasciarsi andare.  Non era la stanchezza della camminata era un languore misto ad una sana voglia di non far nulla di nulla in una placida giornata di primavera per godersela così com’era senza gesti eccessivi e movimenti di troppo. 

Dopo i tanti giorni passati a camminare su e giù per il corridoio di casa,  pensava che quel suo primo giorno di libertà riconquistata e all’aperto sarebbe stato condito di eccitazione frenetica. 

Invece no.   L’aria lo frastornava, il turbinio dell’acqua gli dava una sorta di capogiro.  Non era più abituato all’aria aperta, fu costretto a concludere. 

Si sdraiò accanto alla sua canna da pesca smontata, e si addormentò pressoché subito. 

Si ritrovò a sognare di un mondo popolato di una natura rigogliosa come non mai,  con tanta tanta acqua,  e di pesci giganti che giravano con immensi retini e enormi canne da pesca intenti a pescare i pescatori. 

Il rito era simile al suo :amo, esca, lenza, lancio. 

Solo che ogni volta era lui che si ritrovava quell’uncino in bocca.   Ogni volta,  allo strappo,  sentiva un gran male. 

Sentiva dei gran dolori da tutte le parti mentre lo trascinavano verso riva per stenderlo sull’erba. 

Si svegliò di soprassalto un po’ impaurito e parecchio indolenzito per l’umidità che l’erba gli aveva fatta penetrare nelle ossa. 

L’ultimo raggio di sole lambiva l’orizzonte e colorava l’acqua di fronte a lui di un rosa che si stava incupendo velocemente. 

Ripensò al sogno ma lo rivisse come fosse stato catapultato dentro una storia, figlia di un altro mondo!

Non l’aveva scritta lui .  Era lo specchio di un altro punto di vista a cui lui prima non aveva dedicato nemmeno un piccolo pensiero.   Non ci aveva fatto mai caso che tutto si potesse capovolgere così!

Dopo la grande paura causata dallo tsunami,  il senso di insicurezza che ne era derivato e ancora condizionava distanze e approcci con gli altri lentamente ci si stava rimettendo sulla via della normalità. 

La vita stava tornando a scorrere lungo i binari di un tempo!

Lui era a disagio,  ancora non era riuscito a liberarsi del tutto dalle macerie che la catastrofe aveva accumulato man mano nei suoi pensieri e dentro le corde più intime della sua anima. 

Aveva una certezza che cominciava a farsi strada nelle fin troppe incertezze con le quali si trovava a dover fare i conti. 

Nei binari di un tempo lui non ci voleva rientrare. 

Era sempre andato da solo a pescare per cercare la tranquillità che altrove non riusciva a trovare. 

Visto con altri occhi tutto questo gli appariva una via di fuga, costellata oltretutto di molti momenti di noia assoluta. 

Mentre lui era li ad aspettare per ore pesci che a volte nemmeno abboccavano la vita correva altrove. 

Aveva bisogno di contatti, di mani da stringere, di abbracci da dare e da ricevere,  di persone da ascoltare e da cui farsi sentire. 

Si stava facendo buio e questo lo costrinse a ripercorrere in fretta il sentiero che lo aveva portato fino a lì. 

La canna e tutto il resto erano rimasti abbandonati sul prato.  ”Faranno la gioia di un altro pescatore”, pensò. 

“Nella mia nuova vita a me non servono di certo.  Lascio che i pesci nuotino in santa pace.  Perché disturbarli?” 

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

2 pensieri riguardo “Il pescatore”

  1. L’eterno dilemma dell’uomo: cacciatore o preda? Da sempre rivestiamo entrambi i ruoli, senza mai ricordarsi, se non forse per qualche inutile momento, di quanto sia terribile dover scappare quando ricopriamo il ruolo di preda….

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