Battito d’ali

L’inganno della trasparenza – di Chiara Bonechi

Come un appuntamento, la mattina verso le dieci lo vedo.

Salta sulla griglia dell’inferriata davanti alla finestra della camera che era di mio figlio e svolazzando batte nel vetro e cerca di entrare.

Non si accorge che la finestra è chiusa e quella trasparenza del vetro lo spinge a riprovare.

E’ un uccello piccolissimo, forse un fringuello, deliziosa creatura che non si arrende.

E io interrompo le mie faccende e mi incanto a guardarlo in questa impresa, la stessa di molte mattine, sempre alle dieci.

Lui piccolo e indifeso, non farebbe alcun male se lo facessi entrare ma io che amo gli animali ma ho sempre avuto difficoltà ad averli troppo vicino, non ho il coraggio di aprire la finestra, so che con un battito d’ali entrerebbe nella stanza e non saprei come fare a farlo uscire.

Ero giovane e da poco sposata, stavo facendo pulizie nella nostra bella camera, ricordo la finestra aperta, i profumi e i colori della primavera, quando improvvisamente una rondine si fiondò nella stanza.

Quell’uccello bellissimo che incanta mentre sfreccia nel cielo azzurro e garrisce e crea straordinari percorsi, nella camera, così vicino, mi sembrò enorme e ne ebbi paura.

Batteva svolazzando da una parete all’altra e l’unica via che sembrava non trovare era quella della finestra aperta.

Attimi che mi sono sembrati lunghissimi, la rondine chiaramente soffriva ma non riusciva a ritrovare la strada di casa.

Chiamai il vicino, fu lui a indirizzarla verso il suo cielo, lo fece con tranquillità, un atto veloce e facilissimo.

Ancora, che tanti anni sono passati da quella volta che la rondine invase la mia camera, rimango bloccata di fronte ad un delizioso fringuello che bussa e vuole entrare ingannato dalla trasparenza del vetro.

Aspetto che si arrenda, che capisca che non può entrare e voli via.

Mi accingo a pulire la griglia e il davanzale dopo che è volato, ci sono le sue tracce.

Ma un senso di amarezza mi invade, sono colpevole di perpetuare l’inganno.

Pesciolini

PESCIOLINI FRITTI – di Elisabetta Brunelleschi

Nerina e Turi trascorrevano le vacanze in un ridente paese disteso sulle pendici di quei monti siciliani affacciati sul mar Jonio.

Ogni estate Don Paolo e Donna Elvira, i genitori di Turi, li accoglievano con gioia e per loro preparavano tutte le possibili specialità locali: pasta con le melanzane, ricotta fresca, formaggio fritto, pane appena sfornato, pesce alla griglia, stoccafisso alla messinese, agnello al forno, …

Turi e Nerina scendevano al mattino verso il mare. Distendevano gli asciugamani sulla spiaggia ciottolosa e dopo essersi inebriati di sole, si tuffavano tra le onde appena increspate.

Talvolta Nerina rinunciava al bagno e se ne restava ferma, coi piedi a mollo vicino alla riva a guardare i numerosi pesciolini che quasi le sfioravano le gambe. Guizzi luminosi che si divertiva a immaginare negli abissi più profondi, sfuggiti alle reti dei pescatori!

Nei dopocena salivano in piazza con Don Paolo, lì c’era l’unico modesto bar del paese e intorno ai pochi tavolini s’intrattenevano con i compaesani.

Nelle loro conversazioni Turi riviveva l’infanzia e la giovinezza trascorse su quei monti. Nerina porgeva l’orecchio curiosa di tutto, ma rimaneva in silenzio. Parlavano in dialetto e anche se anno dopo anno quella lingua sconosciuta le era a poco a poco divenuta familiare, non riusciva a proferire verbo, capiva, ma non parlava.

Una sera Jachino, detto “il professore”, era il maestro del paese e lo si onorava con quel titolo, si rivolse a Don Paolo chiedendo:

-Ma una frittura di pesce fresco, da quanto non ve la mangiate?-

-Eh, magari! Quello sale una volta la settimana e chissà da quanto li tiene nella cesta!-

Il quello evocato da Don Paolo altri non era che Tano, il pesciaiolo che il giovedì mattina parcheggiava in piazza la ‘Lambretta’ e richiamava le donne al grido di “pesce dello Stretto, stamani costardelle fresche“.

Molti dubitavano della freschezza, ma il pesce veniva ugualmente acquistato, non c’era altro e alla fine era commestibile!

– Ce ne andiamo giù a Lumera – continuò Jachino – faremo assaggiare a vostra nuora del vero pesce. Lassù al Nord , che ne trovano!-

– Pescati freschi e buttati in padella-

Poi si rivolse a Nerina:

– Il vero pesce fresco, lo riconoscete mentre frigge!-

Continuarono a parlottare sino a notte fonda, pensando alla frittura e alla notte giusta per andare a pescare, perché era col buio che si potevano catturare i pesciolini migliori!

Un sabato pomeriggio della settimana seguente, scesero tutti a Lumera: Turi e Nerina, Don Paolo e Donna Elvira, Jachino con la moglie Donna Carmelina e i quattro figli: Mimmo, Santino, Sara e Francesca.

A Lumera Jachino aveva una casetta a due piani. Sul retro c’era un giardino recintato da un alto muro con sul fondo una porticina che si apriva direttamente sulla spiaggia 

Dopo il tramonto l’intera comitiva varcò la porticina e si portò sulla riva del mare, qui li attendeva Nino, il pescatore amico di famiglia, che aveva già gettato la rete.

I sassi della spiaggia bruciavano ancora del sole del giorno. Un raggio di luna luccicante si allungava sull’acqua.

Santino mostrò la rete. Poi a un cenno di Nino tutti, anche Nerina, iniziarono a tirare e a tirare, finché la fitta maglia emerse gonfia del guizzare di pesci mescolati a lunghe strisce di alghe nerastre.

Pian piano distesero la rete e Nino da esperto pescatore, scelse a uno a uno i pesci e nominandoli con incomprensibili termini dialettali, alcuni li buttava in un secchio e altri li rilanciava nel mare.

Don Paolo si complimentava. Nerina e Turi seduti sulla chiglia di una barca osservavano la scena. E lei intanto pensava: ‘Ecco qua i pesciolini guizzanti al mattino che finiscono in padella la sera’

Alla fine della cernita il secchio si riempì di argentee creature. Gli uomini ripulirono bene le reti  che riavvolte con cura, furono sistemate in un angolo del giardino.

Dopo poco la compagnia era seduta attorno al tavolo di cucina apparecchiato con melanzane e peperoni arrosti e poi abbondanza di pomidori, cipolla, olive e pane di semola.

Le donne avevano messo sul fornello un’enorme padella di ferro. E i pesci, lavati e asciugati furono delicatamente adagiati nell’olio che già sfrigolava.

– Ecco vedete- declamava Jachino – questi non se stanno immobili come bastoncini. Guardate come fanno!-

-Sono freschi, solo i pesci appena pescati si avvitano così mentre friggono- Gli fece eco Nino.

Era vero i pesci si torcevano come serpentelli striscianti nell’erba.

Con un largo mestolo donna Carmelina li tirava su e li deponeva nei vassoi dove era stato steso un foglio di carta gialla.

La frittura fu servita bella calda e in silenzio ognuno si servì.

Nerina mangiava lentamente, stando attenta a togliere e scartare lische, code, teste, …

Turi invece li acchiappava con due dita per la coda e se li infilava in bocca tutt’interi. Nerina lo osservava quasi spaventata, temeva gli restasse in gola qualche spina!

Mimmo, accorgendosi dei suoi scrupoli, ridendo le disse:

-Questi sono buoni così!-

E guardandola si ficcò in bocca due pesci interi dei più grossi. 

-Lassù al Nord non ne trovate!- Esclamò Jachino gustando gli ultimi rimasti nei vassoi.

Dopo cena si spostarono nel giardino. Donna Carmelina, la moglie di Jachino, aveva preparato una meravigliosa granita al caffè. Se la gustarono, intervallando le cucchiaiate con i complimenti alla cuoca perché una granita come quella pochi la sapevano fare!

Si arrivò così al termine della cena. Si salutarono con calore, ripetendo reciproci ringraziamenti e augurandosi all’infinito la buonanotte.

Jachino e famiglia rimasero a Lumera; Nerina, Turi, Don Paolo e Donna Elvira ripresero la via del paese.

Giunsero lassù a mezzanotte passata, l’aria era tiepida e il cielo brillava di stelle.

Camminarono dal parcheggio alla casa, ascoltando, nel silenzio della notte,  il risuonare dei passi sul selciato.

Qualche finestra era ancora illuminata, una sagoma scura si affacciò cauta da un balcone.

– Buonasera Angiolina!- salutò Don Paolo

– Ah! compare, siete voi!-

– E chi volevi che fosse! Andatevene a letto.-

– Buonanotte Angiola!- dissero poi tutti in coro.

-Siamo controllati- continuò a bassa voce Turi e ridendo varcarono la porta di casa.

Un pensiero sul fondo

Mi manca – di Patrizia Fusi

Il CVID-19 mi ha fatto scoprire un confine fuori e dentro di me.

Guardare dalle finestre la vita che scorre fuori, gli alberi che vanno avanti con il loro germogliare.

 Il prato con le margherite che quando c’è il sole hanno le corolle aperte.

 L’airone cenerino che sfreccia veloce su gli alberi del borro.

 Un germano reale con il suo piumaggio colorato, sparisce veloce alla mi vista.

Anche dentro di me ho sentito un limite, pesantezza, l’ho guadata, mi sono resa conto di cosa mi manca, cosa era questa pesantezza.

Mi manca prendermi cura dei mie cari.

Mi manca la loro presenza fisica, il parlarci, sentire le loro voci.

Mi mancano i miei amici, conoscenti, vicini, lo scambiarsi poche frasi.

Mi manca la biblioteca, con tutta quella gioventù silenziosa, ma piena di vita.

Mi mancano i nostri martedì.

Mi manca il piacere di galleggiare nell’acqua il sentimi accarezzare, il muovermi in quel mondo liquido e trasparente.

Mi mancano le passeggiate nella campagna, il rumore che fa l’acqua che scorre nel borro, il brusio che l’autostrada mandava a valle, passeggiate fatte da sola, ma non sola.

Sono undici anni che abito da sola, quasi mai mi era pesato.

Ora sento il peso di questo, il non sentire il suono di una voce che parla con te.

Mi manca il sentirmi dire, lo vuoi il caffè?

Faccio un complimento alla gattina e lei mi risponde con un miagolìo.

Il mio orecchio a volte nel silenzio che mi circonda, ruba i rumori dagli altri appartamenti ed è come vivere un po’ con loro.

Questo limite imposto dalla quarantena finirà, apprezzerò ancora di più tutti gli affetti che ho e tutto quello che mi circonda.

Pescare una storia

Pescare una lei e un lui – di Carla Faggi

Ho pescato una lei ed un lui di tanto tempo fa.

Lei si era innamorata solo perchè era il ragazzo di un’altra.

Lui non capì perchè, ma si innamorò subito dei suoi grandi occhi scuri.

Lei lo guardava come fosse l’unico al mondo, nessuna prima d’ora lo aveva mai fatto. Eppure aveva avuto molte ragazze, alle medie e anche ora che era al liceo ne aveva una.

Ma lei era speciale e lo faceva sentire speciale.

Mollò tutto e si buttò a capofitto nella loro storia.

Dire, fare, baciare, lettera e testamento erano solo per loro.

Ma lei amava la conquista non l’amore, e presto si stancò.

Lo lasciò con una banale scusa per perdersi in altre interminabili conquiste.

Lui rimase lì ad aspettare, ed aspettò tanto, tanto tempo.

Passarono gli anni ed arriva il marzo 2020.

Spippolando, cercando su facebook amici lontani, lui la trova, lei lo trova.

Ricordi, rimpianti, chissà come sarebbe stato se…

Pescare dentro l’anima

Liberazione della follia – di Vanna Bigazzi

Questa è la mia idea sotterranea: l’animo leggero e flessibile raccoglie idee sane. La scintilla, questa volta, è stata il tuffo della follia in morbide acque, dove non le è consentito albergarvi e il pesce, in questo caso, è la libertà che guarisce.

Dove abiti follia?

Ti cerco e tu mi evadi,

ti temo, ma sei molto lontana.

Certo, attenueresti i miei dolori,

ma tu non mi sei amica,

mi porti dei rancori.

Troppo flessibile è il mio centro,

più non sa raggiungere i confini,

solo grossi muri puoi incontrare.

In me calpesti terreno sconosciuto,

in me tu approdi in regioni straniere,

troppo tenero e spugnoso è il mio tessuto,

frutto ne sono gli anni di lavoro.

Potrei solo cullarti ed abbracciarti

e impedirti quell’urto sugli scogli,

dove salda potresti radicare.

Placati dunque follia, in un morbido letto

e poi apri l’ali in vasti cieli aperti,

cercando, pallida, propizie libertà.