L’albero secco – di Stefania Bonanni

Non l’ho vista, la foto. Ma mi sono accorto che l’hanno scattata: io che svetto altissimo, secco e solitario, alle spalle di un gruppo di canne fruscianti, sibilanti, sfrigolanti quando il vento le costringe a strusciarsi le une con le altre.
Era inverno, come adesso, io non cambio mai in inverno. Sarei stato meno solo, fossi stato una canna. Sarei nato verde, con le radici nell’acqua fresca del fosso, radici vicine al tronco. Mi hanno raccontato che il fresco bevuto dalle radici arriva subito fino alle foglie in testa alla canna, fino al pennacchio, quando c’è. Invece le mie, di radici, affondano per metri e metri, in giù, poi si ingobbiscono e qualche ramo risale, ma sempre lontano dal mio cuore, come fossero un’altra creatura. Non le sento. Lo so, mi alimentano, Ma non mi parlano, non guardano fin quassù.
Le canne parlano in continuazione. Fruscianti, ridono, il suono non è molesto, ma mi accende d’invidia. Soffro la solitudine. Guardatevi intorno: per centinaia di metri, fin dove si vede, sono io l’essere più alto. Nessuno mi guarda negli occhi. Chi guarda in su, tutt’al più vede sotto la mia chioma, e non distingue granché : se c’è il sole resta abbagliato, se ho le foglie vede solo loro, se mi guarda perché seguiva il volo di un uccello che mi si è posato addosso, non guarda me.
Ho occhi nascosti, mani nodose ricoperte di foglie, semi, fiori, ma solo alle estremita’, specchietti per le allodole, apparenza.
Ho cuore di legno, nascosto bene, corro il rischio mi venga beccato.
Ho pensieri di legno, concentrici. Nascono, crescono, girano su sé stessi , ma restano dentro.Sono quei cerchi che quando morirò conteranno. Diranno misurino l’età. Non è vero. Sono pensieri, nati e morti in me. Pensieri di me, non ho conosciuto altro mondo.
