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La comandante e sua sorella – di Laura Galgani

“Nina, stai attenta con qui’ filo, non vedi che s’è tutto bell’e attorcigliato!”

“Oh Gina, e un lo saprò fare l’uncinetto, secondo te! L’è la terza coperta che si fa pe’ i’ prete!”

“Via via voi due… state calme, e s’arriverà in fondo anche a questa, ormai e manca poco!”

La Tina, nel dire così, agguantò il filo di cotone rosa che la Nina stava maneggiando con un po’ d’imbarazzo, dopo il rimbrotto della Gina. Le era salito anche un po’ di rossore sulle gote, in genere colorite, sì, ma non così tanto.

“Don Roberto – insisté la Tina – domenica dopo la Messa m’ha chiesto a che punto s’era. E vuol portare la coperta personalmente alla missione di Madre Teresa di Calcutta, prima che laggiù cominci la stagione delle piogge, insieme a tutto quello che s’è raccolto all’ultima giornata per le missioni. E non manca mica tanto!”

“Te, tu vuoi sempre fare la comandante!” – sbottò la Nina – “o che credi che noi si stia qui a fare l’uncinetto solo per passare i’tempo? O un tu lo vedi come ci s’impegna, tutte quante! La Gina l’ha bell’e finito tutti i su’ riquadri verde smeraldo, la Licia quelli rossi co’ fiori in rilievo, io quelli bianchi co’ trafori, ora si tratta di rimetterli insieme e di ricucirli. E un’importa che tu ci stia addosso in questa maniera. Ma tanto, con te, e l’è inutile, tu hai sempre voluto comandare… “

e detta questa frase lapidaria, dura come sassi, che avrebbero potuto andare a sbattere sul cuore della Tina, facendolo andare in pezzi, si rimise a testa bassa sul suo lavoro, che le cresceva fra le dita quasi per magia, tanto si muovevano veloci e leggere intrecciando quei fili rosa pallido.

Tina, sua sorella, “la comandante”, non replicò. Era così da sempre, con lei. Fin da quando erano piccole. Lei, la maggiore, la prediletta del babbo, esercitava il ruolo di vice mamma con la sorella e coi fratelli più piccoli. Anche quando, in tempo di guerra, suonava imperioso l’allarme prima dei bombardamenti, era lei, la Tina, che in un attimo saltava giù dal letto e radunava i più piccoli. Li aiutava a mettersi le povere scarpe e a scendere le scale, prendendo in braccio Giuseppe, il più piccolo, che proprio non voleva saperne di aprire gli occhi e di correre al rifugio.

Quando arrivavano in quel cubo sotterraneo, grigio, di cemento freddo, il babbo li contava rapidamente con gli occhi: uno due tre quattro. C’erano tutti. La mamma no, non c’era, se n’era andata, portata via dalla polmonite all’inizio della guerra, e il babbo era riuscito a non partire perché malato anche lui, di tisi.

Questi ricordi affollavano ancora la mente delle due sorelle, e trapelavano fra un punto e l’altro del lavoro all’uncinetto. “Tina – ricominciò la Nina, calma – ma ti ricordi di quello che ci raccontavi mentre eravamo laggiù sotto, fra quell’odore d’umido e di paura, mentre le sirene suonavano forte e si sentiva gli stonfi delle bombe che scoppiavano in città? Tu c’incantavi con le tu’ storie di boschi streghe e orchi.”

Ma la Tina annuiva e basta, con lo sguardo basso e il mento verso il petto, e si cullava un po’ avanti e indietro, come a farsi coccolare dal silenzio dei ricordi. 

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

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