Odore di sapone

Il Lavatoio – di Nadia Peruzzi

IL profumo lo si sentiva a distanza e spesso in inverno arrivava avvolto dentro una densa nuvola di vapore. Ero piccola quando accompagnavo la nonna ai lavatoi di Antella.

Lei portava il catino con i panni, io invece il resto. L’essenziale per fare il bucato: il sapone di  marsiglia, il turchinetto, la lisciva. Ognuno col suo profumo che diventava nelle mie mani uno strano miscuglio che faceva pensare a quello che lenzuola, federe, tovaglie avrebbero restituito dopo,una volta  tornate a casa, dalla pila dei panni asciugati e stirati. Profumo di fresco, di pulito. Di buono.

Ci accoglieva uno stanzone lungo con tante vasche grige e un rumore chioccolante di acqua che con le varie cascatelle si apriva la strada fra una vasca e l’altra. Spesso era il rumore dell’acqua che si prendeva tutta la scena, ma a volte, quando c’erano troppe persone si intrecciava alle risate e alle voci cristalline che arrivavano a sovrastarlo.

In quei casi si doveva pure mettersi da una parte ad aspettare il nostro turno, data la folla! Lo si faceva volentieri, non certo con l’impazienza che avremmo avuto oggi.

C’era calore umano in quello stanzone a contrastare l’acqua gelida,le mani screpolate e arrossate, e i geloni che sarebbero arrivati . Fra una insaponata e l’altra e, mentre si cercava di far venire bianco il grigio col magico turchinetto ,le chiacchiere prendevano il sopravvento . Erano donne giovani e vecchie che parlavano in tutta libertà e in gran confidenza.

Scoprivi i fidanzamenti, anche quelli che ancora non erano dichiarati, i matrimoni che stavano per arrivare, i tradimenti, le nascite e le morti.

L’atto del lavare stava dentro un rito collettivo e ad avere la meglio era il senso di comunità solidale che si respirava in quello stanzone. Se ne usciva con i panni puliti ma non solo con questo. Spesso i momenti passati li si trasformavano in scuole di vita e di trasmissione di esperienze con le giovani che talvolta chiedevano consigli alle più anziane per muoversi nella vita !

Quello che è venuto dopo, la lavatrice in casa e pure la tv pur segnando la linea del progresso necessario, non ha saputo tener in piedi come si sarebbe dovuto la comunanza con cui ci si ritrovava nei luoghi collettivi anche se si trattava di fare insieme i lavori  più umili e pesanti. Rinchiusi nel privato più che guardare girare il cestello della lavatrice, in attesa che finisca il lavaggio, non si può fare! Forse una o più occhiate al cellulare per ingannare il tempo che sembra essere sempre troppo poco.

Mancano le voci, l’allegria che talora diventata tristezza o pianto visto che non tutte le giornate erano uguali .

Anche il vecchio lavatoio non c’e’più , ormai langue rinsecchito da anni dentro le mura di una casetta costruita proprio lì sopra!

Odore pungente

Come il mare – di Luca di Volo

Scorre su, s’insinua potente

  Sveglia e turba la noia

  Anche lui induce il respiro

   Come il mare profondo

   E pungente: respira

   E ci culla, il nostro alito

   Col suo si accorda

   Purezza: mare pulito, fresco, profondo

   Si abbuia negli abissi

  Quest’odore come lui

  Antico pare, porta la vita

Come soleva fare alle damine

 Dell’800 (ma loro sol fingevano)

 E anche lui si fa nel profondo

Misterioso, non più urticante

Ma purificatore, lasciando

nell’anima l’eco del candore

 Perduto. 

Lui, l’odore di aceto.

Odore di fiume

Di cosa è fatto l’odore del fiume – di Stefania Bonanni

Siamo solo una delle curve di un fiume che viene da lontano, e proseguirà. Con l’acqua che scorre, e quell’odore che solo questo pezzo di fiume trasmette, così, e lo moltiplica. Odore d’erba bagnata, di muschio, di un marcio inevitabile. Odore scuro, di spuma marrone, sbatacchiata tra i sassi. Odore di piena, d’inverno, di alberi spogli e rive ricoperte di strappi. Odore che cambia, con il sole d’estate, ma si riconosce nell’ombra, e nelle pietre bagnate. Odore che rimane attaccato ai pescatori.  Odore che si portava a casa il mio babbo, negli stivali, nella canna da pesca, nel retino, nella canottiera. Odore che riconosco sempre, che mi fa sentire casa questo fiume, che è  sempre stato la cornice delle nostre giornate. Andare all’Arno è ripercorrere sentieri già camminati, tirare su con l’aria odori di ore di acqua, di sole, di amici, d’amore, di scorrere e ribollire. Sapere che può  tutto cambiare, finché ci riconosceremo, in questo odore.

Ansiogeno

Attesa da far paura – di Laura Galgani

Era in quella stanza ormai in penombra da un tempo breve, ma le sembrava già infinito. La bottiglietta d’acqua che aveva portato con sé, e che aveva appoggiato sulla tovaglia azzurro cielo a pois bianchi, di quelle fatte di una plastica che vuole assomigliare alla stoffa, rilanciava piccole scintille di luce, appena percepibili al suo sguardo ansioso.

Dalla bottiglietta trasparente, inconsistente solo in apparenza, i suoi occhi si spostavano in continuazione, nervosi, al vaso di terracotta poggiato lì accanto, color terra di Siena con un ramage di foglie d’ulivo dipinte a mano da un artigiano che lei frettolosamente giudicò poco esperto, avendo inciso senza troppa grazia dei solchi grossolani nella creta ancora fresca.

Nervosamente percorreva quei tratti, e ogni foglia le sembrava un presagio di malasorte: i bordi neri si legavano inevitabilmente ai pensieri ansiosi che le prendevano la mente e il cuore. I fiori secchi dentro al vaso, privi di vita ormai da tempo, non facevano che acuire quella sensazione di secchezza che provava nella bocca, quasi dovesse masticarli uno ad uno mentre attendeva il temuto responso…

Insignificante

Un vaso insignificante – di Carmela De Pilla

Eccolo, è lì, con i suoi fianchi sinuosi e morbidi, mi ricordano un po’ quelli di Tecla, la mia Tecla pronta a travolgermi con il suo amore che straboccava dalla sua figura abbondante .

È  un vaso semplice anzi quasi insignificante, realizzato forse da un apprendista inesperto che ha dipinto tralci di rami nel tentativo mal riuscito di renderlo più bello, ma a lui tutto ciò non interessa, gode solo del piacere di accogliere mazzi di fiori  e ogni volta si sente più importante e per un attimo è felice.

Polvere su vaso – di Gabriella Crisafulli

Il vaso trionfava su una marea di pois. Si stagliava all’azzurro della tovaglia a ricordare come tutti quei fiori, ormai secchi, erano lo spunto di mille starnuti che si sarebbe portata dietro tutta la notte.

Il vaso – di Simone Bellini

Non so perchè fosse stato scelto quell’insipido vaso di coccio, dalla misera forma di una povertà assoluta, riempito con dei rami e fiori secchi di una tristezza infinita e per di più appoggiato su un tavolo con una tovaglia celeste a pois bianchi che dava vita ad un orrido contrasto.

Ensemble bruttino e disordinato – di Mimma Caravaggi

La tavola rettangolare, con la sua tovaglietta celeste a pois bianchi stesa malamente oltre ad essere piena di oggetti vari, mi dà un’ansia particolare che non so descrivere. La moltitudine di bottigliette che si ergono a segnalare il posto di ognuno di noi e gli occhiali appoggiati in attesa di essere inforcati per leggere e scrivere, le penne di ognuno così diverse nei colori e nelle scritture mi infastidiscono. Vorrei rimettere tutto in ordine nelle postazioni di ognuno: le penne accanto ai blocchi, le bottiglie sparire nelle borse appoggiate allo schienale della sedia, ben piazzata e squadrata ad accogliere il didietro dal più grande al più piccolo e Il vaso messo al centro con fiori ormai stecchiti, è quello che disturba maggiormente la mia vista e voglia d’ordine, ma è quello che seppur bruttino va a completare quella strana tavola imbandita.

Il tavolo – di Anna Meli

            Sono seduta ad un tavolo coperto con una tovaglia azzurrina a pois bianchi, piuttosto anonima.    Sopra vi sono vari oggetti: una borsa morbida bicolore rosso scuro e marrone, sembrerebbe di pelle, ripiegata su se stessa quasi inchinata, in attesa di una mano che la prenda rendendola utile  a qualcosa.   Accanto un vaso giallognolo con disegnati ramages forse di olivo. Al suo interno fiori secchi di aglio o cipolla di una tonalità di colore un po’ più chiara. La bottiglietta d’acqua lì vicino, in tempi ormai lontani avrebbe potuto servire ad evitarne la fine…forse. Ma ormai è troppo tardi.  Due paia di occhiali seduti sulle lenti sono pronti all’uso. Due bustine porta-oggetti, una a colori vivaci l’altra grigiastra, completano la vista.

            Sembra che tutto sia in attesa di qualcuno o di qualcosa che rompa l’assoluta immobilità della scena.

Occhi color frittata

Il vaso rubato – di Rossella Gallori

Continuavo a ripetere a me stessa, che ero capitata li per caso, o quasi…

Il grande portone cigolò, lo spinsi con tutta me stessa, traballai, sui tacchi “fuori ordinanza”

L’ingresso era poco illuminato, ma caldo ed accogliente, le piccole appliques di cristallo riflettevano un’immagine di me più snella, più giovane, una “ me” più gradevole, che aveva solo fame di sogni …. Avevo ancora in tasca il suo biglietto  diceva: ti aspetto…con l’ora e l’ indirizzo, un cartoncino microscopico di color miele d’acacia…una scrittura così piccola  da esser quasi illeggibile, ai miei occhi astigmatici , quasi…

Salii in fretta le scale, la guida di velluto cremisi, copriva del tutto i vecchi gradini di pietra serena , vantava aste di ottone ben rifinite da piccoli  pomelli a forma di testa di cigno, la lucida piastra  determinava la fine di quel mio lento ed ansioso percorso , inciampai malamente nell’ unica vite sporgente, non bussai, atterrai letteralmente sulla sua porta,  che si spalancò sotto il mio peso….lui era li con i boxer di lino azzurro a pallini bianchi, le giarrettiere sfilacciate sorreggevano calzini semilunghi in filo di scozia grigio polvere…in testa una patetica retina fermacapelli….Sorrise, socchiudendo occhi color frittata di carciofi, ma fu per poco…tolsi le mari jane con il tacco 12….e fugii, soffermandomi un attimo di fronte alla piccola consolle per afferrare e nascondere in borsa una brocca di coccio, con annessi fiori polverosi che a mo’ di pollicino, segnarono il mio percorso sulla guida vetusta ed elegante …. Scansai, per fortuna la vite sporgente, non caddi…..non vacillai

Scintille

Anima nelle cose – di Vanna Bigazzi

Piccole scintille di fuochi gioiosi,

monocolori,

si aprono allo spazio

esplodendo in fili fuggitivi.

Sotto una foresta di sterpi intricati,

impenetrabile e impervia.

Momenti diversi di vita

Raccolti e accolti da un’anfora rosa.

Steli secchi s’innalzano e attendono il cielo.

Io e gli oggetti

Paura – di Carla Faggi

Fiori beige in un vaso beige.

Non è cilindrico, non è bombato, è solo un vaso beige.

Allungo la mano per prenderlo. Mi fermo. Non posso! Ho paura di romperlo.

Mi paralizzo. Sento di odiarlo. Voglio spostarlo ma non posso.

Mi faccio coraggio, allungo di nuovo la mano, lo sfioro appena.

È freddo, scivoloso. Lo odio ancora di più!

Mi guardo attorno, non c’è nessuno! Allora la mia mano lo prende.

Ne godo il possesso, lo guardo dritto nelle palline beige dei fiori beige.

Sospiro e poi lo scaglio nel muro!

Silenzio. Liberazione. Non ho più paura.

Gli oggetti e il conforto

Gli oggetti e il conforto – di Sandra Conticini

Quell’astuccio brillantinoso sulla tovaglia celeste a pallini bianchi con sopra  un paio di occhiali appoggiati al telefono, vicino ad una bottiglia azzurra con un sorso d’acqua, confinante con la penna fucsia che termina  in alto con un fiore verde, mi infondono sicurezza. Se avessi bisogno di vedere ho gli occhiali, come se avessi sete, bisogno di aiuto o di scrivere qualcosa ho tutto ciò che mi puo servire.

Gli oggetti e le parole

Stecchi nel vaso – di Nadia Peruzzi

Stecchi in un vaso. Braccia tese senza vita, senza linfa, senza cuore. La vita che c’era se n’è andata da tempo.

Il vaso vicino alla finestra riflette i bagliori dell’incendio che sta arrivando.

Il secco in breve diventerà nero del tutto. Tizzone ardente in mezzo a mille altri tizzoni e non resterà che cenere. Solo il vaso, forse, si salverà in questo mare di fuoco .

Il terrore attanaglia. È un attimo che sembra eterno. La sirena in lontananza suona un canto di salvezza. Il respiro si distende, è meno teso mentre immagini il vaso con i suoi fiori secchi al suo solito posto davanti alla finestra. 

Gli oggetti e le parole

La tavola color cielo – di Stefania Bonanni

Solo al mattino la tavola mostra nudo il suo rivestimento. La tovaglia color cielo di primavera,  cosparsa di rotonde nuvolette bianche, piano piano, con lo scorrere delle ore, sparisce sotto una miriade di cose lasciate cadere da chi le passa vicino, e appoggia,  o butta, o solo dimentica le cose che in quel momento aveva in mano,  rientrando in casa. Si può capire chi c’è ed anche, ugualmente, chi manca, dalla presenza sulla tavola delle chiavi della  macchina, ed allora il babbo e’rientrato, o della borsa della zia, cenciosa e morbida, una di quelle  che possono contenere il mondo intero, rossa e nera, e significa che lei è  in casa : non sarebbe mai uscita senza. Le bottigliette, sempre dimenticate con ancora qualche sorsata all’interno, le lasciano proprio tutti. Ora chi esce si porta dietro la bottiglietta d’acqua, ma al rientro lascia il contenitore, semplicemente,  in qua è in là.  A questo proposito la tavola con la tovaglia azzurra casca proprio a proposito.

Gli occhiali poi, quelli utili per vedere da lontano, rientrando sono la prima cosa che viene abbandonata. Lo stesso succede per gli occhiali da sole,  per il cellulare, per la borsa della spesa, in definitiva per tutto quello che si tiene in mano. Compaiono pacchetti di fazzolettini di carta, cappelli di lana da inverno, sciarpe, biro, riviste.

Per fortuna, chi si leva le scarpe le lascia per terra, rientrando.